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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: dicembre 2019

Capodanno 2020

31 martedì Dic 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, cose di dentro, relazioni

Cominciano i botti. Un anno fa
eri con me, in questa casa, qua.
Io nutrivo sogni impropri, tu
a volte sorridevi, poi cambiavi
fra il bacio e l’ira, fra il dolce
dialogare e il silenzio più duro.

Sono qua ora da solo. Sto bene
da solo, non vorrei nessun’altra:
per sbagliata che fosse la storia
m’ha pervaso, m’ha intriso.
Archivierò questo pieno di vuoti
che sento in petto, andrò oltre, vorrei

solo che tu fossi felice, tu.


Scritta nel 2019.

Cinema e letteratura

27 venerdì Dic 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, letteratura, scenari

Il film è semplice, quasi una commedia.
Titoli di testa, stazione
di campagna, sguardi, si studiano.
Automobile, declivi, una piazzuola
a caso, curiosi, nervosi.
Stacco. Altra campagna, camminano
fra campi assolati, promana
calore la terra, casolari
oltre un rado orizzonte di rive.
Dissolvenza. Altri ambienti, uffici,
ambulatori, vie, piazze, caffè.
Fiume, lungofiume. Sguardi
si ascoltano, a lungo si ascoltano.
Stacco. Città. Stazione
più grande, le mani si toccano,
al treno un bacio, inatteso, improvviso.
Dissolvenza, messaggi. Non so,
forse so, non capisci, capisci?
Stacco, appartamento, divano letto.
L’amore, il non amore. Dissolvenza.
Casa, cucina. Abitano insieme
ora provvisoriamente. Poltrona.
Dialogo d’amore, furore, mangiare.
Uscire, parco, le scatta foto fra gli alberi,
al chiosco dei panini sottofondo
musicale sbagliato, carrellate
avanti, indietro, panoramiche inquiete.
Impossibile vivere insieme,
luce nel bagno, porte, bicchieri
tolti dal tavolo, spalle, tensione.
Stacco. Altra casa, altre case.
Fermata di tram, parole, ascoltare
pianti fughe aggressioni, brevi intarsi
di collera e dolcezza. Come d’uso
nella cinematografia contemporanea
titoli di coda repentini, niente
epilogo, si lascia all’intuizione.
Il film è semplice, quasi banale.

Ma il romanzo da cui è stato tratto
per intero nessuno l’ha mai letto.

Per intero nessuno l’ha mai scritto.


Scritta nel 2019.

La sedia

25 mercoledì Dic 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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scenari, tempo

S’è sfasciata di colpo la sedia
a cui volevi rifare il sedile
con una sagoma di legno buono.
Poi non hai abitato più qui:
ho commesso miriadi d’errori
e rifare il sedile sarebbe
stato vano: han ceduto, tarlate,
le gambe dietro. Che botta
mi son preso sul culo. Speriamo
che ora tu abbia delle sedie migliori.
Pure, un Natale fa, accudivi
quasi fosse la nostra questa casa.


Scritta nel 2019.

Statuto-Statuto

19 giovedì Dic 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

relazioni, riflessioni, scenari

FOTOPONOT

 

Esco di casa perché sì. Decido
di non prendere nemmeno la borsa.
Metto in tasca portafoglio e telefono.
Così mi riposo la spalla:
pesa, talvolta, la tracolla.
Vado in piazza Statuto.
Penso: magari un dolce da McDonald.
Non è male quella specie di gelato.
Ma decido di no. Vedo un dieci
al capolinea. Sono le dieci e mezza
della sera del diciotto dicembre.
Il dieci ha un percorso che a me pare triste:
vialoni corsoni questura Crocetta.
Ma mi dico: per cambiare!
Lo prendo, poi decido dove scendo.
Passo in piazza Diciotto Dicembre.
Mi stupisco che non sia piena di danze
per il suo onomastico. Viaggio oltre.
Decido all’improvviso di scendere
in corso Stati Uniti. Lo percorro.
Decido di passare al Polski Kot.
Magari è aperto. Infatti è aperto.
Alessandro mi saluta, altri stanno
in disparte. Alessandro mi dice
che mi trova un po’ giù, non so, poi
mi chiede come stanno i figli, i nipoti.
E che potrebbe fare? È gentile.
Mi piace, mi offre un caffè, sto un po’
da solo a un tavolino a leggere
un libro preso da un cesto: un poeta
russo parla di entropia e biciclette
e naturalmente di ragazze. Bevo
il caffè, poi che fare? Andare.
C’è, vicino, il capolinea dell’undici:
altro bus che poco frequento.
Lo prendo con l’idea di scendere
alla stazione Dora, piazza Baldissera.
È deserto. Vado. A Porta Nuova vedo
un taxi che è stato investito da un quattro.
Ci sono i vigili e il carro attrezzi, che botto.
Poi l’undici passa per il centro:
via Venti Settembre, Porta Palazzo.
Non è che uno esce di casa e trova amici.
Queste cose si costruiscono lentamente:
in genere prima è come stanno i nipoti,
è roba formale. O forse è mia colpa
mia grandissima colpa
che il mio problema non sia di nipoti
ma ragazze, malintesi d’amore
e altre cose di questo tenore. I
n centro
l‘undici si riempie. Potrei scendere in centro:
dalla stazione Dora a casa come torno?
Non ho voglia del centro. Ho voglia
di periferia. Un amico mi consigliava
oggi con messaggi su Whatsapp

di cercare delle donne più plausibili.
Se ho capito. Mah. Dove vanno
tutti questi passeggeri dell’undici?
Lo sanno? Io lo so dove vado: da nessuna parte.
Lo so di preciso. Donne plausibili. Ma
forse non ho più stimoli a storie reali.
I malevoli dicono che mai io ne ho avuti:
ma questo è falso. Io agogno la realtà,
adoro la realtà sopra ogni cosa.
Potrei scendere a Porta Palazzo.
No, vado fino alla stazione Dora.
Di lì poi prendo un quarantasei o quarantanove
o vado a piedi o con una Mobike: ci sono
nella vita così tante possibilità!
Ma storie reali forse non ne voglio più:
sono un vecchio stanco, sono
il deserto in cui grida la mia voce.
Certo sull’undici una ragazza c’è:
con gambe velate sotto un paltoncino.
Però non alzo nemmeno lo sguardo,
resto così con soltanto le gambe,
tanto non credo vorrebbe sposarmi.
Non è che esci e trovi lì le cose.
Ma costruire, arzigogolare
m‘ha sempre dato noia. La sera di pioggia
è bella ed esiste senza tanti complimenti.
E io non mi lamento. Mi godo
il viaggio sull’undici dopo il caffè
offerto da Alessandro, che mi piace:
e qualche volta qualcosa si è detto
di più diretto, ma chissà se vogliamo
davvero dire del profondo, dove
nessuna soluzione esiste mai.
Arrivo a mezzanotte in piazza Baldissera.
Dovrebbe passare ancora un quarantasei
o quarantanove. Due o tre volte mi sono
spaventato stasera d’aver perso la borsa.
Non sono abituato a stare senza, mi devo
abituare a questa e ad altre cose.
Ma di solito la prendo per avere
l‘acqua, la macchina fotografica, i guanti
da bici che mi ha regalato una ragazza.
E che altro? La batteria di riserva
del telefono, l’En, della carta, delle biro.
Ma stasera va bene così senza.
Mi riposo la spalla e il nuovo montgomery
verde comprato usato ha grandi tasche
ed è come se me l’avesse regalato
un’amata donna, perché me l’ha indicato
su una gruccia, al mercato.
Chi mette i soldi non fa differenza.
Guardo scorrere automobili
in corso Principe Oddone, un’insegna Max Home
verde bianca rossa, chi sarà questo Max?
Non m’incuriosisce. Sia chi vuole. Non tutto
m’incuriosisce. Un lontano palazzo
altissimo svetta dal quartiere parco Dora.
Ha una, due, tre, quattro finestre illuminate:
su forse cento o più, che bassa percentuale.
In una lampeggia un albero di Natale.
Son qui che giro nella notte. Non è male.
Passa un nero ciclista del Glovo.
Bisogna essere disabili forte
per farsi portare il cibo in casa a pagamento
mentre è così bello stare fuori.
Il quarantasei, l’ultimo, arriva.
M
i riporta in piazza Statuto, chiudo il cerchio.
A che ora chiude McDonald?

Quasi quasi quella specie di gelato
me lo prendo, se è aperto. Ci vuole
qualcosa di dolce. È mezzanotte e mezza.
Vediamo. C’è! Mi faccio un McFlurry

al bacioperugina.


Scritta nel 2019.

Qui nella notte invernale

16 lunedì Dic 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

cose di dentro, riflessioni

qui nella notte invernale
non ci sono ragioni per dormire
né per fare altro

si sta, così

la casa è troppo piena di cose
due terzi dei libri li potrei regalare
senza neanche accorgermi
e i rimanenti, poi, anche

nella testa invece
c’è poco di concreto
ci sono fantasmi, sogni

perché ricordo così poco?
a tredici anni ero dai preti
in colonia in montagna di luglio
e avevo il permesso di andare a piedi
fino al paese dopo, cinque o sei chilometri
da solo, a trovare mia sorella
che era in una specie d’altra colonia
e di sicuro ci andavo spesso
per camminare, fuggire la noia

so che questo accadeva
però non lo ricordo
non ricordo
né edifici né strade né paesaggi
né compagni di colonia
né mia sorella

ricordo che mangiavo doppia minestra
a volte tripla
perché agli altri a tavola
faceva schifo
io mangiavo anche la loro
penso non fosse cattiva

ma mi rendo conto che era
una cosa ideologica
facevo quello che mangia la minestra
avevo deciso così
per distinguermi dai bimbi schizzinosi
per essere dell’altro
per essere qualcosa

ricordo solo le cose che inventai
(assomiglia a
«non amo che le rose che non colsi»?
non è detto, si diffidi
di facili collegamenti)

qui nella notte invernale
qui nell’autunno della vita
non ci sono ragioni per dormire
né per fare altro

pure le parole sono stanche
il tempo si sfilaccia
«il tempo si sfilaccia»
è banalissimo
devo fare meglio, dire meglio
perché mi amiate
o madri mie che non vedete un cazzo

uhm
ma no
il tempo si sfilaccia
non dormo più di notte
non è propriamente insonnia
è che non ho voglia
di dormire, né di fare altro

forse una cosa la vorrei fare
planare
una volta giù dal mio sopra le righe
entrare nel pentagramma
accomodarmi sul do del terzo spazio
in chiave di violino…

no: sarebbe comunque soltanto un guardare
non desidero planare
l’ho detto così per captare
benevolenza, ma mi sono accorto

ho studiato musica, non ho suonato
ho studiato lingue, non ho parlato
ho studiato amore, non

(sono troppo vigliacco
per completare la terzina:
mi lascio spiragli,
assoluzioni, abbagli)

qui nella notte invernale
non ci sono ragioni per dormire
né per fare altro

l’abbraccio di una donna nel letto
lo prenderei, anche se ormai
so che è una rapina
troverei espedienti
per consentire, addolcire

forse è meglio di no:
non so se per mancanza di talento
o d’esercizio, di scuola
non so svestirmi, lasciar mescolare
disordinati, incongrui
(ma sensibili)
i corpi e l’anima
non so svestirmi
di tutti i miei sogni:
vivere

qui nella notte invernale
non ci sono ragioni per dormire
né per fare altro

forse metto su il giaccone
vado al Carrefour aperto ventiquattr’ore
compro una tavoletta
di cioccolato al latte

ma perché adesso sento le voci
«che schifo, è tanto meglio il fondente»
«latte… non vorresti esser vegano?
ma lo sai quanto soffrono le vacche?»

andate via!
restate con me
forse in brevi silenzi nel buio
il cieco e sordo e muto
può sentire le luci del cuore
può vedere, cantare
tenersi nelle braccia

metto su il giaccone
una tavoletta
di cioccolato al latte
un pochino consola
e il supermercato di notte
è scenario non privo di fascino
per uno sketch d’una decina di minuti

tanto
qui nella notte invernale
non ci sono ragioni per dormire
né per fare altro


Scritta nel 2019.

Dissolvenza

16 lunedì Dic 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

L’eco è spaziosa dopo i lampi, quando
più non scampi al silenzio della notte:
una nebbia leggera, quieta, inghiotte
il suono, il fuoco, il mare, trapassando

la membrana del sogno, con un blando
vago dolore. Si sono interrotte
le buone furie, le euforie, le lotte
fra docili chimere al tuo comando.

C’è un vuoto qui, un immenso campo aperto
che non rima con nulla. Le parole
cadono come foglie. Un’altra ebbrezza

ora ti culla, un senso in un deserto
di sensi. Lieve, una luce di sole
disegna l’ombra della finitezza.


Scritta nel 2019.

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