mentre tra le ossa fini
dilaniate non potevo
respirare senza ridere
Cristina Paolino
Con le consuete approssimazioni, è come se
dentro la cassa toracica non ci fosse niente.
Le mani, le braccia, il collo, anche il cazzo
e le gambe, benché indebolite, ci sono.
La testa, insomma, la mia testa non l’ho mai
percepita molto, d’altronde è una parte che
non puoi vedere direttamente: in assenza
di specchi d’acqua, la storia di Narciso
sarebbe stata un’altra. Però insomma, la testa
in qualche modo c’è. Ma nella cassa toracica
niente – almeno non mi fa male, volendo
vedere un lato positivo. È un guscio
simile a ciò che resta di certi grossi insetti
se un parassita o un predatore li svuotano:
un involucro secco. È una sensazione, certo
ho scritto “come se” – ma è così: tutti gli organi
si sono vaporizzati, come al centro
dell’esplosione di una bomba atomica.
Tu che precipiti dentro il cortile.
Non è interessante, e in questi tempi
frettolosi non sarebbe proprio da raccontare
al medico di base, servono sintomi semplici
per ricette mandate via mail.
Sono confuso. Il mondo non è mai stato
granché, ma adesso si è slogato in parti
che non combaciano. Se racconto una cosa
sento violentemente che non è quella cosa:
ci rovinano dentro pezzetti accostati
con faciloneria, fingendo sia un mosaico
dotato di senso, mentre invece è caos.
Scatto qualche foto. La foto è una delega, inquadro
una porzione che vedo e scelgo del reale
e non ne dico nulla: faccia lei, signorina realtà;
fate voi, signori che eventualmente guardate.
ma invece scattando tu significhi eccome
bla bla gne gne perché dici trasmetti
gne gne bla bla – m’hanno scassato il cazzo
tutti gli artisti e tutti i pensatori:
non lo vedete quanto siete inutili?
Ma più inutile io. Quante scemenze
fastidiose. Ho frantumato dei biscotti
dentro lo yogurt, per pranzo mi basta.
Il rosmarino, il fico, la calandiva, l’edera
e alcune altre piante imprecisate
sul balcone verdeggiano nell’undici novembre.
Prenderò treni per Vercelli. Le scene
dei treni posso raccontarle, è uno sfogo infantile
ed è gente in transito, di cui so così poco
e così poco dico da non sentirmi in colpa
se ciò che dico non è ciò che è.
Tu che precipiti dentro il cortile.
Non è concessa nessuna imprecisione:
tu non le concedevi. Un ideale alto
di vita è un disturbo che toglie la vita:
lo dico ma non è proprio così
o forse sì, l’incrinatura spinge
i vili a riva e i non vili all’abisso
(traggo spunto da un carme di Gozzano
signori della giuria, non è questa la poesia?)
Un cappuccino in strada San Mauro
in riva al traffico, una longitudinale
profondità modesta da guardare
mentre a un tavolo accanto «non siamo razzisti
– dice una racchia – ma ci fanno diventare».
Racchia è scorretto! Andate a cagare.
Anzi ci vado io, che mi scappa, poi esco
per bus e treni, nel divertimento.
Scritta nel 2022.