L’incavo d’un petalo di rosa
non ho un modo normale di vederlo:
né l’incavo del tuo orecchio
né altro. Non ho un modo normale,
un modo buono: che tu dici: è buono.
Guardare, contemplare
rispettosamente attendendo
la sfioritura, il corso di natura.
O mordere! Brucare il fiore
perché muoia subito, diventi
un sapore nei denti, un ricordo
ancorato nel corpo, nella mente
a morire con me.
Abbiamo addosso bellezze formidabili
e orrori orripilanti. Tutto questo
sta prima, non ha nulla da spartire
con le umane relazioni, tardive
sovrapposizioni, divine
costruzioni di spirito, di verbo.
L’incavo d’un petalo di rosa
sfiorarlo, un compromesso. Annusarlo.
Toccarlo. Ma se è ala di farfalla
già è danno. Astenersi. Il tuo orecchio
baciarlo: è la maniera
che abbiamo escogitato.
Tutto è sempre incompleto:
riempire il vuoto è un impulso di morte.
L’albero non ha gli occhi né le mani:
forse in ciò è la sua pace.
Ma io ho gli occhi, e bruciano
di visioni, ho le mani, e tremano
insicure, vogliose. Non le sfama
il pane d’un amore che milioni
d’anni di cure e manipolazioni
han reso inconoscibile.
I gatti non è vero che sanno
cosa fare: è che non c’è bisogno
per loro di sapere. Io umano
devo sapere: essere nocchiere
dell’occhio, della mano.
L’incavo d’un petalo di rosa
si fa demone in me, demone che
ribelle costruisce paradisi
da cui precipitare.
Stai lontana da me, è la scelta migliore.
Scritta nel 2020.