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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: giugno 2016

Percorso d’un sabato mattina

18 sabato Giu 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

cose di dentro, scenari

I

Stamattina nella mia testa,
mentre aspetto il tram 3,
ci sei tu che mi dici
«vivi tutto nella tua testa»:
lo dici bene, proprio con la tua voce,
e mi viene da ridere.

Poi l’ombra del tram,
nel sole del mattino,
si sovrappone a quella delle foglie
dei platani di corso Regina
e ci salgo, sul tram,
fra la gente con le grosse borse
che va a Porta Palazzo,
forse fuori dalla mia testa
– ma come esserne certo?

II

Stare attento a quello che faccio
mi ruba sogno e sguardo, cioè vita:
non dico che non sia necessario,
dico che è alto il prezzo da pagare.

III

Sul lungofiume i cinofori,
qualche bianco pensionato,
i corridori sgargianti,
i ciclisti ronzanti
e io che lento, straniero, cammino.

IV

Sul tronco mozzo d’un albero abbattuto
erbe prendono vita, creando
una bizzarra forma vegetale.

L’albero morto di questo non sa nulla,
nulla sanno di questo i nuovi steli
germogliati per caso sul ceppo:
moriranno d’autunno, forse prima
se passerà una falce comunale.

E io, che osservo, so meno di loro.

V

In via Rimini porta una vecchia
un borsone a rotelle ancora vuoto:
va al mercato in corso Chieti.

Forse anch’io comprerò della frutta:
non posso stare
sempre a lato, a guardare.

VI

Sull’altro lungofiume c’è un sentiero
umido e stretto. Dentro un fiore azzurro
fa colazione un insettino verde.

Due cinofori s’incrociano. I cani,
mentre i guinzagli li tirano via,
compongono in guaiti lamentosi
il poema dell’impedito amore.

VII

In lungodora Voghera angolo corso Cadore
un’agenzia d’investigazioni
offre in vetrina
investigazioni accurate per scoprire
l’infedeltà del coniuge
e indagini patrimoniali per scoprire
quanto potrai spillare
al coniuge infedele.

Che tristezza assoluta.
Eppure tutto questo
è accettato, è normale.

Io se entrassi a domandare
indagini per sapere
lei che vestito ha messo stamattina
e se sorride, e quanto, e come sta
sarei guardato come un criminale.

VIII

Al capolinea del 77
giocano a palla tre ragazzi, dicono:
«le ragazze sono al cancello
ma non possono uscire»
«andiamo al cancello, poi escono»
«casa mia è libera».

Penso a Romeo e Giulietta,
a oscuri conventi d’orribili suore.

Ma è solamente un uscire fra poco
dal cortile d’una scuola,
e per fortuna c’è una casa libera.

IX

A San Maurizio credo Canavese
(ho preso un treno a caso)
minaccia pioggia il cielo.

Arabi e romeni alla stazione
parlano di cose di lavoro
e di famiglia. Gli alberi accucciati
attendono il rovescio, silenziosi.

X

Alla fermata dell’aeroporto
un viaggiatore con radi capelli,
con una giacca grigia come acciaio,
carica in treno una valigia a quadri
e se la tiene stretta fra le gambe.

XI

Passano orti e poi ortensie e campi
e recinti con reti lacerate
e boscaglie e viadotti al finestrino.

Io ne compilo l’inutile elenco
incompleto, seduto sul sedile
di stoffa decorata con triangoli
azzurri, rossi, arancio, neri, blu.

XII

Via Cecchi vista dalla stazione Dora
oltre l’immensa rotonda di cespugli
e d’erbe incolte di piazza Baldissera
dove più non ricordo cosa c’era
prima che tutto fosse raso al suolo,
è una via nuova, edificata oggi.

XIII

Torno a casa col bus 52.
Non ho comprato nemmeno la frutta,
non sono andato da nessuna parte.

XIV

Nella quieta stanza, riparato
dagli öh e dai vah che non mi fanno vivere,
io finisco di scrivere.

Tu torni nella testa e mi ripeti
le cose che già so. Però mi va
che tu sia lì: mi piace la tua voce.

 

 

Figura per il IV

 

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Figura per il VI

 

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Figura per il IX

 

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Figura per il XII

 

0 0 poem 4


Scritta nel 2016.

Nel mulino

09 giovedì Giu 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, cose di dentro, scenari

«Fa’ ch’io t’ami ancora». Ti stringo
piano con le mani le caviglie
sul divano, ci accarezza
misteriosa la sera nel silenzio
della camera linda. Nessun albero è
perfetto come il seme che lo genera:
appena germogliato si contorce,
ingorga linfa a cercare sostanza,
dipana con fatica
fragili foglie assetate di luce.

«Fa’ ch’io t’ami ancora». Un dolore
mi percorre le braccia, raddrizzo
le spalle, sgranchisco i polmoni
per guadagnare aria. La gloriosa
disfatta brilla nel trionfare tenero
delle fronde mature, la bellezza
magnifica si piega al divenire
della realtà, paga il prezzo dovuto
all’essere qualcosa.

«Fa’ ch’io t’ami ancora». Don Chisciotte
vuole, commosso, portare del pane
a Dulcinea: lasciata l’armatura
diventa molinaro, entra nel corpo
fra i meccanismi, accende la lanterna
oscillante alla trave, accudisce
la macina vorace: ascoltando
il cigolare dei perni, il vibrare
delle pale abbracciate dal vento
dubita che sia sogno la farina
e soffi il vero in vortici profondi
che presto, presto ci riprenderanno.

«Fa’ ch’io t’ami ancora». Nel racchiuso
tepore impasto ciò che serve oggi:
la maldestra vivanda che imbandisco
dovrai credere tu che sia buon cibo.
Io trasognato lascio che i frammenti
del desiderio combacino a ruote
d’un paradiso sparso, dove tu
imprevedibilmente puoi sorridere.


Scritta nel 2016.

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