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Seduto in cucina a mangiare
marmellata di fichi su un biscotto
noto la luce accesa in camera, qui
dalla cucina si vede la camera
di sbieco, una parte della porta
e c’è la luce là, come in certi film
c’è un buio prima e poi la luce là
in questa inquadratura. Chissà
poi perché certi film, succede
nella realtà, eppure… Ricordo
nella casa natale, spesso, dei tagli
così di luce, oltre un lungo buio
e restavo al di qua. C’è la morte
in questi scorci e c’è anche la vita
di riflesso, e le azioni, e le precisazioni:
così insensato è tutto. Confettura
si dice, di fichi, marmellata
è solo di agrumi, no, io dico
marmellata di fichi, sono libero
in queste cose minime, intanto
osservo inerte sdrucciolare il tempo
e non desidero roba da fare
per riempirlo, non ha bisogno il tempo
di riempimenti, il silenzio fortissimo
è già pieno da sé, come una bolla:
non so se mi contiene o se cammino
come una mosca su un vetro, da fuori.
Accade una miriade di cose
mentre mangio un biscotto e di là in camera
noto la luce accesa: si rovesciano
mondi, non so se mi trascinano
con loro, con qualcuno di loro
o se indenne rimango in altre attese
d’altri rovesci. Si potrebbe dipingere
su tela a olio il riquadro di luce
e immaginarci dentro l’infinito
attenuato dall’arte, immaginarlo
direttamente è pericoloso, ma
che importa l’infinito? Sono i tratti
di buio fra le luci, fra le stanze
il campo che sta a cuore. O nemmeno
è questo. Non lo so. Non so mai niente.
Potrei andare a spegnere la luce
in camera, da non so dove arriva
una voce metallica, ora un’auto
è passata, il rullo delle gomme
si perde in lontananza, dove andrà?
Non me ne importa nulla.


Scritta nel 2020.