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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: marzo 2022

Loculo 22

25 venerdì Mar 2022

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amore e morte

Il loculo 22, quello accanto al tuo
è libero, ho pensato in un quadretto-delirio
di prenotarlo (si affittano? o come?)
per farmi tumulare accanto a te
ma al quadretto-delirio si oppongono
tre (almeno tre, forse di più e magari
le più importanti mi sfuggono) obiezioni

1) non è detto che tu vorresti, la nostra
è stata una relazione con scontri
e muri solo in parte abbattuti
e i momenti più intimi, più belli
erano sempre nell’ombra di un’ombra
dunque potrebbe essere
uno stalking postumo
roba da farti incazzare di brutto

2) detesto le tumulazioni, i cimiteri
non sono il vero luogo, se si è
dopo la morte, si è, spero, altrove
in luoghi belli, vasti, impensabili
il cimitero è solo un simbolo
così, per chi rimane, per un po’
e comunque meglio la terra o il fuoco
che le casse di zinco moderne
non so chi le ha inventate

3) creerei un bel problema a chi
dovrebbe occuparsi della cosa (i figli?)
il trasporto, le pratiche, i cazzi
e mazzi, in un momento magari
già difficile, boh

Dunque niente. I quadretti… Cristina
quanto ci siamo visti? A volte
mi dicevi che non ti vedevo
e che ognuno si rifugia nel suo mondo
immaginario. Anche altri me lo dicono.
La verità, la realtà, è qualcosa
di accettabile, di sopportabile?

Mi sembra di averti conosciuta
in una sfera profonda emotiva
più che chiunque altra e forse è vero
ma questo non vuol dire che sia molto.
Lo scolaro che prende sempre quattro
la volta che prende cinque e mezzo
si esalta, ma non ha la sufficienza.

Certe notti mi parlavi per ore
e ti ascoltavo attento e innamorato
ma ho imparato? Non solo le parole
ma anche certi fremiti, un tremore
della mano, un sussulto
del capo, ha ogni cosa un alfabeto
che non credo sia innato.

Eravamo entrambi spaventati
dalla vita, dall’essere, ma in modo
diverso. Ce lo siamo spiegato?
In parte… La tua frase che dicevi
spesso, “confessare di esistere
è una condanna a morte”, l’ho capita
o è scivolata a combaciare
con un sentire mio, deviandosi
in quadri miei, già sedimentati?

Ognuno parla solo di sé stesso?
E pure su ciò, con scarsa competenza?
Possono le anime toccarsi
senza usarsi violenza?
Tu forse non lo credevi possibile
– non esiste amare! – ne hai tratto
la conseguenza. Non lo so, non so niente.

Ogni parola che entra demolisce
qualcosa in noi, ci vorrebbero città
interiori robuste, resilienti
non di rigido fragile cristallo
come – forse, forse… – la tua e la mia.

Ci voleva più tempo o sarebbe
stato sempre impossibile. Credo
– questo lo credo – di averti amata.
Lo credo io. E credo che anche tu
per brevi tratti abbia amato me.
Così come si può. Lo credo io
e non è sufficiente, nulla è mai
sufficiente. È un sei meno meno
forse concesso con manica larga.

Se esiste il paradiso, è un luogo dove
gli alfabeti si baciano e i cuori
senza nessun bisogno di difendersi
né di aggredire, capiscono:
esplorano e si lasciano esplorare
fino in fondo, con gioia.
E si trovano belli, come sono.
Sogni, sogni, sogni, sogni!

Perché non ci vediamo al lungodora,
alla panchina della prima notte?
A poter fare qualche passo ancora
nei boschi delicati, pian piano
vedendo meglio i rametti, le gemme
le zolle tonde, i buchi delle talpe
il sottosuolo misterioso, scavarlo
piano – attenta, ti tengo, mi tieni
la mano…

È tutto da impazzire. Non è certo
inscatolando la vecchia carcassa
putrescente nel loculo 22
che ti starei vicino, ma succede
di delirare, per non sgretolarsi
del tutto – ugualmente ci si sgretola
contro l’inconfessabile esistenza
si va via, si va via.


Scritta nel 2022.

Ipoludio

23 mercoledì Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

I.

Non riuscirete a delimitare l’abisso
col nastro bianco e rosso
dei vostri delitti e dei vostri cantieri.
Non riuscirete a
mettervi in sicurezza.

«Non era possibile.
Non era nostro compito.
Non è colpa nostra!»

Alla luce improvvisa che s’accende
veloci blatte sparite nei buchi
di coscienze rattoppate
cartonati di saggezza
ologrammi di buonsenso
a perdita d’occhio le quinte di bontà.

Che fosse o non fosse possibile.
Che fosse o non fosse mio compito.
È colpa mia.

Lo schianto crepa il timpano del tempio
e inclina le colonne del teatro.
La pazienza di Nemesis trascende
i cori in musichetta dei call center.

«Elaboriamo il lutto, brainstormiamo
un seminario ad appianare tutto.»

Né s’elabora né appiana.
Cade e ricade il sangue senza fine
da quando un uomo lo sottrasse al Caos
innocente terribile. Gli diede
valore, per poterlo calpestare.

Nemmeno esiste il lutto, esiste Hybris
e chiama dalle ossa dilaniate.
Ascolto e attendo, qui mi fermo, voi
fate come vi pare.

II.

Non fu sottratto veramente al Caos
il sangue: ne fu fatto copia/incolla
con un rudimentale vecchio software
sopra fogli di senso, di legami
a cui fu dato nome realtà:
un nome, appunto, realtà, perché
la si potesse riconoscere. Il Caos
immune a ogni germe del bisogno
di riconoscimento, senza specchi
continuò a scandire: né sensi
né legami gli servono, s’insinua
in pomeriggi di fauni postmoderni
e guida glandi in vulve o in ani, bocche
su bocche, su capezzoli, benché
filosofie e poesie l’intralcino
spesso in scontri fatali. Ma questo
non ci interessa, noi siamo linguaggio
e come del cervello la corteccia
conta per noi della vita e della morte
la veste di parole, sottile, arbitraria
quanto basta per credersi
brevemente, accidentalmente libera.

Questa veste talvolta uccide prima
che il Caos, senza sapere, dia alla morte
il suo turno nel giro. Da scheletri d’insetti
(indenni, tranne se li contempliamo
d’ogni angoscia o dolore)
né Hybris chiama né attende Nemesis:
l’increata divina che credere creata
da noi è intollerabile, rimane
in altri spazi. Ma, ripeto, questo
non ci interessa, noi siamo linguaggio
che muore come animale al macello.

III.

S’io fossi gatto m’acciambellerei
e la tua morte dimenticherei
come la mia. Discorso vano: sono
uomo e urla da ossa dilaniate
di donna Hybris, il taglio nell’anima
(che esista o non esista è irrilevante)
mi è pena e mi consola, non governo
il Caos ma porto a Nemesis nell’ombra
con i migliori colpi di timone
il fantasma di nave naufragata
nei cui fasciami un sole immaginario
eterno si nasconde. Sia o non sia
possibile, sia o non sia mio compito
è mia colpa, io qui mi fermo, voi
fate come vi pare.


Scritta nel 2022.

Vi accuso

09 mercoledì Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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impegno civile

Come polli in batteria, contenti
stanno sempre a parlare della guerra
che già c’era ma che ora hanno messo
in video, con il telecomando
e tutti a bocca aperta.

A me e alle persone che amo
i Conte, i Draghi e i loro accoliti
han fatto e fanno più danni
che i lontani dittatori criminali
di cui bene sapevamo
e non ce ne importava un fico secco.

A questi qui vicini italiani governanti
va il mio odio e il mio disprezzo:
e voi masse di sapienti blabla
che il mondo sia un massacro
lo scoprite adesso, ipocriti?

Io vi accuso, politici italiani
e governanti. Io vi accuso della morte
di persone fragili, della depressione
dei sensibili, della repressione
del pensiero critico, della distruzione
della cultura e della libertà, vi accuso
della rovina dei piccoli, vi accuso
del consegnarci, traditori, ai potenti.

Io vi accuso e – per quello che vale
l’anatema di un poeta – non vi perdonerò.


Scritta nel 2022.

Le cinque e mezza

09 mercoledì Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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scenari

È sorta la stella che annuncia il mattino.
Dunque il cielo è sereno. Apparirà fra poco
la prima luce a disegnare nitido
lo spigolo nero dei colli, poi il sole
dentro quel nero troverà le cose,
il paesaggio per un nuovo giorno.
Vorrei che non accadesse, che restasse
quest’attesa sospesa. Mi basta
osservare dal letto la piccola stella
che sale, mentre tutto è ancora buio.
C’è già rumore di traffici sotto,
gente che va al lavoro di buon’ora.
Ma è notte ancora, provo a ridormire
con una stella soltanto negli occhi:
lì chiudo, spero torni qualche sogno.


Scritta nel 2022.

Il fischio

09 mercoledì Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

Quand’esci di stazione dopo il treno
che ha portato chi non ritornerà
quella in cui esci non è la città
di prima: era la tua, lo era: adesso
non la conosci, vorresti andar via
com’è andata via lei – perché rimani
se a lei è stata così inospitale?

La pura carne come il puro spirito
fugge al dire. Potrà venire a noia
quest’infangare parole nel mezzo
cercando appiglio, pretesto, rappezzo.

Allora sì, bisognerà partire.


Scritta nel 2022.

Chiamatelo, Gianni

09 mercoledì Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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scenari

Al mercatino domenicale in corso Taranto
un uomo su una carrozzella, spinto da un altro uomo
ha la testa riversa, la bocca non gli si chiude bene
grida: “Gianni, Gianni, chiamatelo, Gianni, chiamatelo!”
incrocio lo sguardo, non è meno che la guerra.
Gianni è mio padre, morto giovane, era medico
provo a dirgli nella mente: “Se puoi fare qualcosa…”

Su una bancarella vendono vecchie foto
prese da chissà quale cassetto o soffitta:
vite un poco ricordate, poi non più:
disperse fra dischi, grattugie, monete
bamboline, libri gialli, paralumi.
Penso che non dovrei, però ne compro quattro
a un euro in tutto, le guardo abusivo.

Un gruppo sfocato con una barca a riva;
due donne sedute, una rivista in mano;
una coppia al mare (dietro, per caso, una ragazza di spalle);
una donna su un declivio, con un cappotto scuro:
quest’ultima ha dietro, disegnata a matita
una donna nuda con le cosce bene aperte:
sarà una fantasia sulla medesima?

Chiamatelo, Gianni. Ma nulla esiste, abbiamo
ciascuno un universo immaginario
crudele, piccolissimo, infinito
volatile ed eterno ed è tutto, al di là
non si può figurare, se si prova a figurare
s’inciampa nella ragione, ragione
che fa la guerra in ogni dimensione:
guerra di mondi personali, incompatibili.

Ma se fosse pensabile non sarebbe salvezza
dalla nostra condanna di pensare:
l’orizzonte del mare del dolore
è al di là del mio sguardo, mi abbandono
a una mite speranza. L’uomo a cui non si chiude
bene la bocca, gli daranno da mangiare
adesso a pranzo? Dove sei, dove siete?


Scritta nel 2022.

Il sei di marzo

09 mercoledì Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore e morte

Il sei di marzo. Un anno, il funerale:
la prima volta che rimasi ore
nel piccolo paese: con te viva
era sempre di corsa, di sfuggita:
non era bene incontrare parenti
a cui giustificare chissà che.

Avevo dovuto certificare al Governo
che andavo alle esequie di una persona cara
e non essendo congiunti non è detto che valesse:
sai, non hanno ancora smesso con quelle stronzate
anzi han fatto di peggio, ci prendono gusto
i maledetti. Al casello di Ceva
la polizia fermava a caso, la scampai.

Precedetti, sono ansioso, di almeno due ore
l’arrivo della bara da Torino. Vietato accoglierti:
tutti in chiesa da prima nei posti fissati
distanziati, mascherati. Il prete disse
parole non banali, che ci si conciliasse
e fosse rispettata la tua scelta.
Ti cercavo e ti sentivo in ogni angolo.

Ma dalla chiesa al cimitero fra i boschi
si camminò vicini, io senza mascherina
vicino a non so chi. Poi la scena, il loculo
aperto, la bara dentro, il lavoro
di muratura, mattoni e cazzuola:
che strana usanza, ma in fondo che importa?
Tu eri già parte di tutte le valli.

Fu conflitto lungo, fra te e il tuo paese
ma fu anche l’infanzia, l’erba, il sogno
la passeggiata fino al lavatoio.
Per questo l’ho adottato – ti dispiace? –
e lo conservo in cuore, fra le cose
che, benché poco, tengono di te
un suono, un odore, un battito degli occhi.

Non è un granché la cronaca. Un bisogno
di commemorazione, le date, si fa
quel che si può, lo scenario del mondo
è cupo e stretto, non ti può contenere
e infatti sei altrove, ma di questo
non so dire, solo in lampi di grazia
fulminea confondermi, sentire
per davvero l’infanzia, l’erba, il sogno
la passeggiata fino al lavatoio.


Scritta nel 2022.

Il manifesto sul portone

05 sabato Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore e morte

annunciano
annunciano la nascita
annunciano la nascita al cielo

si capiva da lontano dalla grafica e dalla posizione sul portone
che era una morte

mi sono sforzato di guadagnare qualche attimo ancora
un vecchio nel condominio, magari

no, non usano quella formula per un vecchio
nascita al cielo
casomai cristianamente mancato

la foto e il nome non si mettevano a fuoco
ma ormai sapevo
ha preso forma la riga sotto
di
di anni
di anni 30

avevo notato da lontano la luce spenta
lassù nel cucinino – sarà uscita
non sempre in casa, bene, non…

il tuo nome era bello, in carattere grande
il tuo nome è sempre bello
scritto, detto o pensato
è sempre bello

ho visto tutto
malore o incidente ipotesi remote, scartate
ho visto il volo
poi nulla

nulla
il mondo, un anno dopo, non è ancora ricomparso
non del tutto, qualche tratto
che non si unisce

e le parole, come quelle insegne
con pezzi spenti RIST NTE
ERIA

manchi negli alberi, nelle lavanderie
a gettone, nelle vie
ci sono fessure da cui spira
qualcosa di te o così credo

se qualcuno mi dicesse “voglio uccidermi”
lo guarderei muto
non ho argomenti per incitare a vivere
e ogni conforto è soltanto un ferire

ah, certo, il sole sorge
e le gemme si aprono di nuovo
in foglioline, come tu ci fossi
ma ci riguarda, questo?

ti trovo in sogni o in allucinazioni
ti sento nell’angolo acuto
dove, per poco, l’occhio non arriva
e dovrebbe

stasera, si parlava d’altro con un’amica
m’è apparsa la vita
intera, chiara
nessun modo per dirlo
nemmeno la più vaga allusione metaforica

indicibile intera
forse dunque, in quell’attimo, vera
senza rischio di volerla confessare
senza vesti d’inganno

la porto con me nel residuo labirinto
dove pareti di spesso vetro mandano
figure doppie, sbiadite
a nasconderne altre all’infinito

crollerà, crollerò, dove sei?


Scritta nel 2022.

Alle Chiosse

01 martedì Mar 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore e morte, scenari

ho pranzato da nonna Miranda
giù alle Chiosse, dopo la messa
mi hanno fermato, invitato, ho esitato
ho accettato, spero non ti dispiaccia

nessun pettegolezzo, tranquilla
ho parlato e ascoltato, con meno disagio
di quel che prevedessi: il pranzo
domenicale dalla nonna, agnolotti
cinghiale e patate, ho parlato di te
cose belle, la tua sensibilità
la tua nitidezza fine, le fratture
forse un poco agiografico, ma ci sta

ho saputo alcuni pochi dati nuovi
(“mamma ti perdono”, le dicesti al telefono)
ho abbassato gli occhi per non guardare piangere
alcuni, tardi, ora tutto è impossibile
ma ho percepito che le parole
venivano comprese, così

mi venivano in mente le frasi banali
da non dire e non le ho dette
“se ci fosse stato più dialogo”
da non dire perché è come dire
“se ci fosse la pace nel mondo”
non c’è mai stata, dalla preistoria
ci sarà una ragione

poi ho preso congedo, mi sono fermato
per due passi a Priola, sotto il cielo
limpidissimo, nuvole veloci
alle cime dei monti

ho atteso lì il previsto contrappasso
la spada del tuo mancare
a svuotarmi, dalla gola, il torace
passa, lo sai, ho respirato vedendo
erba sui margini, fioriscono le primule

poi l’autostrada, traffico di gente
che ritorna dal mare, da Savona


Scritta nel 2022.

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