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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: agosto 2017

Il rumore

31 giovedì Ago 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

cose di dentro, scenari

Quando cerchi di discernere un rumore
che ti sta a cuore
che è per te un segnale
è allora che t’accorgi di quanti
rumori ci sono nell’aria:
non ci avevi, prima, fatto caso,
non era che un sottofondo normale.

Ma quando cerchi di discernere un rumore
che ti sta a cuore
li senti tutti, anche i più sommessi,
i più deboli o lontani:
alcuni ti confondono, assomigliano
al tuo e allora vorresti
che tutti tacessero, tranne
il rumore che ti sta a cuore,
quello che tendi l’orecchio per sentire.


Scritta nel 2017.

 

Nudità e corsetteria

21 lunedì Ago 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

bellezza, eros, scenari

La nudità totale ninfale
è la mia preferita assoluta-
mente nelle fanciulle, però
mi piace pure qualche corsetteria,
qualche accessorio a volte.

Le scarpe col tacco appuntito
sono belle soprattutto se posso
osservarne le suole, se i tacchi
fendono l’aria rasente i miei lombi:
non sono scarpe da camminare, sono
ampolle da capovolgere
su altari di fresche odorose lenzuola.

E un reggicalze con le sue bretelline
congiunte all’orlo opaco delle calze
senza le mutandine
fa un tabernacolo per inquadrare
la soffice particola
che di tutto è l’origine e il fine.

La nudità totale ninfale
è però il massimo: è lo spirito
che scende non nel tempio celebrante
ma in un posto qualsiasi, imprevisto, improvviso
come un refolo d’aria da un valico:
gli uomini presi dai loro pensieri
non s’accorgono, ma spesso
si volta lesto, curioso, un bambino.


Scritta nel 2017.

Notte di Ferragosto

16 mercoledì Ago 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

cose di dentro, costume, scenari

A Torino, notte di Ferragosto, i suoni
sono diradati: meno motori, più voci,
qualche tonfo, un aereo che passa, lo sciacquone
dei vicini di casa, più voci,
forse un uccello notturno al terrazzo,
un frullo m’è parso,
una radio da un’auto che apre la portiera
per far scendere una donna, più voci,
m’arriva persino il lusso
d’un suono di pianoforte da una finestra
aperta, gialla: ho mestiere abbastanza
per ambientarvi una notte in pochi versi,
volendo, ma
non m’interessa più. La domanda è che cosa
avvicina o allontana le persone,
qualcosa di mutevole che talvolta
allontana chi aveva avvicinato o
viceversa, benché il viceversa
mi sembri più raro. Prima, rincasando, ho visto
quattro neri all’angolo a far nulla, in piedi,
un quinto passa in bicicletta e li saluta
nella notte lucida, veloce: che cosa
li unisce? Ridono e domani
uno sgarbo potrebbe far luccicare coltelli,
la donna scesa dall’auto ha salutato
gaia, potrebbe già piangere stanotte
per un messaggio, per un malinteso. Che cosa
avvicina o allontana le persone, alterna
l’indifferenza all’ansia, il desiderio
alla repulsione? Quale ricercato valore
fa sopportare la monotona vicenda
dell’angosciosa quotidianità – e d’un tratto
non sopportarla più? Quale braccio di sentimenti
cinge le persone che chiacchierano, litigano,
si salutano in un intricato fibrillare
d’impulsi opposti, di capovolgimenti
accettati con rassegnata
serenità rabbiosa, come in natura lepri
che brucano l’erba e se scende il falco, scende
– ma contemporaneamente, contraddittoriamente
fanno progetti, mutui, promesse d’amore
quasi tutto fosse eterno e stabilissimo?

Notte di Ferragosto, ora più sommessa,
un rumore imprecisato, forse un portone
– sono molti i rumori indecifrabili
in qualsiasi notte o giorno – più voci
da lontano, forse un bambino
pone istanze a una madre, ma è
solo una congettura, una scena
da immaginare. Non so nulla delle vite
e dei loro perché, del prendere e lasciare
e gioire e soffrire di cose a me incomprensibili.

Una voce e un viso mi bastano per
costruire mille vite che tutte vivrei
veramente, interamente
– ma è che anche una poesia, se mi viene in mente
e scorrono le parole in testa ma non posso
scriverla subito, abortisce.
Così è dei sogni: anticipando
una realtà, la bruciano: nulla mai accadrà
di ciò che si sogna. Bisognerebbe non sognare,
forse è così che fanno le persone
che chiacchierano all’angolo in circolo:
nulla immaginano, nulla s’aspettano
e consentono dunque alle cose di avvenire
– però è strano, perché fanno i mutui, i progetti,
le promesse d’amore, io non capisco.

Fa niente. Ora è davvero silenziosa la notte,
mi metto a letto. Nel socchiudere gli occhi
è eterno ogni amore, senza alcuna promessa:
vivo ogni vita che davvero vivrei.


Scritta nel 2017.

Testimoni

10 giovedì Ago 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, amore vissuto, cose di dentro

Quando sbadiglio mi metti
l’alluce in bocca, poi sentiamo
il carillon che ti regalai, dici,
quando fingevo d’amarti.

Ma io non fingevo, t’amavo
e t’amo ancora. Domandalo
ai letti, alle case, alle panche, ai soffitti,
all’erba piegata dal vento, ai canali,
alle biciclette, ai jukebox, ai rondoni,
ai campanili, ai pullman, ai tubi,
alle tazze, alle strade sterrate,
ai vagoni, ai caffè, alle stazioni,
ai baci e agli abbracci: vedrai
che, unanimi, lo confermeranno.

Le cose vedono meglio di noi.


Scritta nel 2017.

Bell’amore

08 martedì Ago 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore

Una ragazza – non imparziale, lo ammetto, perché
mi vuole bene e gliene voglio – guardando
una tua foto ha detto:
«Bella Eva e bello il tuo amore per lei».

Ecco, ho pensato in un breve sospeso
commosso sogno o delirio: se tu
trovassi bello non me – che è impossibile – ma
il mio amore per te, che gioia sarebbe!

Se tu trovassi bello questo amarti
che ha preso in me misura di respiro
ti ci potresti specchiare, sorridere:
non ricambiare l’amore, sorridere.

Sorrideremmo, ed è tanto. Non credere
a chi dice che non avrebbe senso.
Nella muta vacuità dell’universo
l’unico senso lo creiamo noi.


Scritta nel 2017.

Mamma mi prude la schiena

08 martedì Ago 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

cose di dentro, linguaggio, scenari

sul tram tre una bambina dice
mamma mi prude la schiena
lo dice benissimo, non in bambinese
né in affettato adultese
né in televisionese, no, dice proprio
semplicemente
mamma mi prude la schiena
lo dice come è naturale che sia detto

con tutto che è vestita da bambina borghese
{borghese è tutto, tranne qualche
emarginato [ma (solo) qualche]}
con gonnella rossa sbuffante
e maglietta con principessa bionda

assomiglia moltissimo alla madre
sono belle le bambine che assomigliano alla madre
cioè, non è che siano belle
ma è bello <è divertente> che assomiglino
e possono poi essere anche belle

al padre no, non è così divertente
per una femmina assomigliare troppo al padre
è controproducente, può avere
tratti troppo virili, grossolani

assomigliano al padre le tre sorelle E.S.
in particolare la più piccola, T.
ma anche E. sta sviluppando con il tempo
un germe in tale direzione
non però in modo preoccupante

non dovrei andare a parare sempre lì
perché non dovrei?
paro dove mi pare
e divago quanto voglio divagare
[con tutte le parentesi che voglio]

maledetta tastiera che resta indietro al mio pensiero
le lente tastiere di Dover
ascoltando la bambina sul tram tre
mamma mi prude la schiena
ho pensato che vorrei rinascere
con un’altra lingua
e un altro corpo e un’altra voce

ho assimilato così tanti accenti e sintagmi
che le parole non mi sembrano mie
[le decido io, eppure]

ecco per esempio questo «eppure»
io da ragazzino non dicevo «eppure»
così come inciso, «eppure»-punto
e poi ho cominciato a sentirlo
e poi a dirlo
è ciò che voglio veramente?

anche
«è ciò che voglio veramente?»
è frase non del tutto mia
l’ho assorbita da qualche gergo

vorrei raschiare via tutte le parole
e come un giardiniere
liberate le aiuole
farle ricrescere dai semi,
dai semi antichi, farle rigermogliare
dalla loro preistoria
come sono veramente

dev’essere un mio problema remoto
perché da ragazzino m’ero inventato una lingua
– dico da ragazzino per evitare il TSO
ma a essere sincero
ci lavoravo su ancora verso i trent’anni –
una lingua solo mia, perfettamente inutile
ma perfettamente aderente
a me

poi ho smesso, per fortuna
ho smesso per via del <perfettamente inutile>
era però divertente
era complicatissima e affascinante

l’inverso del sempliciotto esperanto
non una lingua per comunicare con tutti
ma una lingua per comunicare con nessuno
difficile, inutile, divertente

poi ho voluto farmi capire
e sono pieno delle parole vostre
dei vostri accenti, delle vostre inflessioni
mi sono rivolto all’esterno
un poco

un caffettino, relazionarsi
si faccia attenzione
la mancanza d’empatia si manifesta

certe volte che capogiri, che capogiri
cade in vertigine il mio scheletro muto
spolpato

com’era Cenerentola, che le sorellastre
quello è mio, quell’altro è mio, ladra
la lasciano nuda
(nuda di un nudo disneycompatibile)
perché s’era vestita di roba scartata da loro
ma pur sempre loro

voi tutti potreste spogliarmi
delle parole che vi ho rubato:
io ne ho di mie, di veramente mie?
non lo so più

le parole, razionalmente lo so, dovrebbero essere
di tutti e di nessuno
come la donna di malaffare
(dio mio quanto amo le donne di malaffare)
di Max Manfredi:
di tutti e di nessuno,
come una lingua, come un altare

però non so
nella donna mi ritrovo se la abbraccio
avesse anche abbracciato e abbracciasse
un milione di altri uomini
fra le sue cosce riconosco me:
lei, di tutti e di nessuno, fa esistere me

la parola se non la riconosco
come generata da me in millenaria ontogenesi
non la so decifrare in voi, in te
nell’improbata filogenesi
parallela (parallela? come verificarlo?)
<difficile spiegare, difficile>
ed è capogiro, abisso, decomposizione
oltre che ovviamente
incomunicazione

{psichiatricamente potrebbe essere un io fragile il mio:
l’io forte avrà forse – che cazzo ne so? – un nucleo
invariante [plasticamente invariante? (è sensato?)]
che permane “io” nel sansebastianico martorio
di verbifrecce altrui, schizzi di carne e sangue, permane
– no, non lo visualizzo, è una cazzata}

{pure, come dicevo, se potessi rinascere
con un’altra lingua, un altro corpo,
altre parole, altra voce, altro tutto, sarei io, iissimo:
ho allora un mio solido nucleo
preverbale, prelinguistico, preformale,
precarnale, prepsichico, preontologico, lasciamo stare, boh}

nello smottare rovinoso dei sociali sintagmi
m’annovero disperso, smateriato:
è troppo abile il nemico
nell’espropriarmi l’anima
avocandola al suo lessico deviato

la palla candida che voglio lanciare
me l’annerisce mentre ancora ce l’ho in mano:
la lascio, inutile, cadere

mamma mi prude la schiena
l’ha detto bene però la bambina
sul tram tre, ho sentito quella schiena
prudere, normale, come fosse
prima d’ogni linguaggio
schiena davvero

poi cambierà anche lei, ma per oggi
è stato così


Scritta nel 2017.

Lode

03 giovedì Ago 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore

[…] se ne dai a lui quanto è a bastanza
non si vuol gettar via quel che t’avanza.

Angelo Poliziano, Rispetti, XVI

Lodata sia la donna ch’offre i baci
e i toccamenti e le carezze e il conno
aperto a molti, senza parsimonia:
accresce al mondo la felicità.

Lodata sia la donna che si fa
chiavare sì ma non chiudere a chiave:
decide lei con chi, quando e perché:
accresce al mondo la fraternità.

Lodata sia la donna che si dà
spazio e tempo a godere ed esplorare
la vita in sorridente libertà:
accresce a sé medesima la gioia.


Scritta nel 2017.

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