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Umiltà. Faccio il bravo poeta:
ci giro intorno, scavo dentro
i ricordi, le cose, agghindo
meglio che posso. Poi la sera
a descrivermi tutto
bastano canzonette:
freddo al cuore, tristezza, dolore,
come posso stare una vita senza te,
stasera pago io.

Agghindo. Chissà che vestito
t’hanno messo nella bara.
Ho saputo tardi dov’eri.
Forse meglio così.
È lo stesso ospedale, qui vicino
dove fui ricoverato
tantissimi anni fa.

Umiltà. Fu pieno di conflitti,
non facciamo quadretti:
forse chiamarlo amore
è un abuso: chi sa amare, di noi?
Abbiamo condiviso la ferita.
È stata, questo sì
la cosa più bella di tutta la mia vita.

Qualche illusione: “attraverso te
sto imparando ad amare me stessa”
m’ha fatto sentire – io inetto – capace
di salvare chi amavo: che è
la sensazione più bella del mondo.
Umiltà. Non era vero. Se lo fosse
stato, non sarebbe finita così.

È sera, è buio, sono qui da solo
e il tuo corpo è in un loculo
all’entrata di un minuscolo
camposanto fra i monti. La realtà
è tutta qui, si descrive in due righe.
Una riga è la lama e l’altra il ceppo.

Umiltà. Sognerò da ignorante
un paradiso accogliente
dove nulla si perde, con angeli attenti
a capire ogni cosa, a rassicurarti:
corri e gioca tranquilla
bambina, non ci sono mostri qui
ma boschi nuovi, boschi da scoprire.

Intanto è buio, ma è naturale
questo buio.


Scritta nel 2021.