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L’ho ucciso per salvarlo, l’albatro
caduto sul ponte fra gli scherni
dei miei compagni d’equipaggio.
Ero io. Mi sono appeso al collo
per vendetta, morto, me stesso.

Dal carico dell’arido rancore
m’ha sciolto in parte un inconsapevole
amore per la gioia, la bellezza
di tutto ciò che vive, l’innalzarsi
d’una preghiera priva di parole.

Ma porto dentro la maledizione
che a bene dire sempre mi costringe:
narrare lo splendore d’ogni cosa
a passanti, su strade vuote, senza
rivolgermi al mio spettro che mi segue.


Scritta nel 2020.