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m’ha di nuovo sorpreso il profumo
del calicanto, mi sorprende ogni anno
nel giardino di Vercelli, è lì
da prima che nascessi e mi sorprende
nell’inverno, quest’anno forse
ha ritardato un po’, ma non sono sicuro,
poi in corso Libertà sono entrato
nell’antica cartoleria Larizzate
che è antica perché lo è ma
non recita la parte dell’antica,
è riscaldata con una stufa a gas,
non l’ho vista, la stufa, ma ho sentito
l’odore del bruciato di gas, misto
all’odore dei quaderni, ho comprato
due notes piccoli, per gli appunti piccoli,
mi sono dimenticato di comprare
(ci avevo pensato in treno)
una matita, per scrivere sulle pagine
dei libri, segnare certi punti
nelle pagine dei libri, che a biro
è brutto, anche se poi non è
che si cancelleranno mai, chi vuoi
che cancelli annotazioni da un libro,
però lo stesso a biro è brutto,
è più bello a matita, queste cose
sarebbero tranquille, placide,
il calicanto, l’odore della stufa,
l’inverno, Vercelli, la matita,
e allora perché sto scrivendo con affanno,
picchiando sulla tastiera come servisse
a muovere tasti di vecchie macchine,
questi tasti di computer invece
basta sfiorarli, io li picchio, il calicanto
è una scia dolce in mezzo alla solitudine
oscura
ma io non so se le perdono, le scie
dolci, la signora della cartoleria
non ricordo la faccia, non avevo
voglia di guardare, poi al supermercato
un’ora con l’ansia e la noia
a cercare un surgelato
che mia madre voleva proprio quello,
un hamburger Findus, non lo trovavo,
poi l’ho visto, era uguale a tutti gli altri,
schifosissimo, le pesche sciroppate
no, mi sono arreso, ho chiesto al banconista
del reparto macello, lui ha detto non so
ma forse, non sono sicuro, ha detto,
in fondo all’ortofrutta, l’ultima parete,
le pesche sciroppate in effetti
sono un conflitto di caratteristiche,
sono frutta e sono scatolame,
tutto dipende dai canoni adottati
dal supermercato, è stressante, non basta
un calicanto a salvare una città
o una gioventù, se non altro cercando
pesche e surgelati è passata l’ora
della coda alla cassa
delle massaie pensionate gracchianti,
io le odio, cioè sì, me ne sbatto
della correttezza, io le odio,
si fottano, povere vecchine, crepino,
m’ha rotto il cazzo anche il calicanto
e la vecchia cartoleria, cioè no,
il calicanto lui è bello e anche
la vecchia cartoleria, la signora
non l’ho guardata perché temevo non fosse
abbastanza bella per la cartoleria,
non è che devo sempre guardare tutto,
certo Laborit disapprova
prendere pezzi di sottostruttura
e costruirci su un mondo e imporlo,
ma io mica lo impongo e non so
che altro potrei fare, il calicanto
ha buon odore, Laborit ha contraddizioni,
postula che esista una realtà
e che esistano relazioni fra le cose,
però non lo dimostra e
manco si accorge secondo me di postularlo,
d’altronde io se relativizzo tutto
non ho più voglia di fare un cazzo,
filosofia come scusa per non lavare i piatti,
inoltre me ne fotto
se poteva venire una bella poesia
sul buon profumo di calicanti e cartolerie,
ne ho già parlato di calicanti e cartolerie,
mio zio era cartolaio e aggiustava
le penne stilografiche, ma si fotta anche lui,
qui con nessuno ho mai scambiato
una parola che volesse dir qualcosa,
comunque allo zio cartolaio
gli hanno sbagliato l’anno di morte sulla tomba,
l’hanno fatto vivere sei anni in più,
mi sono accorto e l’ho mormorato
a un paio di parenti, le imprecisioni storiche
m’infastidiscono, ma a nessuno
importava, è rimasto così, sappiatelo,
non fidatevi degli anni di morte
sulle tombe dei paesi della pianura,
anzi fate così: non fidatevi di niente,
o fidatevi di tutto, chi volesse
poesie su calicanti e cartolerie
credo di averne già scritte, ora non è
che stasera sono incazzato, tutt’altro,
sono tranquillo, è solo
che mi sono rotto il cazzo, non so
se si capisce, calicanti e cartolerie
ma più che altro sbronze e nessuna ragazza
a Vercelli, e non è romantico, neanche epico,
è merda, oggettivamente, dovrebbe
essere chiaro, no? ho crediti con l’amore
ormai inesigibili, sofferenze direbbero le banche,
le banche sono più poetiche degli innamorati,
dicono sofferenze, noi siamo più smagati
forse, più probabilmente coglioni, ho crediti
con l’amore ma anche debiti
mai pagati, non so se si possono
detrarre quelli da questi, come
sui moduli delle tasse, non credo,
avrei voglia di scriverle a cazzo
le vostre e le mie sofferenze,
buttarle in mezzo, senza veli di metafore,
senza fare poesia, dal calicanto
strappare un ramo odorosissimo, avvolgerlo
nel foglietto del notes
della vecchia cartoleria, spremere
i fiori con le dita, profumarmi
le mani, agitarle per le strade, gridare
oui, je suis calicantò
oui, je suis papeteria
che non capiate un cazzo stavolta
è scelta mia
ma no, dai
m’ha di nuovo sorpreso il profumo
del calicanto, mi sorprende ogni anno
nel giardino di Vercelli,
ha piccoli fiori gialli
Scritta nel 2017.
La poesia è bella quando ti induce dei pensieri e dei ricordi scatenando emozioni.
Devo ricordarmi di approfongire su google il Calicanto.
Magari fare un salto a Vercelli cosi da associare il profumo, che magari ho sentito ma di cui non ho coscienza e conoscenza.
Cavolo, non voglio morire senza sentire l’odore del Calicanto.
Ho sempre scritto sui libri a matita, e mi piace molto leggere dei libri dove trovo dei commenti a matita.
Trovo che sia una specie di facebuk prima che arrivasse.
Carlo Molinaro se non ci fosse dovremmo inventarlo.
Per fortuna c’è e se sei un abbonato alle sue poesie, ti capita di leggerne una come questa, che ti arriva direttamente nella mail.
Poi non dite che questo non è la parte bella del progresso.
Sono un ignorante di odori ma il Calicanto sara da me annusato consapevolmente.
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