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Mentre cenavo da solo nel silenzio
ho pensato che credo di amarti
perché con tutti gli strazi – tu m’eri
aguzzina, m’accusavi di esserlo,
eravamo due bambini col bisogno
di scalciare e con l’altro bisogno
di rannicchiarci come gatti
in cesti fiduciosi che però
per nessuno di noi sono esistiti –
con tutti gli strazi, dicevo
dormirti accanto fu beatitudine
di quella che in qualsiasi vita è rara
e il sesso inconcepibile, la sagoma
vuota d’un taglio omicida o
mancante per agenesia, dicevi
(quel tuo mestiere intermittente)
“sto bene con il sesso a pagamento
perché almeno lo so che cosa accade”
ma non sarebbe stato un espediente
pagarti, che poi io peggio di te
nemmeno a pagamento so, però
dormirti accanto fu beatitudine,
irragionevole pace immaginaria
così reale, le tue braccia esili
sul mio collo, come complici o figli
o qualcos’altro di non insidioso,
di fido all’abbandono, gli occhi chiusi.
Furono belle quelle poche notti
pur con tutti gli strazi – ora nei mesi
di quest’assenza senza fine, credo
di amarti ma non chiedo a te di credermi:
sono iridi d’olio i miei pensieri
su pozze mobili, rilucenti a volte:
forse solo seccandosi, morendo
fissate in un disegno impercettibile.
Scritta nel 2020.