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Così, nella notte di Natale, da solo in casa, ma non è che mi dispiaccia, non ho voglia di uscire, mi era venuta l’idea per un raccontino un po’ giallo, ma poi mi accorgo che non sono capace, mi viene il titolo che è abbastanza divertente, forse accattivante, il titolo sarebbe L’uomo che fu ucciso da un dosso artificiale per interposta persona. La successione degli eventi ce l’avrei in testa, ma a me le successioni di eventi mi annoiano, mi blocco, penso ad altro, c’era quel regista che diceva che al pubblico devi dare tre cose, la storia, la storia e la storia, e a me invece la storia mi annoia, mi eccitano le immagini e le sensazioni e la storia mi annoia, sono un diverso, forse è una patologia, comunque adesso la successione degli eventi ce l’avrei in testa, ci sono due che vanno in auto, due fidanzati, maschi, gay, vanno in auto, un autore serio riempirebbe qualche pagina con chi sono e da dove vengono e dove vanno ma a me che importa?  Vanno in auto, facciamo che è sera, o notte, e davanti a loro c’è un’altra auto, è una strada di un quartiere residenziale di periferia, quelli che adesso a volte li rimettono un po’ a posto, la strada è stretta e a un certo punto l’auto davanti a loro si ferma e quindi devono fermarsi anche loro, che non c’è spazio per superare. Dall’auto davanti esce un energumeno, mi fa un po’ ridere la parola energumeno, insomma uno grosso, ma mi fa ridere anche dire uno grosso, mi sa di quei racconti dove c’è uno grosso, tanto si sa che c’è e mi annoio. Insomma, c’è uno che scende dall’auto davanti ed è incazzato nero, no, anche incazzato nero si usa troppo, io le parole abusate mi fanno star male, è una cosa fisica. Ma comunque è incazzato non si sa perché, si avvicina all’auto dei due fidanzati gay, apre la portiera e strattona fuori quello che guida, lo tira fuori di brutto, niente, anche di brutto è una parola che non mi piace, la mia è una condanna, sono assediato da narrazioni che mi nauseano, un attimo che tiro il fiato. Questo qui con violenza tira fuori dall’auto il gay che è alla guida e lo picchia a morte mentre il fidanzato terrorizzato guarda e grida, o guarda solo, non so se in questi casi si grida, non so cosa si fa, non so cosa succede. Ma adesso la situazione è che uno è morto ucciso da uno che è sceso dall’auto davanti che si era fermata bloccandolo. Qui si potrebbero fare un sacco di descrizioni, tre o quattro pagine di botte e di agonia, la disperazione, il dolore, io però non sono capace, comunque è morto e l’assassino (adesso lo possiamo chiamare così che è comodo e fa molto giallo) è lì tutto furioso ma anche barcollante, potrebbe essere drogato, oppure è fuori di suo, avrà i suoi problemi, roba anche da venti pagine ma non le so scrivere. Arriva la polizia, arriva in tempo per arrestarlo, potrebbe averla chiamata il fidanzato con il cellulare, oppure era una pattuglia che passava di lì, l’assassino prova a scappare, o non prova, sparano, intimano, bloccano, afferrano, a me che cosa importa? Lo arrestano, insomma, basta. Adesso facciamo che siamo alla stazione di polizia e interrogano l’assassino e il fidanzato gay del morto: che l’assassino sia l’assassino è assodato, si tratterebbe di capire perché l’ha fatto, io comunque sto facendo fatica a scrivere. Dopo vari torchiamenti (torchiamenti?) l’assassino dice, con quella voce un po’ rantolante catarrosa che hanno a volte gli assassini, dice: «A me non si fanno i fari». Qui si capisce che è uno di quei duri di periferia, instabili di mente, che ti ammazzano per una cosa qualsiasi, tipo appunto, si capisce, lui andava un po’ adagio, per motivi suoi, e il gay dietro gli ha fatto segno con i fari di accelerare, di togliersi dalle palle, e questo è un oltraggio, a lui non si fanno i fari, lui è forte e potente e la strada è sua, quindi è sceso e l’ha ucciso. Va bene, fin qui ci siamo. Il commissario o l’ispettore o quello che è, facciamo ispettore, praticamente chiude il caso, dice al fidanzato gay che è proprio una tragedia assurda, il suo compagno è morto ucciso da un pazzo violento per avergli fatto un segno con i fari. Qui potrebbe anche esserci in agguato alla stazione di polizia un giornalista che già scrive il pezzo, titolo Ucciso per un lampo di fari, la gioventù bruciata delle periferie, l’assenza di valori, la droga, le sale giochi, le famiglie sfasciate, poi per farci entrare pure che la vittima è gay vediamo dopo. Però il fidanzato superstite, benché affranto e distrutto, dice con sicurezza: «Alvin non ha fatto nessun segnale con i fari, sono sicuro che non l’ha fatto, era timidissimo, non l’avrebbe fatto mai, anche ai semafori sta sempre paziente, mai un clacson, anche se quello davanti è nelle nuvole e sta fermo tutto il tempo del verde, lui aspetta, zitto, nessun segnale, sono sicuro che non l’ha fatto». Alvin, che nome del cazzo, ma un’altra cosa che non so fare è inventare nomi ai personaggi. Insomma la cosa s’ingarbuglia, se Alvin non ha fatto segno con i fari allora che cosa dice l’assassino, c’è sotto qualcos’altro, forse non è così pazzo, forse è un omicidio premeditato, forse l’assassino è omofobo, è un vicino di casa dei fidanzati gay, non tollerava quello scandalo e ha fatto un agguato per picchiarli e ne ha ucciso uno. Però i bulli omofobi quando fanno i pestaggi di froci vanno in branco e con le armi, almeno delle spranghe, questo era da solo e l’ha ucciso a pugni, è strano, qui si potrebbero fare un po’ di pagine di psicologia, sociologia, ambiente urbano, questioni di genere, retaggi della sottocultura patriarcale, influssi dei modelli dominanti. E altri interrogatori, e discussioni fra l’ispettore e un investigatore privato con il cappello, magari anche uno strizzacervelli per il fidanzato superstite, che forse non la racconta giusta, e il trauma, e tutta questa storia, che già è assurdo e tremendo uccidere uno perché ti ha fatto i fari, ma se poi non te li ha fatti, che cazzo stiamo qui a dire? Uno bravo farebbe un po’ di pagine, io non sono capace, sono già stufo, tanto lì si deve arrivare: il dosso artificiale. Nella stradina del quartiere residenziale c’è il dosso artificiale per far andare più piano gli automobilisti, e a questo punto avete capito già tutto, no? Quando il muso di un’auto si alza a scavalcare un dosso, si alzano anche i fari, e da anabbaglianti vanno in una posizione da abbaglianti, e fa l’effetto di un lampo. Il rincoglionito violento nella macchina davanti ha creduto che quel lampo fosse che gli facevano i fari, si è fermato, è sceso e ha ucciso il guidatore dietro. E quindi il titolo è L’uomo che fu ucciso da un dosso artificiale per interposta persona. Bello, no? No, in effetti no, è una cazzata, non è il mio mestiere, e infatti io mica l’ho scritto questo racconto, stavo solo dicendo che appunto mica lo scrivo. È la notte di Natale, non ho voglia di uscire, ora mi faccio una tisana e vado a letto.


Scritto nel 2015.