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Su un tram di Torino nel 1896 sale una studentessa di medicina – strana creatura della modernità: lo racconta Edmondo De Amicis nel suo interessantissimo libro La carrozza di tutti.
Due uomini presenti sul tram incominciano a parlare di questa giovane che non se ne sta più a casa a cucire, ricamare, fare le pulizie e aspettare un marito, ma va all’università, e perdipiù a studiare medicina.
Trovo molto significativa la dialettica delle opinioni. Siamo a Torino nel 1896, il Novecento incombe.
Il primo uomo parte in modo concessivo a malincuore: «certo, sono cose moderne, adesso è così, però era meglio quando le ragazze stavano in casa».
Il secondo uomo, più progressista, ribatte che non c’è niente di male e che anzi è una cosa utile che ci siano donne che fanno il medico, soprattutto per visitare le altre donne, e dice più o meno così: «lotto con le unghie e con i denti per tenere mia figlia chiusa in uno scrigno, e poi lei ha un malessere nelle parti intime e arriva uno sconosciuto che ci mette le mani dappertutto».
Il primo uomo è un po’ toccato in positivo dall’argomentazione (evitare che un uomo medico metta le mani dappertutto) ma non è convinto, scuote il capo: «mah, sì, però a me una ragazza che sa tutto, non mi piace».
Il progressista replica in questo modo: «e allora dovresti andare a teatro, a vedere come tante ragazze in platea le fanno vedere [le tette nelle scollature] come frutta sul banco del mercato… io preferisco una che sa tutto a una che mostra tutto».
Riassumendo: la studentessa di medicina è una novità difficile da accettare, ma è utile perché eviterà che un uomo medico vada a toccarti una figlia o una moglie, aprendo lo scrigno dove le tieni giustamente chiuse. Inoltre, è più lodevole di quelle sgualdrinelle che vanno a teatro in abiti scollacciati (sembra sottinteso che si ritiene che le studentesse di medicina non vadano a teatro).
Trovo interessante il dialogo perché evidenzia che i due principali valori femminili sono non sapere e non mostrare (con la palese eccezione del bordello, dove le donne sanno e mostrano, ma va bene perché non sono donne, sono puttane).
Vabbè, era il 1896, sono passati centoventi anni e adesso è diverso. Resta, al massimo, qualche modo verbale – poco tempo fa a una serata di poesia una mia amica disse di un’altra amica, gradevolmente scollata: «eh, così è proprio come mostrarle sul banchetto al mercato».
Oggi (nella cosiddetta «nostra cultura») è abbastanza accettato che una donna sappia. Che mostri, è accettato anche – ma forse un po’ meno: il mostrare liberamente sé è collegato a un dare liberamente sé che un certo allarme qua e là lo crea ancora.
Scritto nel 2016.