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Alla fine, Enea Vaschz scese al compromesso: imbrattare il
suo sogno, per poterlo raccontare. Già chiamarlo sogno era un
compromesso: Enea Vaschz sapeva che ad abitare nella sua mente
era, tutta intera, la realtà. Ma chiamarlo sogno era un primo
passo necessario per comunicare. Enea Vaschz si sedette al tavolo
per scrivere. Respirò profondamente. Dubitò ancora di sé e
della propria intenzione. Sapeva di dover affrontare, di minuto
in minuto, l’assalto dell’inedia, la seducente consapevolezza
dell’inutilità. Ma volle provare a cominciare.

Si richiamò alla mente la più recente delle geniali metafore
con cui giustificava a se stesso il proposito sacrilego di sporcare
di lingua la purezza indicibile della realtà. I coloranti dei chimici.
I chimici, per vedere la roba, la sporcano. Non hanno un
altro modo. Quindi non vedono la roba davvero, vedono una
roba sporcata. Ma si accontentano. Non c’è altra via. Raccontare
è lo stesso procedimento. Sporcare con le parole, perché si
possa vedere – vedere qualcosa, quanto meno. Qualcosa, dentro
il falso dei coloranti.


Questo è l’incipit di L’odore delle gambe delle donne, Miraggi Edizioni, 2015. Lo si trova ordinandolo nelle migliori librerie oppure sul sito dell’Editore.