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Ho trovato, infilato in un vecchio libro, questo strano componimento, scritto a penna su carta grezza. Non è di grande finezza, sembra il tentativo poetico di un artigiano alfabetizzato (penso al commesso farmacista gozzaniano) o di uno scolaro. C’è un riferimento manzoniano, con la differenza che qui agli azzeccagarbugli (alla “legge”) si è rivolta la ragazza stessa, non un promesso sposo. Ci sono alcune parole indecifrabili, forse di un gergo locale o di un idioletto familiare: che cosa sono gli smarti e gli engioi? Il mitù che si ripete potrebbe essere il nome o soprannome affettuoso dato alla fanciulla, oppure un semplice espediente ritmico. Complessivamente, il testo non è oscuro, e potrebbe datarsi intorno alla metà dell’Ottocento: a simboleggiare le caste alte c’è la classica tradizionale regina, ma compaiono già anche i potenti della rivoluzione borghese industriale. Il finale è tragico, con un suicidio. L’ambientazione è rustica, forse con una migrazione a breve raggio tipica di quell’epoca (i paesi non suoi) – migrazione che potrebbe essere simbolica, se vogliamo attribuire questa capacità all’ignoto anonimo autore, spinto probabilmente a scrivere, in modo occasionale, da una storia vera da lui vissuta.

MITÙ

Mitù, mitù, se tu
fossi stata regina!

canta la ragazzina
nei paesi non suoi
fra gli smarti e gli engioi
che da ogni vetrina
urlano meraviglie
di brutte paccottiglie.

Ha in una tasca i fogli
degli azzeccagarbugli
con un’archiviazione
del regio tribunale:
non s’abbia a sparger male
sulla reputazione
del signore potente
che a suo piacimento
per il suo gradimento
si prende chi gli pare.

Mitù, mitù, se tu
fossi in nobili arti
fossi in giri potenti
figlia di grandi padri!

allora guai ai ladri
e forca ai delinquenti
che hanno osato rubarti!

Ma sei contadinella
bella come una stella:
lo sanno il bosco e il fiume
la luna che fa lume
lo sanno il pino e il noce
l’erba che ti conosce.

Mitù, mitù, non più
cerco qui una salvezza:
mi vince la tristezza.

Tace la ragazzina
e adagio s’incammina
per i sentieri suoi
dove canta il torrente
dove l’acqua è lucente:
quasi sorride, poi
lascia i fogli sulla sponda
si abbandona nell’onda.


Rinvenuta nel 2023, scritta forse alla metà del sec. XIX.