In riva al fiume, erboso, fangoso.
L’odore arioso delle foglie, dei fiori.
Più in basso, un odore macerato
di cose morte – le stesse foglie, dopo.
Mi inebriano entrambi, con tutte
le sfumature intermedie, gridano:
muoviti, cazzo, grida, mordi!
Che cosa fai lì fermo? Osservi
lentamente il tuo cadavere passare?
Che cosa faccio! Mi scoppia nella gola
il mordere, il gridare – non esce.
A chi grido? Cosa mordo? Non vedete
il vuoto e il silenzio che, loro, mi divorano?
Odori di tutto, perché m’inebriate?
Perché eccitate i sensi di un fantasma?
Nuota un’anatra, s’immerge, quasi invidio
il cacciatore: pam! s’interrompe nel sangue
la placida scia. A che cosa eccitate
voi, odori di tutto? Alla preda e alla copula
che è una preda anch’essa: divorare
e rigenerare, nel cieco dolore
che non si sa dolore e si rinnova.
Io non uccido e non ingravido, mi scoppia
in gola un grido, un morso. Ho dato
alle cose dei nomi, per poterle perdere
e ora tutto manca e nulla torna:
ho inventato la morte assoluta, diversa
dal vostro innocuo gioco di molecole
e mi schiaccia, mi schiaccia… Dal mio ventre
anche salite, odori, indossate le bianche
tuniche degli amori, delle labbra
che nude si premettero creando
nel profondo dei corpi incorporei mondi
meravigliosi, arcobaleni illusi
di sopraesistere all’oscura pozza
che s’indurisce in un fango di larve.
Mi sono tolto lo spazio del grido
e del morso, sono un uomo, voi odori
che mi eccitate a vuoto non avete
facoltà di pensiero – se anche l’aveste
non potreste sapere come muoio.
Vi ringrazio, però: questo rivo strozzato
di sensazioni è diverso dal nulla
che nel baratro attende. In riva al fiume
erboso, fangoso, rimango per un poco
con voi, odori, vi parlo, sono matto:
ora torno alla strada, alle faccende.
Scritta nel 2022.