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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi Mensili: gennaio 2016

Istmo

30 sabato Gen 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, paesaggi, scenari

Ora abiti su un istmo stretto
fra il Po e la Dora
più che un istmo una penisola
perché poco oltre i due fiumi
dopo essersi ancora
leggermente allontanati
confluiscono.

Ma tu e io
dopo esserci non leggermente
allontanati
temo non confluiremo
resterà una striscia arida
a separarci
e non me ne do pace.


Scritta nel 2016.

istmo di Eva3

 

Ma tu qui

25 lunedì Gen 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore

il presagio di trasparenza della pelle
quando ti accarezzo i polsi il mattino
nella luce bianca della stanza
che è entrata a poco a poco perché noi
non abbassiamo mai le tapparelle

come la luce a poco a poco il tempo
entra e ci ruba – ho inseguito ragazze
che sono fuggite in labirinti di vicoli
ma tu qui come ti tengo da questo
andare che né tu né io decido


Scritta nel 2016.

Ballata al capolinea del tre

25 lunedì Gen 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore e morte, cose di dentro

del lavoro la schiavitù
è madre della virtù
mentre l’ozio è padre del vizio
se ti vizia ti sevizia
le obese insaccate con frotte di bambini
di cui i maschi già le guardano protervi
mi irritano i nervi
così come
le finestre abbandonate del settimo piano
ennesim’Eden lasciato da Eva
così come
l’idiota tranviere che vuole sopprimere
i tram di sera perché c’è poca gente
solo tossici e troie
così come
l’obesa non insaccata che al tranviere pontifica
in lingua oscura d’Italia meridionale
ch’avrebbe il sindaco a scacciare
gl’immigrati
contestualizzare?
io dovrei cordialmente contestualizzare?
e a quale immondo mondo?
chine sotto bollette luce e gas
le obese insaccate e non insaccate
secernono bava di rabbia impotente
stagnante maleolente
mai comprenderebbero il dramma ventoso
d’Eva che non mi parla
io come posso comprendere il loro
blatte lente con zampe malate
sotto natiche abnormi
adoratrici di un breve suolo
grumo che imbratta i cieli e gli abissi
è da voi che vorrei poter difendere
io prode paladino
la bella Eva che avvolgendo in mormorii
nella vostra pochezza attraete
io prode paladino
il mio nulla è più del vostro tutto
vola il mio nulla
sulle grevi carcasse del tutto
tarchiati insetti ciarlieri
con giacche alla moda fintamente trascurate
io ho acqua valente a lavare
la saggezza che voi vomitate
ma sono solo a passare e ripassare
lo straccio vendicatore
ed è fitta boscaglia di spine
la zizzania che voi seminate
fra Eva e me
con naturalezza perché
fra qualunque Eva e qualunque me
davanti a ogni Angelica pensata
voi ciechi gaudenti di vostra cecità
seminereste
fra voi annuendo la vostra sapienza merdosa
di lavoro e serena sicura schiavitù
mentre l’ozio terribile e divino
schianta il mio cuore nell’incessante bufera
di noia e d’ardimento
io sono preso in un turbine di vento
che voi protetti nelle crepe del fango
riuscite a credere di non percepire
ma il vento porta l’acqua
che vi sommergerà
strilleranno come scrofe le insaccate rovesciate
fra gli annegati figli
una palla di fucile farà esplodere
il cranio dell’idiota tranviere
e liberi sul suo sangue i tram danzeranno
giorno e notte
e benché la mia morte sembri uguale
sarà diversa
col braccio teso a Eva da salvare


Scritta nel 2016.

La studentessa di medicina del 1896

17 domenica Gen 2016

Posted by carlomolinaro in prosa

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Tag

costume, letteratura

Su un tram di Torino nel 1896 sale una studentessa di medicina – strana creatura della modernità: lo racconta Edmondo De Amicis nel suo interessantissimo libro La carrozza di tutti.

Due uomini presenti sul tram incominciano a parlare di questa giovane che non se ne sta più a casa a cucire, ricamare, fare le pulizie e aspettare un marito, ma va all’università, e perdipiù a studiare medicina.

Trovo molto significativa la dialettica delle opinioni. Siamo a Torino nel 1896, il Novecento incombe.

Il primo uomo parte in modo concessivo a malincuore: «certo, sono cose moderne, adesso è così, però era meglio quando le ragazze stavano in casa».

Il secondo uomo, più progressista, ribatte che non c’è niente di male e che anzi è una cosa utile che ci siano donne che fanno il medico, soprattutto per visitare le altre donne, e dice più o meno così: «lotto con le unghie e con i denti per tenere mia figlia chiusa in uno scrigno, e poi lei ha un malessere nelle parti intime e arriva uno sconosciuto che ci mette le mani dappertutto».

Il primo uomo è un po’ toccato in positivo dall’argomentazione (evitare che un uomo medico metta le mani dappertutto) ma non è convinto, scuote il capo: «mah, sì, però a me una ragazza che sa tutto, non mi piace».

Il progressista replica in questo modo: «e allora dovresti andare a teatro, a vedere come tante ragazze in platea le fanno vedere [le tette nelle scollature] come frutta sul banco del mercato… io preferisco una che sa tutto a una che mostra tutto».

Riassumendo: la studentessa di medicina è una novità difficile da accettare, ma è utile perché eviterà che un uomo medico vada a toccarti una figlia o una moglie, aprendo lo scrigno dove le tieni giustamente chiuse. Inoltre, è più lodevole di quelle sgualdrinelle che vanno a teatro in abiti scollacciati (sembra sottinteso che si ritiene che le studentesse di medicina non vadano a teatro).

Trovo interessante il dialogo perché evidenzia che i due principali valori femminili sono non sapere e non mostrare (con la palese eccezione del bordello, dove le donne sanno e mostrano, ma va bene perché non sono donne, sono puttane).

Vabbè, era il 1896, sono passati centoventi anni e adesso è diverso. Resta, al massimo, qualche modo verbale – poco tempo fa a una serata di poesia una mia amica disse di un’altra amica, gradevolmente scollata: «eh, così è proprio come mostrarle sul banchetto al mercato».

Oggi (nella cosiddetta «nostra cultura») è abbastanza accettato che una donna sappia. Che mostri, è accettato anche – ma forse un po’ meno: il mostrare liberamente sé è collegato a un dare liberamente sé che un certo allarme qua e là lo crea ancora.


Scritto nel 2016.

La casa lasciata

12 martedì Gen 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore respinto

Una tapparella azzurra è alzata,
l’altra abbassata,
il balcone è vuoto, la casa
è stata lasciata.

Nemmeno qui già abiti tu più.

Nel mio cuore
non hai voluto abitare mai.

E pensare che ci sono stanze libere
ariose – e l’affitto è conveniente:
un sorriso ogni tanto,
un cenno d’esistenza.


Scritta nel 2016.

18gen16h1302

Donna di ponti

10 domenica Gen 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore vissuto, scenari

Tu sei donna di ponti:
ponti su fiumi,
ponti su canali,
ponti su ferrovie,
ponti su niente.

Il più audace dei ponti
l’hai voluto costruire
fra te e me:
infine per scoprire
che non c’è abisso
da scavalcare.

C’è sorridere un poco,
tenersi,
aspettare un chiarore.


Scritta nel 2016.

00xp2

Ma forse un po’ sì

06 mercoledì Gen 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

incosciente e superficiale
e stronzo
lo sono certamente: quel senso
di sgomento e rimpianto
(non so se avete presente)
proprio dentro le viscere, mordente
quando affiora il ricordo
di qualcosa di sbagliato o mancato
per propria colpa, nella vita
(credo che abbiate presente)

mi prende sì per il matrimonio svogliato,
per l’inganno più o meno consapevole
ai danni di quella che ho sposato,
per vent’anni di recitata borghesia,
per il divorzio coi bambini in età critica,
per l’essermi con inerzia adagiato
trent’anni interi in un lavoro noioso,
per un quarto di secolo annegato
in alcolismo triste, rancoroso,
per la vita chiusa in sogni,
priva di vere umane relazioni,
per aver letto pochissimi libri
e ascoltato pochissima musica
e sapere quasi niente del mondo,
e per altre cosette così

ma mi prende molto di più
per non essere andato al Teatro della Caduta
un giorno di primavera del 2009
quando in uno spettacolo di Federico
Eva dal vivo faceva Camilla
e io non m’ero accorto,
ero a cena da Malvina
e non m’ero accorto

razionalmente
poi lo so che è più importante
aver perso il maggior tempo dell’unica vita
in un lavoro di merda
in un matrimonio sbagliato
in nausea di bottiglie d’alcol da supermercato
e avere me stesso ingannato
e altre persone con me
razionalmente
lo so

ma nelle viscere
c’è molto più scompiglio di vuoto
se mi ritorna in mente
di non essere andato
al Teatro della Caduta
quando Eva dal vivo faceva Camilla

e sono le viscere che contano
non l’appiccicata estranea
finta imparaticcia
ragionevolezza

dunque non ho scusanti
e nemmeno più le cerco
sono incosciente e superficiale
e stronzo

e non so nemmeno
quanto mi sia utile sapere di esserlo
– ma forse un po’ sì


Scritta nel 2016.

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