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Le porte degli ospedali, degli ospizi
sono porte infelici: se chiuse
mettono tristezza, se aperte tristezza:
sull’angoscia che vaga in corridoio
o stagna chiusa dentro. Le visite
sono spesso irritanti o se gradite
è irritante lo svanire oltre gli spigoli
con inutili saluti inadeguati.

Qui si rimarca l’assurdo del mondo
che però è dappertutto, nelle case
e nelle vie, nell’affanno dei negozi
e nel tedio degli ozi. Qui è più esplicito
l’ergastolo a cui siamo destinati
che però è dal nascere, da sempre.

Ci si abitua, lo si rende normale
in una ipnosi né agra né dolce:
chi si sveglia urla o corre ed è matto
e lo si lega o fugge, vola via:
vola senza speranza di volo
perché in un’evoluzione adattativa
un’atrofia fino all’agenesia
ha, delle ali, lasciato un ricordo
vago che si confonde con il sogno.

È un inganno letale il disinganno.

Io poi non so che dire. Sto vivendo,
mi manchi, guardo foglie nella brezza
d’autunno vorticare verso terra
nel destino ordinario, incomprensibile.


Scritta nel 2022.

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