Che cos’è questo amore di cui tutti parliamo?
E questa libertà, così impossibile in sé?
Che cos’è che ti muove, mi muove, ci muove?
Si finge, ogni tanto, di sapere – fra speranze
e sogni si finge, trepidando, di sapere
qualche perché, qualche affinché. Bisogna
allestire un rifugio, fare scudo alla mitraglia
dell’insensatezza. Quando torna a crollare
si ammette chini che no, non si sapeva.
Ma poi di nuovo, se ancora si è in vita
(che altro c’è da fare?) si imbastisce
la trama d’un’amaca, una tregua, un riposo
in sicurezze immaginarie, sentenze
su cui un poco dondolare, bambini
che si convincono a credere a madri
per dormire senza alcun fondamento
un sonno quieto, inventato nel buio.
Che cos’è questo amore che cerchiamo
come un ignoto oltreoceano, imbarcandoci
su deboli nostri scafi o traghetti prezzolati
di biechi trafficanti, persuasi a confidare?
Quando cedo a parlarne, mille voci
dentro e fuori di me con stridore di suoni
mi deridono, mi accusano, sbeffeggiano
le parole che ancora nemmeno ho pensato
e mi smarrisco. Che cos’è che ti muove?
Che cos’è che mi muove? Dove ha fine
e dove ha inizio lo spazio del moto?
Che cosa so di me stesso, di te?
Strepita nel tinello un televisore, un cane
abbaia in qualche luogo, dalla portafinestra
vedo oscillare nel vento un ibisco: ieri
mi ha detto mia madre: è l’ibisco
che hai piantato tu, però non mi ricordo
di averlo fatto, sarò stato distratto
e solo dai grossi fiori riconosco gli ibischi
da qualche anno in qua, ripeti e ripeti:
mai li distinguerei se non fioriti. Chissà se
porterà pioggia il vento, speriamo, fa caldo.
Qui nella casa natale, a Vercelli, disteso
su un letto che forse fu mio (non ricordo)
inquadro dettagli che non riconosco.
Che cos’è questo amore di cui tutti parliamo?
La libertà che cerco, indefinita? Cosa
ha detto e dice, e a chi, la mia vita?
Il cane tace. Gracchia da lontano
qualche cornacchia, il sole si riflette
sul pavimento. Osservo i tre fori
in fila verticale di una presa sul muro.
Da bambino, ricordo, erano due
soltanto i fori, sporgevano da dischi
di vetro opachi, sulla tappezzeria
verde e dorata, se ci mettevi il dito
era subito lì sotto il metallo, la morte,
nessun salvavita, bisognava essere
bambini furbi a sopravvivere. L’ibisco:
ammettiamo, non me ne frega un cazzo
dell’ibisco, né di tante altre cose.
Che cos’è questo amore di cui tutti parliamo?
Scritta nel 2020.