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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: giugno 2017

L’intima trasparenza

30 venerdì Giu 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore respinto, bellezza, eros

Sotto il piccolo triangolo di pelo
il doppio nastro di carne fa un riccio
distratto, casuale, come i nastri
per legare le tende se, slegati,
pendono da un chiodo e in un punto
si scostano segnando una figura
d’ampolla o di losanga.

Quella piccola asola, quel varco
fu aperto da lingue, dita, cazzi
in quantità notabile, da uomini
e qualche donna, persone svariate
in svariate situazioni. Ne uscirono anche
due bambini, finora, da semi
di due privilegiati.

Io la tua fica la posso osservare
solo in fotografia, come chiunque altro
nei tuoi servizi di modella erotica:
i tuoi occhi e le tue spalle invece,
il tuo collo, le mani, il tuo seno
li ho guardati intento, restandoti accanto
nei minuti concessi.

Anch’io, non lo nego, vorrei penetrare
fra le labbra, varcare la porta
del tuo ventre di donna. Ma so
che già sarebbe gioia di miracolo
se guardandoci in viso tu scorgessi
di quest’amore che ti dico e scrivo
l’intima trasparenza.


Scritta nel 2017.

La Venere degli stracci

26 lunedì Giu 2017

Posted by carlomolinaro in racconti

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bellezza, donne nude

La sala è già piena, non posso sedermi nelle prime file, allora scelgo un posto molto laterale, l’ultima poltroncina a destra guardando il palco. Da lì potrò alzarmi in piedi e spostarmi contro il muro per fare le mie riprese video dello spettacolo di burlesque: da seduto inquadrerei solo le teste degli spettatori davanti a me. So che il mio video amatoriale è gradito alle due ragazze che organizzano la serata, dove si esibiranno decine di artiste, con diversi stili.

E così faccio: cominciano i primi numeri e mi alzo in piedi, appoggiandomi alla parete per riuscire a tenere più ferma la videocamera. Lo spettacolo è bello e cerco di fare del mio meglio: ho regolato la distanza fissa sui dieci metri, perché l’automatico, con la poca luce che si alterna al buio, sfocherebbe continuamente.

A un certo punto, ma solo a un certo punto, non subito, mi accorgo che dalla mia posizione ho la visuale di un paravento aperto, staccato forse un metro dal muro, che dà sullo spazio dietro le quinte, nei segreti che il pubblico non deve conoscere.

Non ho nemmeno per un istante la tentazione di puntare lì la videocamera: non mi permetterei mai. Sono un documentatore serio e ciò che voglio fissare nel mio archivio di ricordi, a disposizione della collettività, è lo spettacolo, non qualche impropria sbirciatina furtiva.

La videocamera no, ma la coda dell’occhio, insomma, alcune cose le vede. Fra attaccapanni che reggono sgargianti e succinti abiti di scena, tre o quattro ragazze si cambiano, restando per qualche attimo serenamente e completamente nude. Bene. Sono immagini radiose, semplici, che trasmettono gioia.

Una in particolare mi colpisce. In piedi di profilo, un poco china su un mucchio di panni colorati, si toglie le mutande, l’unico indumento che indossa: probabilmente si toglie le mutande di scena per indossare quelle della vita normale.

Il gesto è molto armonioso, lei è liscia come una statua, e così perfettamente nuda, piegata sui panni colorati, si trasforma nella Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto che c’è nel Museo di Rivoli: mi dà una sensazione di pace olimpica, di naturalezza vittoriosa.

Intendiamoci: il significato dell’opera di Pistoletto, quello che si trova nei saggi critici, che dicono perlopiù che vi si rappresenta la contrapposizione dell’arte classica con il disordine consumistico della vita moderna, che a me poi sembra una banale sciocchezza, non c’entra nulla. Io vedo la pura bellezza del corpo femminile alle prese con il gioco variopinto della quotidianità, senza alcuna contrapposizione – mi perdoneranno i critici e lo stesso Pistoletto.

Dunque mi godo il bell’insieme che dura per un attimo: sul palco, ragazze seminude danzano in lodevoli elaborate coreografie; dietro le quinte, una ragazza è nuda semplicemente, come fosse in camera sua, accanto a un armadio di colori messi a caso.

Oh, spero non dispiaccia il mio sguardo fuggitivo. Su quel metro di spazio fra muro e paravento si poteva forse appendere una tenda, però sarebbe stato un intralcio alle ragazze che entravano e uscivano frequentemente, trovo giusto non metterla. E poi, mica c’era nulla di brutto o cattivo o vergognoso, al di là: solo qualche piccolo riverbero di meraviglia, a saperla cogliere.


Scritto nel 2017.

Il bene

13 martedì Giu 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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impegno civile, scenari

Il bene, rondoni al cornicione, due ragazze
che ridono scendendo per via Saccarelli, un refolo
di brezza nella sera calda, dimenticare
che tragedia è l’esito di tutto. Sul 46
un ragazzo parlava all’autista, diceva
che sua sorella deve stare ancora
sei mesi in comunità, per un furto
in un negozio, ma il venerdì
le concedono due ore di permesso,
ha ventun anni, è divorziata, l’autista
diceva che si vive meglio di notte, lui
prende volentieri l’ultimo turno,
si guida meglio, riporta il mezzo al deposito
alle due, due e mezza, poi resta
ancora alzato a fumare. La ragazza
del ragazzo che parlava all’autista
taceva, annuiva, aveva un seno bellissimo
in un vestito bianco, una famiglia di neri
è scesa in piazza Baldissera, altri due neri
massicci, tarchiati, a lungodora Napoli,
io due fermate dopo, verso casa, incrociando
in via Saccarelli le due ragazze di cui sopra,
che ora forse sono stanche o rabbiose
ma ridevano in quell’attimo, il bene,
rondoni al cornicione, non stare a pensare.


Scritta nel 2017.

Vita nuova

13 martedì Giu 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore respinto, bellezza, scenari

Un po’ di pelo sopra e niente intorno
alla fessura: è il taglio prediletto
dalle modelle di Met Art o porno.
Quando a cosce slargate sopra un letto

si fan le foto, deve stare a giorno
il dolce solco rosa, in un effetto
di cesello e d’intaglio: che il contorno
si mostri in piena luce, aperto, netto.

Così anche Eva il pube s’acconciava
quando ai fotoamatori proponeva
nudo erotico in sala pose o alcova.

Era un lavoro che m’affascinava,
era una vita sua che mi piaceva
– ma amo lei in qualunque vita nuova.


Scritta nel 2017.

Dormire abbracciati è una gioia durante

13 martedì Giu 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, cose di dentro

Dormire abbracciati
è una gioia durante:
è importante
per uno come me che le cose
quasi sempre le gode più dopo:
perché durante c’è ansia,
ansia di dire, fare, capire, ascoltare.

Dormire abbracciati
se sento il tuo respiro
regolare, sereno, un respiro
contento, e se sono
contento io di sentirlo
c’è dentro tutto, non c’è nulla
da dire, fare, capire, ascoltare:
è felicità in atto.

Non importa nemmeno
chi sei tu, chi sono io, e questo
non importare chi si sia
è meraviglioso, eppure
per molti è orribile: molti
ci tengono troppo a essere sé.

Forse è
che io ho un io così fragile
che gode a non dover essere qualcuno,
forse è
che altri hanno un io così fragile
da voler essere sé in ogni momento
senza eccezione alcuna,
forse è, forse è,
ma mi annoia la psicologia, quel che so
è che dormire abbracciati
è una gioia durante.

Poche sono le cose che so.


Scritta nel 2017.

Lounge

02 venerdì Giu 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

cose di dentro, scenari

Calici di liquido ambrato,
ragazze in sottoveste,
strano posto.
Tu e io qui per caso, fuori luogo
e in luogo, tu e io
lontani, vicini.

Concordano gli opposti,
discordano i composti:
occorre sorpresa,
la noia sorprende,
si guizza, s’attende.

Domineranno le parole
– di cui non m’importa.
Tu mi metti una mano su una spalla,
dici «povero Moli»
e ci si sente soli, ma in fondo
non più che altrove,
non più che dappertutto.

Cappelli di paglia,
zainetti colorati,
piedi nudi
ma attenta – dice – poco fa
s’è rotta una lampadina:
la ragazza osserva cauta il pavimento,
non rimette le scarpe.

Gonne a strisce verticali
su tacchi sottili, abat-jour:
non ho nulla da stare a badare,
non ho nulla che debba spiegare.

Una puttana mi domandò
perché scrivo così piccolo,
disse che non sembro avaro
da voler risparmiare sulla carta:
non sono avaro, infatti, è che
mi sono abituato da piccolo
a scrivere così piccolo
che l’essenziale rimanga segreto
pur dicendo, sinceramente, tutto.

Abiti verdi trasparenti,
biglie di vetro in fragili bicchieri,
certe cose di ieri
si sfilano dai quadri di crepuscolo
del moderno quartiere.

Io abdico
al mio trono di carte:
non ho nulla da stare a badare,
non ho nulla che debba spiegare.

Una cravatta rossa,
una fetta d’arancia,
mi metti in bocca della cioccolata:
sui risi, sui bronci
noi voliamo a sideree distanze.

Una frangia tagliata di sbieco,
una lieve catena su un seno
che si offre soltanto per gioco
da uno scollo elegante.

Tu la più seria, la più sorridente,
io m’arrendo, mi sciolgo dall’ansia
del mio ingenuo comprendere niente:
sotto il trono di carte disegno
un nuovo regno.

Scende una lunga treccia
al centro d’una schiena:
non c’è voglia né pena
e quieto, benevolo, osservo.

Sono sempre per caso le cose migliori,
una donna discorre in spagnolo,
serenamente solo
tocco finalmente con le mani
il mio corpo ribelle, sento chiara
nelle dita la forma di me.

Un ragazzo in marsina e canottiera,
una nerovestita cameriera,
non mi serve furore né macello:
il mio detonatore innesca il bello
che c’è in te, benché tu non lo creda.

Le luci si sono attenuate,
fra poco la scena va in scena,
c’è chi porta una maschera rossa,
chi una bianca cintura.

Tu e io traversiamo
il palco variopinto:
per anni luce che ci allontanassimo
ci troveremmo accanto.

Io confuso, di quasi nulla accorto,
tu intenta a sviscerare ogni dettaglio,
mescoleremo i quaderni di bordo:
vedrai quanto impiegheranno
tutti gli altri
a smaltire l’abbaglio.


Scritta nel 2017.

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