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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: ottobre 2016

Lo scultore

31 lunedì Ott 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, infanzia

Lo scultore inseguendo perfezione
ridusse il marmo in polvere, tutto
il marmo in polvere: quella
– la sua disperazione –
fu perfezione: la sagoma
fu inghiottita da baratri in cui
buio come budella
bolliva, montando, l’ineffabile.

Proferita, ecco, la crudele verità
gli parve meno vera
di quando la negava:
si sgretolò in rumori da nulla,
svanì in crolli e almeno
la desolazione di macerie
che gli apparve da nebbie luminose
indusse trasognando
un benché dubbio amore
che perdonò la colpa deforme
delle cose, degli uomini: a lui
la noia disertata, il rancore
di mai raggiunte madri, gli inganni
definitivi: sull’orlo dello smangiato
cratere, nello spazio di taglio
tra fuoco e fuoco
brevemente profumarono nicchie
d’avambracci, di natiche, grembi:
gli occhi accesero gli occhi,
ci possiamo, pensò, persuadere.


Scirtta nel 2016.

Meglio guardava

19 mercoledì Ott 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, paesaggi

Nella sua cinica sognante ingenuità
li vedeva benissimo i moventi
dei gesti, dei rapporti, li osservava
con disprezzo benevolo, con blanda
ostilità partecipe, dolce, feroce:
l’amore sedicente d’una terra
di verbi duri, di nomi confusi
in paratassi rigide, elenchi di tagli
da macellaio: l’utile, il sangue
marcato e non marcato: messi al bando
gli aggettivi emotivi, l’ornato che sospinge
negli occhi indenni il buon seme del pianto.

Li vedeva benissimo, ma ora
meglio guardava tre case messe a scala
(cinque, quattro, tre piani)
sull’altro lato del corso: di qui
lo steccato di lamiera, le divine
erbe indomabili, rosse sugli spigoli
nel sole immenso d’ottobre, barcollò
senza inquietudine, entrò per un caffè:

degli aggettivi ho fatto a meno da subito
– finse di sussurrare alla barista –
ora rinuncio a verbi, verbi, nomi.


Scritta nel 2016.

Piove su via Pinelli

17 lunedì Ott 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

Leggo un poeta ingarbugliato, m’annoio,
lascio il libro sul letto, ascolto crescere
il suono sempre nuovo della pioggia
cui s’aggiungono il ronzare d’una mosca
e lo scrosciare di qualche veicolo
nella via, quattro piani più sotto,
immagino la scia delle ruote sull’asfalto,
le mamme che fra le pozzanghere prendono
alle scuole i bambini, i vecchi che accostano
le imposte, l’aggravarsi di penombra
alle finestre degli ospedali dove lampade
bianche economiche rimangono accese
giorno dopo giorno tutto il giorno, il fiume
con i piccoli tonfi delle gocce, signori,
io ho finito le parole, non ho
alcun desiderio di ripetere storie
già raccontate, lascio altri a raschiare
i fondi di certi vasi che parvero
nutrienti, ma ora troppo allungati
hanno bisogno d’imbonitori viscidi,
pubblicità ingannevole per essere venduti:
quante cose fanno i poeti nei risvolti
di copertina, collaborano, redigono,
hanno contatti, sono tra i fautori,
fondano, portano, trovano la cifra:
io la mia cifra è zero, sto indolente
nel privilegio dell’ozio ad ascoltare
questa pioggia soave, non c’è nessun bisogno
che io la dica, mi lascio sbiadire
nel mio sereno fallimento, era previsto,
mi rannicchio come un feto, toglierò
l’ingombro dei miei occhi dal nitore
della luce infinita che intuisco
da lontanissimo: perché ho voluto scrivere?


Scritta nel 2016.

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