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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: marzo 2021

Questo buio

24 mercoledì Mar 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, cose di dentro

Umiltà. Faccio il bravo poeta:
ci giro intorno, scavo dentro
i ricordi, le cose, agghindo
meglio che posso. Poi la sera
a descrivermi tutto
bastano canzonette:
freddo al cuore, tristezza, dolore,
come posso stare una vita senza te,
stasera pago io.

Agghindo. Chissà che vestito
t’hanno messo nella bara.
Ho saputo tardi dov’eri.
Forse meglio così.
È lo stesso ospedale, qui vicino
dove fui ricoverato
tantissimi anni fa.

Umiltà. Fu pieno di conflitti,
non facciamo quadretti:
forse chiamarlo amore
è un abuso: chi sa amare, di noi?
Abbiamo condiviso la ferita.
È stata, questo sì
la cosa più bella di tutta la mia vita.

Qualche illusione: “attraverso te
sto imparando ad amare me stessa”
m’ha fatto sentire – io inetto – capace
di salvare chi amavo: che è
la sensazione più bella del mondo.
Umiltà. Non era vero. Se lo fosse
stato, non sarebbe finita così.

È sera, è buio, sono qui da solo
e il tuo corpo è in un loculo
all’entrata di un minuscolo
camposanto fra i monti. La realtà
è tutta qui, si descrive in due righe.
Una riga è la lama e l’altra il ceppo.

Umiltà. Sognerò da ignorante
un paradiso accogliente
dove nulla si perde, con angeli attenti
a capire ogni cosa, a rassicurarti:
corri e gioca tranquilla
bambina, non ci sono mostri qui
ma boschi nuovi, boschi da scoprire.

Intanto è buio, ma è naturale
questo buio.


Scritta nel 2021.

I canti in chiesa

12 venerdì Mar 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, dolore, scenari

Ti accolgano gli angeli
con cautela, che so io cosa vuol dire
sbagliare mezza parola con te

Ricorda Signore che l’uomo è come l’erba
“se ne ricorda, se ne ricorda”
– mi pare di sentirti mormorare

Quest’anima che hai chiamato
“ma che chiamato, l’ho deciso io
almeno questo”
– mi pare di sentirti gridare

come gridavi a me le mille volte
che non capivo
piccole cose o più grandi
“io t’ho amato, coglione”
furiosa, la tua dichiarazione

la mia voce era debole, fragile
“anch’io ma tu non vuoi”
chissà cos’era, cos’è, cos’è mai stata
la verità

però Gesù ti piaceva: “un tipo in gamba
e così maltrattato”

io non lo credo, Cri, ma se per caso
esistesse e lo trovi
diglielo, che è in gamba
e che sai com’è stato maltrattato

e che non dubiti che lui si ricordi
dell’uomo e dell’erba:
forse è solo, in paradisi di teologi
potrebbe avere bisogno di te


Scritta nel 2021.

Un limite

08 lunedì Mar 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, cose di dentro, dolore

c’è un limite

oltre il quale nulla
si può dire né dipingere
solo a volte qualcosa
in parte ricordare
ma confusi, in angoscia

i poeti finti
a distanza di sicurezza
se lo inventano, sono ridicoli
buffoni

quelli veri lo rasentano
con cautela, bisogna
salvare la pellaccia
e pubblicare i versi

c’è, al di là, un infinito oscuro
inutile ai nostri bei costrutti
una luce per cui le parole
sbiadiscono davvero

una luce o un buio, non si distingue
le parole si dileguano
davvero
non ne avrai nessuna gloria

se ti sporgi, in quello spazio
senza parole qualcosa ti chiama
qualcosa di molto importante
tu

ti chiama con un grido d’amore
muto, incessante
ma senza le parole ti sgretoli
in frammenti che non possono rispondere

se mai c’è stata una bussola
per una rotta su mari di non lingua
l’abbiamo persa: è spago di parole
a imbastirci, ci sfilacciamo senza

c’è un limite

e lo spazio al di qua
è quello della vita: non si può
tracimare: ci devi stare dentro

crescere è rimpicciolire
e diventare grandi
è diventare piccoli
abbastanza per non soffocare

ogni madre lo sa: per istinto
educa a muoverti meglio che puoi
nello spazio al di qua
così una leonessa insegna ai cuccioli
una donna ai bambini

ma qualcuno si affaccia
o è spinto a guardare, forse gli pare o sa
di venire da là
dall’infinito privo di parole

può essere un poeta ardimentoso
o un bimbo a cui il castello dei sensi
non viene bene: le carte
gli cadono, vede e rivede quel prima
che non si può né dire né dipingere

o può essere altro, non conosco le vie
ma qualunque sia il motivo c’è chi
sta male qua, è monco: da oltre
il limite sente sé stesso chiamare

forse un trauma, una ferita, d’altronde
le ferite sono porte, passaggi
labbra aperte su un vuoto che chiede
in silenzio di non essere vuoto

tu sei qui, qui dove non puoi essere
sussurra forse (ma è solo un’illazione
per il mistero che resta mistero)

qualcuno si sporge, riporta
(se si è tenuto saldo)
di qua un suono, un bagliore
che prova a evocare, trasportare
in parole, con esito modesto

ad altri non basta, è tutto più in là
più in là
chiama

c’è un limite, non lo posso descrivere
se non con grossolana
approssimazione

un filo d’acciaio a traverso degli occhi
un muro in fondo all’orto
la ringhiera d’un balcone


Scritta nel 2021.

Ciao Cri

08 lunedì Mar 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, dolore

Il portapenne che tenevi sul tuo tavolo
quando avevi un tuo tavolo a casa mia
quando stavamo insieme
è un barattolo di vetro di un succo di frutta
che ti piaceva, tolta l’etichetta
e messa, al posto, una tua fotografia.

Quando sei andata a stare altrove
l’hai lasciato da me. Ci sono dentro penne
nere, rosse, verdi, pennarelli,
un accendino, un rasoio per depilazione,
un tampax non usato… L’ho tenuto
così intatto, sperando in un ritorno
o in qualcosa, non so nemmeno cosa.

Dopo un anno di silenzio tre settimane fa
mi hai telefonato, parlato di cose
profonde o futili, m’hai confidato
ancora altri pensieri, ma hai ribadito
che non volevi vedere né me né nessuno.
Ho sperato che fosse un aprirsi,
m’hai detto dell’iscrizione all’università,
uno spiraglio, una possibilità.

Ora capisco che era un saluto:
prima di andare via, concedermi di udire
ancora la tua voce. Hai parlato
della promessa di non perderci mai,
hai detto che io non ricordavo bene:
tu non me l’avevi proprio fatta,
solo accennata come possibilità.

Hai passato un anno in totale solitudine:
neanche i giri ai tavolini dei bar
a parlare a sconosciuti, ti piaceva.
Ma non daremo la colpa al Governo
né ti chiedo perché non m’hai chiamato
sull’orlo degli abissi, in minuti
sarei stato da te. Il perché lo intuisco
con dolore e rispetto. Il dolore va bene:
non desidero che passi, sei tu.

Ora accanto al portapenne ho messo qualcosa
che mai avrei voluto, mai vedere:
l’ho preso ieri in chiesa nel tuo piccolo paese
nell’estremo saluto: se davvero ci credessero
non direbbero estremo, io che non credo in nulla
continuo a salutarti: senza nessuna fede
penso spazi dove poterci sorridere
ancora, dove amare non sia l’intricato
groviglio che è qui: dove l’amore basti.

Ciao Cri. Ora, non soffrire più.


Scritta nel 2021.

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