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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: febbraio 2017

Perché faccio poesia

16 giovedì Feb 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

cose di dentro, letteratura, linguaggio

ogni tanto in qualche intervista
qualche presentazione
mi chiedono
perché faccio poesia
e non so mai rispondere

oggi una risposta
m’è venuta in mente

faccio poesia perché
non posso vivere solo annusando
come un ignaro animale
ma nello stesso tempo
il mio verbo non crea il mondo

conoscenza senza onnipotenza
sapere senza potere
è una fregatura

ho un linguaggio inutile
devo almeno renderlo bellissimo


Scritta nel 2017.

I tramonti fra Chivasso e la Dora

03 venerdì Feb 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

linguaggio, scenari

«Sei un poeta dei miei stivali», disse,
annuii (è bello annu-i-i, come Minne-ha-ha)
e li osservai, avevano tacchi alti,
massicci eppure snelli, e la guaina
di finta pelle avvolgeva il polpaccio
(un polpaccio palpava una polpetta
in fondo al mare, tutta tentacolandola,
ma lei non cadde in tentacolazione)
fino al ginocchio, calze velate dentro,
provocante abbastanza, le dissi
che volevo provare a sfilarle gli stivali;
«sei un poeta del cazzo», ribadì, annuii,
il cazzo ha una sua importanza, dissi,
fra le altre cose, io davvero vorrei
in te inserirlo, nell’apposita fessura,
come il bancomat nella macchinetta
dei biglietti alla stazione, l’analogia
mi fece pensare ai viaggi, alla pianura,
ai tramonti fra Chivasso e la Dora.


Scritta nel 2017.

Calicanti e cartolerie

01 mercoledì Feb 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, scenari

m’ha di nuovo sorpreso il profumo
del calicanto, mi sorprende ogni anno
nel giardino di Vercelli, è lì
da prima che nascessi e mi sorprende
nell’inverno, quest’anno forse
ha ritardato un po’, ma non sono sicuro,
poi in corso Libertà sono entrato
nell’antica cartoleria Larizzate
che è antica perché lo è ma
non recita la parte dell’antica,
è riscaldata con una stufa a gas,
non l’ho vista, la stufa, ma ho sentito
l’odore del bruciato di gas, misto
all’odore dei quaderni, ho comprato
due notes piccoli, per gli appunti piccoli,
mi sono dimenticato di comprare
(ci avevo pensato in treno)
una matita, per scrivere sulle pagine
dei libri, segnare certi punti
nelle pagine dei libri, che a biro
è brutto, anche se poi non è
che si cancelleranno mai, chi vuoi
che cancelli annotazioni da un libro,
però lo stesso a biro è brutto,
è più bello a matita, queste cose
sarebbero tranquille, placide,
il calicanto, l’odore della stufa,
l’inverno, Vercelli, la matita,
e allora perché sto scrivendo con affanno,
picchiando sulla tastiera come servisse
a muovere tasti di vecchie macchine,
questi tasti di computer invece
basta sfiorarli, io li picchio, il calicanto
è una scia dolce in mezzo alla solitudine
oscura
ma io non so se le perdono, le scie
dolci, la signora della cartoleria
non ricordo la faccia, non avevo
voglia di guardare, poi al supermercato
un’ora con l’ansia e la noia
a cercare un surgelato
che mia madre voleva proprio quello,
un hamburger Findus, non lo trovavo,
poi l’ho visto, era uguale a tutti gli altri,
schifosissimo, le pesche sciroppate
no, mi sono arreso, ho chiesto al banconista
del reparto macello, lui ha detto non so
ma forse, non sono sicuro, ha detto,
in fondo all’ortofrutta, l’ultima parete,
le pesche sciroppate in effetti
sono un conflitto di caratteristiche,
sono frutta e sono scatolame,
tutto dipende dai canoni adottati
dal supermercato, è stressante, non basta
un calicanto a salvare una città
o una gioventù, se non altro cercando
pesche e surgelati è passata l’ora
della coda alla cassa
delle massaie pensionate gracchianti,
io le odio, cioè sì, me ne sbatto
della correttezza, io le odio,
si fottano, povere vecchine, crepino,
m’ha rotto il cazzo anche il calicanto
e la vecchia cartoleria, cioè no,
il calicanto lui è bello e anche
la vecchia cartoleria, la signora
non l’ho guardata perché temevo non fosse
abbastanza bella per la cartoleria,
non è che devo sempre guardare tutto,
certo Laborit disapprova
prendere pezzi di sottostruttura
e costruirci su un mondo e imporlo,
ma io mica lo impongo e non so
che altro potrei fare, il calicanto
ha buon odore, Laborit ha contraddizioni,
postula che esista una realtà
e che esistano relazioni fra le cose,
però non lo dimostra e
manco si accorge secondo me di postularlo,
d’altronde io se relativizzo tutto
non ho più voglia di fare un cazzo,
filosofia come scusa per non lavare i piatti,
inoltre me ne fotto
se poteva venire una bella poesia
sul buon profumo di calicanti e cartolerie,
ne ho già parlato di calicanti e cartolerie,
mio zio era cartolaio e aggiustava
le penne stilografiche, ma si fotta anche lui,
qui con nessuno ho mai scambiato
una parola che volesse dir qualcosa,
comunque allo zio cartolaio
gli hanno sbagliato l’anno di morte sulla tomba,
l’hanno fatto vivere sei anni in più,
mi sono accorto e l’ho mormorato
a un paio di parenti, le imprecisioni storiche
m’infastidiscono, ma a nessuno
importava, è rimasto così, sappiatelo,
non fidatevi degli anni di morte
sulle tombe dei paesi della pianura,
anzi fate così: non fidatevi di niente,
o fidatevi di tutto, chi volesse
poesie su calicanti e cartolerie
credo di averne già scritte, ora non è
che stasera sono incazzato, tutt’altro,
sono tranquillo, è solo
che mi sono rotto il cazzo, non so
se si capisce, calicanti e cartolerie
ma più che altro sbronze e nessuna ragazza
a Vercelli, e non è romantico, neanche epico,
è merda, oggettivamente, dovrebbe
essere chiaro, no? ho crediti con l’amore
ormai inesigibili, sofferenze direbbero le banche,
le banche sono più poetiche degli innamorati,
dicono sofferenze, noi siamo più smagati
forse, più probabilmente coglioni, ho crediti
con l’amore ma anche debiti
mai pagati, non so se si possono
detrarre quelli da questi, come
sui moduli delle tasse, non credo,
avrei voglia di scriverle a cazzo
le vostre e le mie sofferenze,
buttarle in mezzo, senza veli di metafore,
senza fare poesia, dal calicanto
strappare un ramo odorosissimo, avvolgerlo
nel foglietto del notes
della vecchia cartoleria, spremere
i fiori con le dita, profumarmi
le mani, agitarle per le strade, gridare
oui, je suis calicantò
oui, je suis papeteria
che non capiate un cazzo stavolta
è scelta mia

ma no, dai

m’ha di nuovo sorpreso il profumo
del calicanto, mi sorprende ogni anno
nel giardino di Vercelli,
ha piccoli fiori gialli


Scritta nel 2017.

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