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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: dicembre 2016

Penultimo giorno dell’anno

30 venerdì Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

Gli opposti si congiungono, sai
che non sono opposti, non lo sono
stati mai: sento in me un desiderio
fisico, carnale così forte
che nessuna donna potrebbe placarlo
con la carne, il cerchio si chiude
perché mai fu aperto: Angelica accorre
con cosce-nuvole, con fica-mare
odorosa, davvero sanno i morti
di violette, è alba il crepuscolo
che avvolgo in me, risorgono i gatti
dai cigli d’asfalto, dirado
con braccia non mie
il buio che non c’è, nessuno
ha mai avuto nulla se non
questo sogno che io, da tanto, conosco.


Scritta nel 2016.

Distinzione in breve

24 sabato Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, letteratura

La poesia per me
è sangue, è sudore, è sperma:
emorragia, secrezione, eiaculazione.

La letteratura per me
è noia, è falsità, è vanità:
festone sulle armi del potere.

Non ho nient’altro da aggiungere
per chiarire il concetto.
Chi non lo capisce, si fotta.


Scritta nel 2016.

Sopra una foto

20 martedì Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose erotiche, impegno civile

SOPRA UNA FOTO DI RIMMING AMATORIALE
dove una giovane donna è rappresentata in atto di leccare un culo

Il formato quadrato fa pensare
a un telefonino di qualche anno fa:
i moderni smartòfoni le fanno rettangolari.
È stato usato il flash, l’illuminazione
farebbe inorridire anche l’ultimo
dei dilettanti. Eppure è grazioso
l’insieme. Di lui si vede solo il bacino,
dall’ombelico alla coscia. Lei affonda
il viso fra le natiche, sotto lo scroto,
premendosi contro, di profilo, e fionda
la lingua, con precisione, sull’ano.

Lei è carina, capelli castani, viso lindo,
occhi larghi (li tiene chiusi ma intuisco
che sono larghi), orecchie lunghe, ricorda
vagamente qualcuna che conosco.
Ha un orecchino di brillantini,
si vedono le spalline nere di un vestito
che indossa, fuori dall’inquadratura.

Probabilmente la prima impressione
è che lei sia vittima o troia o entrambe le cose:
la sessualità è così carica d’orpelli
semantici, sociali e di potere
che mai ce ne potremo liberare.
E in «leccare il culo» è dominante
la metafora: adulazione, umiliazione,
sottomissione e altri simili concetti.

Eppure la foto è assolutamente aperta
a ogni interpretazione. Potrebbe essere
un gioco fra amici, per il gusto
di tutte e tutti; potrebbe essere
una escort noleggiata da maschi;
potrebbe essere che sia lei sia lui
siano escort, noleggiati da un terzo voyeur;
potrebbe essere un finto amatoriale
orchestrato da un pornoproduttore;
potrebbe essere una scommessa;
potrebbe essere (benché, lo ammetto,
meno probabile) che lei abbia ingaggiato
un escort che si facesse leccare lì:
io da giovane, ricordo, leccai il culo
previo pagamento di trentamila lire
a una prostituta, mai vista prima
e mai rivista dopo, che mi ispirò
chissà perché, quella cosa così intima
(ne fu un poco, infatti, stupita).

La foto è aperta a ogni interpretazione eppure
oltre al giudizio d’oscenità, prevale
l’idea che lei sia vittima o troia
o entrambe le cose. Non vengo da Marte,
anche in me è questa la prima sensazione,
ma ritengo che bisognerebbe, come dicono
gli psicologi, «lavorarci» un po’ sopra,
scavarci un po’ dentro, magari liberare
altre visuali, altre angolazioni.

E non solo per quel che riguarda le foto.

Comechessia, lei la trovo simpatica,
delicata, mi piacerebbe conoscerla,
ma queste foto, è chiaro, non si firmano:
non la potrò cercare in social network.

Per una migliore documentata comprensione
questa poesia andrebbe pubblicata
con la foto che l’ha ispirata:
ma mi bannerebbero da qualsiasi sito,
e credo che Einaudi non la vorrebbe,
l’unico luogo dove verrebbe accettata
la poesia fotodocumentata
sarebbe, credo, un portale porno:
anche questo significa qualcosa.


Scritta nel 2016.

Brucia Ferrariland

18 domenica Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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impegno civile, scenari

brucia Ferrariland
e ne sono felice
odio i parchi del consumo
e l’invasione dell’automobile
e l’inganno disneyano
e gli sponsor
eccetera

questo si sa
l’ho sempre detto e scritto
ciò che focalizzo
è una sensazione nuova
dicendolo
scrivendolo

da secoli è il potere che decide
quali sono le bestemmie
quali cose dicendo
devi provare inquietudine
timore di farti sentire
dal vicino di casa

fu solitamente un dio
o qualche dittatore
ed è ancora così in certi luoghi

ma adesso
brucia Ferrariland e ne sono felice
mi dà inquietudine
c’è un movimento di devote vestali
e capi d’accusa d’inquisitori
la crescita
l’industria di qualità
l’occupazione
il design
l’indotto
le vacanze delle buone famigliuole
vergógnati
brucia Ferrariland e ne sono felice
sciàcquati la bocca
brucia Ferrariland e ne sono felice
pèntiti o saremo costretti
a prendere provvedimenti
apologeta di disastri
sovversivo
terrorista
brucia Ferrariland e ne sono felice
brucerai tu
tu

si comincia così
per ora
è una vaga sensazione di timore
brucia Ferrariland e ne sono felice
vagamente focalizzo altri fuochi
di patiboli
per ora lontani forse
ma è un’epoca veloce
brucia Ferrariland
e ne sono felice


Scritta nel 2016. In video qui.

Devo fare, adesso, del lavoro

16 venerdì Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

Quali svolte, quali profondità
cercare
nell’assottigliarsi di tutto? Si va
da uno psicoterapeuta
per avere ascolto senz’ansia,
da una puttana
per avere amore senz’ansia,
la tariffa è identica, all’incirca:
ciò che si paga
è non essere inchiodati
a ciò che si dice,
a ciò che si desidera.

Passarla liscia, insomma,
scamparla. Ma il gioco
comporta negare
con risolutezza
– e fingere, fingere ancora.

Cercare.
La stanchezza sugli occhi
può essere buona: riduce
gli spigoli del vero, il vuoto
incolmabile
fra questa mia stanza
e la finestra di fronte:
vuoto incolmabile
ma indispensabile:
se, per assurdo, fosse colmato,
in quale spazio muoversi, poi?
Dove passerebbe la strada?
Horror pleni.

Svolte, profondità.
Sensazioni ulteriori cercare:
più raffinate forse, più crudeli.
Me nessuna che possa pareggiare
l’impulso primo, immenso, mortale.

Non capisco chi prende allucinogeni
o si butta da ponti con funi:
la cosa più estrema
è l’odore del fango, dei capelli,
del mio cazzo, dei muri di calcina:
ciò che nessun cielo né verbo né dio
potrà mai contenere
né rappresentare,
tantomeno redimere o salvare.

Devo fare, adesso, del lavoro.


Scritta nel 2016.

Scritte di quartiere

16 venerdì Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore respinto

«Ebrei al rogo»
su un muro in via Pinelli
rimasta per anni.
«Donatella ti amo»
su un marciapiede
davanti al portone di Donatella
in via Principessa Clotilde
cancellata in due giorni
con grande spreco di saponi e solventi.

Dà più fastidio l’amore
che i campi di sterminio.


Scritta nel 2016.

Con tenerezza

16 venerdì Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore vissuto

Oggi pomeriggio pensavo a te con tenerezza,
la tenerezza che mi arriva da dentro,
che a volte a muoverla sono solo dei sogni
ma a volte anche la realtà, oggi pensavo
a te, che ti hanno fatta parecchio soffrire,
che avevi un po’ di male e te l’hanno aumentato
e ti hanno fatta anche dimagrire,
che va bene che così sei più bella, lo notavo
guardandoti, non lo dicevo perché
sono cretino, timido come al primo approccio
anche dopo dieci o mille anni, però
ti hanno fatta soffrire, pensavo a te
con tenerezza, quella che mi viene l’umido
ma non di tristezza, no, di tenerezza,
quella che provo spesso per chi non c’è,
per tutte le vite che mi tocca inventare,
ma adesso è per te, che ti fanno soffrire
e tu soffri, mica bisogna nasconderlo,
è come per la vecchiaia, che è vecchiaia
e non quei vezzeggiativi stupidi, tu soffri
ma poi sei bella e poi ti muovi come se
non soffrissi, e sorridi quei sorrisi
che non sono una maschera sopra il soffrire
ma il compenso per aver sofferto bene,
e mi piaci tantissimo così, che dove passi
e dove fai e dove sei, io sono sicuro
che passi e fai e sei davvero, che è una cosa
che a me non mi succede quasi mai.


Scritta nel 2016.

Il vuoto spinto

16 venerdì Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore respinto

Sei il vuoto spinto che mi tiene sotto
chiusura ermetica, sei lo squilibrio
che preme la membrana del mio cuore:
il tuo non esserci fa la pressione
che mi schiaccia sul muro. S’incrinasse
il muro! Scorrerebbero gli spiriti
nel varco fra te e me, si quieterebbe
l’onda, una luce svelerebbe un dolce
paesaggio ai nostri passi: ci vedremmo,
ci parleremmo, tenuti per mano.


Scritta nel 2016.

Il salume

04 domenica Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, parole, scenari

vidi una volta in un video porno nella vasta fica d’una fanciulla entrare
una mosca e subito uscirne, si era in un prato, d’umori
era rorida la fica, aperta, la mosca vi si era abbeverata
brevemente, mi parve eccitante la scena, molto bella la fanciulla, pensai
che volentieri l’avrei conosciuta – ma ciò non era possibile, era ella
un’anonima modella d’un video porno non sapevo nemmeno
dove girato, dunque dovetti accantonare l’idea di cercarla, osservai
tutto il video, si alternavano grossi cazzi nel culo e nella fica
della fanciulla, bella, e altre mosche talvolta volavano, poteva
essere un’estate di pianura in un punto qualsiasi d’Europa, dove

famiglie oscure stravolgono nomi e con nomignoli rivestono
gusci di sensi e sentimenti, non c’è un filo di vento che muova
i fantocci, è statica la ballata dei beati impiccati che impiccano
vite che in stretto tempo, macabre, si dimenano, subito
immobili come presa al collo la preda dalla bestia feroce
è carne macellata, cibaria del perpetuo genocidio
che ha nome natura – famiglie oscure stravolgono nomi
e berciano, scimmie oscene, nomignoli consacrati da comprofanare
in piccole orge di pessimo gusto: come vermi da teschi i tentacoli
si sporgono a ghermire parole vergini, tirandole alle fauci
molli di madri insaziabili, concettrici d’omicidi cicalecci, vidi

a Brusson uccidere una scrofa, fu issata ancora viva, enorme
guizzante sui ganci, sgozzata e quasi simultaneamente
tagliata per il ventre fino al taglio della gola, sgorgarono
gonfie e merdose le interiora, il sangue s’allargò su piastrelle
e grembiuli, mi parve eccitante la scena sacrificale
ma volgarissimi gli ambigui sacerdoti, irrispettosi, mirati
a un utile di salumi – così come se baciano una donna
mirano a un utile di case, di famiglie oscure che stravolgono
l’essere, sovvertendo la giustificazione in doppie partite
per chiudere cerchi di bilanci d’ovili, fuori dei quali
vaghino fiere di bellezza, penetranti insidie d’incubi divini
contro le quali afferman sia pietà l’esser crudeli: ed è

perché mai non si componga il desiderio a illuminare
la scena affascinante, insopportabile sarebbe di essa
l’inesorabile perdita, meglio stare chinati al riparo
di quiete zanzariere, giaculare stravolti nomignoli
tristissimi in penombre di salotti nauseabondi
anodini, cumulare bacini e soldini, convincersi che
sia il salume il perché del maiale sgozzato


Scritta nel 2016.

Talvolta

01 giovedì Dic 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, paesaggi

Talvolta saliva di corsa al terzo piano
con la mistura d’entusiasmo e d’apprensione
che era, come si dice oggi, la sua cifra,
a leggere una sorte in occhi chiari;
talvolta passava dall’amica libraia
a prendere un pacchetto fatto su nell’alluminio
con una fetta di torta, perlopiù al cioccolato;
talvolta parlava da solo camminando
verso Porta Susa, descrivendo a sé stesso
vicende immaginarie ma possibili;
talvolta s’infuriava con stipiti e stoviglie
che gli ostacolavano i gesti, ma evitava
di farlo se qualcuno lo guardava;
talvolta attraversava i giardini in piazza Toti
con la paura e la voglia d’incontrare
tracce di primavera che gli erano proibite;
talvolta s’affrettava verso largo Marconi
per una già senile urgenza, lodando
un superstite vespasiano che gli risparmiava
un inutile caffè e le domande sui bagni;
talvolta andava dal fisioterapista
in via Montecuccoli per un conflitto
subacromiale alla spalla sinistra;
talvolta andava dalla psicoterapista
a Leinì, zona Betulle, per un conflitto
fra odori e parole, forse, o fra desideri
e doveri, o fra sogni e realtà, chi lo sa;
talvolta s’assopiva abbracciato
a una donna amata e nel sopore
mischiato con l’amore c’era tregua
alla vana battaglia del tempo e delle cose;
talvolta non capiva le domande
o non decifrava la geometria dei percorsi
e allora vacillava, cercando una fuga;
talvolta entrava nel bar dei cinesi
in via San Donato e prendeva un cappuccino
per guardarsi prendere un cappuccino,
perché ha senso due minuti vedere
uno che entra e prende un cappuccino,
giocare che facciamo che sei tu quello lì;
talvolta salendo su un tram in un vortice
di foglie secche, notando il legno lucido
d’un sedile vuoto era felice un istante,
come ci fosse nell’aria una felicità da inalare
urgentemente, che non andasse sprecata;
talvolta dimenticava sul fuoco il caffè
perché s’era messo a fare altro, preferiva
le caffettiere rumorose, che fanno capire
cosa succede, anche se sei di là.


Scritta nel 2016.

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