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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: aprile 2019

Crepa, poesia

21 domenica Apr 2019

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cose di dentro, relazioni, scenari

Crepa, poesia. Dare ritmo e armonia
al mondo e a sé stessi è una mistificazione.
Felicità? Non bisogna mirare
alla felicità, viene a volte di sbieco
brevissima, un’allucinazione.
Nella seconda metà del duemiladiciotto
ho creduto sentire la più grande
di tutta la vita, e anche la più vera:
invece era la solita finzione
della mia alacre immaginazione:
ritmo d’armonia. Crepa, crepa, poesia.
Giorno di Pasqua. Sul tram un ragazzo
nero gioca con il campanello
della biciclettina del bambino che è con lui:
dlin, dlin, dlin, dlin, dlin. Prima stava chinato,
incappucciato, e m’è parso tristissimo.
Poi ha alzato la faccia e ha sorriso.
Non so nulla di lui né di nessuno.
Accanto a me un vecchio legge
un libro di chiesa, credo, di quelli
di carta sottile coi titolini rossi.
Molta gente è aggregata. Non tutti
ma molti lo sono – in che modo non so.
Non facciamo riassuntini. Crepa, poesia.
Ho aggregato solamente sillabe
e ho dato loro titolo di mondo: se quanto
piace al mondo è breve sogno
che nel nulla precipita, perché
svegliarsi? Eppure vivere la vita
ha un suo valore intrinseco, è
in quanto è. Esistere, quel poco.
Aiutare ad esistere qualcuno
che cerca la sua vita. Brancolare
nello spazio. Sciogliersi in una
parola dolce, o carezza, le rare
volte che c’è, senza cercare un senso
né un prima o un dopo né un ritmo:
cercare nient’altro che quello che c’è.
Liberamente piangere, indifendersi.
Non so se la pioggia
desìderi
irrigare la terra, dare vita, credo
che no, non lo sappia, ma scende
così, quando succede, perché sì:
e l’erba si fa verde e non lo sa
nemmeno lei perché cresce: cresce
senza un pensiero, senza una finzione.

Finzione è invece ogni ritmo che genera
la mia voglia, ogni mia intima armonia:
crepa, crepa, crepa poesia.

O forse no, non so.


Scritta nel 2019.

La scatola del pazzo

11 giovedì Apr 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

«Sì» disse il pazzo all’amica «hai ragione:
dovrei starci di più, fare esperienza
maggiore nel mondo di fuori, dove vivi
tu, dove vivete voi persone
con le quali in maniera maldestra
mi metto in relazione: stare di più,
dopo finite le buone interazioni
e i discorsi e i contatti, a contemplarli
come sono, a sedimentarli
come sono davvero, per fissarli
bene dentro il ricordo: non fuggire
subito dentro la mia scatola dove
mi distraggo e all’uscita successiva
perdo il filo, dimentico, ripeto
gli stessi errori, tornando a ferire
e ferirmi in recidivi dolori».

«Certo è dura» continuò il pazzo «perché
nel mondo che sta dentro la mia scatola
i prati, gli angoli, la merda, la benzina,
gli androni, i fiori, le brezze, i vagoni
hanno l’odore che eccita i miei
nervi olfattivi, sui muri i rampicanti
e le grondaie e sul cielo i lampioni
fanno un disegno che conforta gli occhi,
le donne sono giovani, stanno
quasi sempre a cosce aperte, sorridono,
spesso pisciano in mezzo alla strada
e un sole radente fa brillare il fiotto,
non esiste frontiera né conflitto,
dalle finestre le musiche e le voci
mi addolciscono ininterrottamente,
giocano bambini senza piangere mai
in cortili di riverberi, di echi
che combaciano, turgidi di senso».

«Fuori no: è solo occasionalmente
(e di solito così velocemente
da non darmi certezza che sia vero)
che un androne ha l’odore che mi eccita
o che è confortevole il disegno
d’un rampicante sotto un cornicione,
piangono bambini disperati
molto spesso, se piscia una ragazza
in un vicolo e la guardo non è detto
che lei ne sia felice, dalle case
promanano litigi, c’è conflitto
e frontiera, e i riverberi e gli echi
discordi stridono, vuoti di senso».

«Ma» disse il pazzo all’amica «hai ragione:
è la realtà e tu ci vivi e per amarti
devo restarci a lungo, limitando
le fughe di riposo nella scatola,
limitandole molto, concentrandomi
con te a creare sensi condivisi
benché arbitrari, dove tu e io
ci doniamo conforto e qualche dose
di comprensione, il poco che è possibile
fra persone diverse, ed è già molto:
ha dentro un qualchecosa di salvezza
e ora mi sembra di desiderarlo».

Così disse il pazzo. L’amica rimase
perplessa, un poco diffidente, aspettando
qualche prova concreta.


Scritta nel 2019.

Discorsi sul tempo

09 martedì Apr 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

Quanto alla carne, è meglio se ad aprirsi
son vulve sane, rosee, non ulcere
o ernie o fistole: è meglio se l’aprirsi
è un gioioso congiungersi, entrare
e uscire senza intoppi, in limpida
lubrificazione: il cilindro quando
l’olio motore è nuovo, appena
versato dalla tanica, ha colore
dorato scintillante, viscoso
nella giusta misura, secrezione
di vagina felice, senza tabe:
è allora che canta, dicono i meccanici.

Datemi vulve sane da leccare
con tenerezza, che mi spremano in bocca
un fresco nettare in piccoli fiotti
intensi, in ritmo di felicità.
Sembra poco e non esiste quasi mai.

Si sta fra ulcere, tagli, abrasioni
e spesso se ne gode, vi si trova
il profondo sentire dell’umano,
fieri a sentirsi non superficiali,
non allegri volgari leccatori
di vulve sane in rugiade di piscio
odorose di bosco. Il congresso sociale
s’impegna coralmente a regalare
malattia, che nessuno ne sia privo.

Tutto esiste, fiore in boccio, topo morto
e fiore marcio, cucciolo di topo
felice di annusare la sua mamma.
Abbiamo preferenze: raramente
si tiene un topo putrefatto in vaso
sul desco ilare d’occhi di bambini:
un fiore è meglio, lo abbiamo deciso
e reciso, è anche lui morto, ma più fine.
I commensali parlano d’angosce
e il fiore è bello, domani nel pattume.

Quanto all’anima, è meglio se ad aprirsi
son sogni ariosi, è lo stesso discorso.
Ma non piace che sia a misura d’anima
la realtà, la si congegna brutta
perché si vuol che l’anima s’ammali
onde i poeti narcisisti possano
poetare tutte le loro ferite
in elegante ordine e gli psicoterapeuti
disquisire, provare a medicare
con risultati incerti. Io vorrei
vulve sane di bambine da leccare
come nelle canzoni di grotta:
la mona dele galine se la magna col pan,
quela dele bambine se la leca pian pian.
Ma sono tristissime quelle canzoni
e io non so che dire, non so più
rispondere agli imbrogli della vita.

Quanto a noi tutti, perché mai dovremmo
star bene? Tacitiamo ingiustizie
quotidiane, indossiamo vestiti
che costano sangue, comperiamo
il frutto del massacro e nel mentre
ci convinciamo di desiderare
pace e giustizia e libertà per tutti.

Datemi vulve sane da leccare,
date un antipsicotico alla schizofrenia
del mondo – in mancanza di vulve
passeggiate sul fiume, un caffè
in via Oropa dove al vecchio titolare
sono riuscito a dire: «Ci voleva
un po’ di pioggia, dopo tanto secco».


Scritta nel 2019.

 

Vorrei qualche abbraccio

03 mercoledì Apr 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

Giusta la legge sul revenge porn
– benché, io credo, esistesse già:
fanno spesso questo gioco
di aggiungere nuove parole straniere –
ma a proposito di parole
perché revenge, vendetta? Se a me
sfuggisse divulgata un’immagine
intima non autorizzata (e sarei
condannabilissimo, è chiaro) sarebbe
per bellezza, non certo vendetta:
vendetta di che cosa? È che
non capisco le dinamiche, provo
solitudine. Ho pubblicato una foto
di bei colori su un argine, cascate
di vestiti, un divano sfondato,
sembrava lo spaccato di una casa
affascinante e commentano: che schifo
e che inciviltà, quei vandali trasformano
in discarica un argine in città.
D’accordo, è anche inciviltà
ma non è questo che volevo dire,
non è questo che ho visto e mostrato.
Non capisco le dinamiche, provo
solitudine. Sono un mostro, lo so.
La ragazzina che minorenne faceva
(non a me) pompini sui gradini
di una chiesa in via Nizza negli Ottanta
ritrovata sui social è una grassa
signora ottusa con marito ottuso
senza luce negli occhi, due figli
già obesi, nei selfie sorride
e magari è felice, più felice
di quando inghiottiva sedicenne sperma
di molti sui gradini, per disfida:
in me non desta più il minimo interesse
e questo dimostra
che sono un mostro – a parziale
attenuante invoco che, se è felice,
del mio interesse non ha bisogno alcuno
– e nemmeno se è infelice, d’altronde.

Di che cosa poteva discorrere Jones
con tutti quegli altri che nel vortice
vedevan siccità? Di nulla o di quisquiglie.
Sono vecchio, sento ortiche, dubbi
– avrei dovuto coltivare campi? –
e stanchezza, vorrei qualche abbraccio
così, senza motivo.


Scritta nel 2019.

2 aprile, Vercelli

03 mercoledì Apr 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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scenari

In viale Garibaldi
mentre vado alla stazione
un vento molle muove
le foglioline nuove.

Ci passo da sessant’anni, credo
che non sia la prima volta
eppure mi sembra
che sia la prima volta.

Forse dimentico facilmente, oppure
ha ogni primavera
vertigini diverse
in cui precipitare.

Ora sul treno qualcuno parla
in modo fastidioso d’affari:
ha una voce metallica saccente
che mi forza a sentire.

Quanto tempo si perde!
Il vento è molle solo per un attimo
che già quasi non so
se sia stato davvero.


Scritta nel 2019.

L’angolo del terrazzo

02 martedì Apr 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

Seduto in riva al fiume
non importa quale
l’unico cadavere di nemico
che vorrei veder portato
dalla corrente è il mio: la carcassa
di marce ossa, cibo ai pesci
gli occhi, quelle rètine affollate
rètine retìne dove in anni
s’è impigliato di tutto
– dicevi di voler conservare, ricordi? –

Spoglio di quelle spoglie, osservarle
finalmente da fuori, constatare
che non è più che un’anitra o un ramo
la massa che affonda

e finalmente, amore, starti accanto
leggero, essere aria che respiri
acqua che bevi, ristorarti senza
altra istanza se non ristorarti…

…

Taci, cretino. Sei uomo, non vento,
fingerti vento è la solita truffa.
Sull’acqua anitre vive si azzuffano
per un pezzo di pane lanciato.

Non hanno bisogno di umiltà le cose:
noi sì, che abbiamo tanto costruito
su terreno insondato. Puliremo
l’angolo del terrazzo, metteremo
due sedie, un tavolino, passerà
fra i tuoi capelli e i miei, semplicemente
come una brezza qualsiasi, il destino.

…

Destino, tavolino.
No, nemmeno così. È che
non la so mica, io, una lingua nostra.

…

Scheda disinserita.
Scheda disinserita.
La mia mente svanisce.
Mi chiamo HAL.
Sono stato costruito…

…

Hai fatto bene a mettere il vaso con il nontiscordardimè vicino a quello del fico. Togliamo di qui questo legno e il tavolino ci sta, davanti alla portafinestra. Ti voglio bene.


Scritta nel 2019.

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