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[Uno stilita coreano è su un palo
dal giugno del duemiladiciannove:
protesta contro un’azienda assassina:
lo lasciano stare, è pubblicità.]
Giunse in città, le strade deserte
lo sorpresero, domandò a una donna:
«Ma dove sono tutti?»
Tenendosi a distanza, sospettosa
gli rispose la donna: «Non lo sai?
C’è Questo che si aggira dappertutto
e ne abbiamo paura. È invisibile,
può annidarsi in ciascuno, c’è chi dice
che già s’annidi in tutti, ed è spietato:
ne moriamo, ci uccide».
«Ed è per Questo che tutti stanno in casa?»
«Sì, nella casa ti senti protetto,
si è più sicuri, così ci hanno detto:
io sono uscita solo per il cibo
da comprare al negozio».
«Ma il rombo che si sente oltre le case
cos’è?» «Sono le fabbriche, le fabbriche
non possono fermarsi, c’è bisogno
che le cose si facciano, gli eroici
operai stanno ogni giorno alle macchine».
«Perché la scuola è chiusa?» «Riunire
dentro le aule i ragazzi, i bambini
sarebbe un’esca per Questo, potrebbe
insinuarsi e dilagare, entrare
attraverso i bambini nelle case.
Tutto quello che serve sapere
lo dicono gli schermi dei computer:
non servono maestri o professori».
«Sono deserti i giardini, i lungofiume,
vuoti i sentieri che vanno in collina:
nessuno più si ferma a contemplare
la stagione che sboccia?» «C’è pericolo
a stare fuori, a contemplare i fiumi:
Questo è in agguato da chiunque incontri
in ogni luogo o tempo. Nella casa
si è più protetti, l’hanno detto, e se vuoi
ci sono fiumi da guardare in video
sugli schermi dei nostri computer».
«E nessuno si bacia, nessuno
s’innamora incrociando lo sguardo,
nessun corpo fremendo s’intreccia
ad altri corpi per l’estasi antica
che dà vita alla vita?» «Te l’ho detto:
c’è Questo che si annida dappertutto:
unire corpo a corpo non è ammesso:
Questo approfitterebbe, prenderebbe
l’un corpo e l’altro».
Guardò di nuovo le strade deserte,
esangue la città sotto un bel cielo
che nessuno vedeva. «Dunque»
disse alla donna «voi restate in casa
pallidi e tristi perché temete Questo.
Ma cosa è Questo? Perché tu lo chiami
con un neutro pronome
che non dimostra nulla? Non ha un nome?»
La donna fece un passo, solo uno
abbassando la voce: «Questo ha un nome
ma dal tempo dei tempi più nessuno
lo pronuncia: è di cattivo gusto
pronunciarlo, toglie reputazione
al pronunciante, gli dà cattiva luce».
«Ma tu lo sai quel nome?» «Io lo so
però non lo pronuncio». «Ma per me
che sono forestiero, non potresti
fare eccezione, rivelarmi il nome?»
La donna fece ancora un passo, alzando
davanti al volto un bavaglio di garza
e sussurrò: «Va bene, forestiero,
io ti dirò quel nome, però poi
allontànati, cerca un luogo chiuso
e sicuro, siamo stati già troppo
qui all’aperto a parlare, è vietato».
Il forestiero percepì l’immensa
paurosa tristezza che regnava
sulla città, rispose: «Va bene,
mi allontanerò, dimmi quel nome».
«Questo si chiama Morte. Ora vai via».
Fuggì la donna. Avrebbe voluto
lui dirle: «Dunque voi state qui morti
per tema della Morte, anticipandola»
ma nella via non c’era più nessuno.
Il forestiero non volle camminare
su fantasmi di strade fra le case
mute e serrate. Volse i passi indietro
verso paesaggi sconosciuti, verso
rischiose valli palpitanti, fragili
di morte e vita, da cui proveniva
senza sapere come. Sul confine
si tolse dalle scarpe un po’ di polvere.
[Uno stilita coreano è su un palo
dal giugno del duemiladiciannove:
protesta contro un’azienda assassina:
lo lasciano stare, è pubblicità.]
Scritta nel 2020.
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