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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi tag: adolescenza

Paralipomeni alla fisioterapeuta

10 venerdì Lug 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, cose di dentro

Ricordo il discorso che non le feci
trentotto anni fa, signora, la fisioterapia
dopo la polinevrite alcolica, a zero
l’elettromiogramma, lei diceva
stare su un piede solo, esercitare
la forza perduta della singola gamba
concentrandomi, risposi: «non sono
mai stato capace di stare in equilibrio
su un solo piede» e lei sorrise
non credendomi, disse: «ma come!
faccia come quando saltellava
da ragazzino giocando, come tutti».

Lei non mi credeva e io non le feci
questo discorso, signora
fisioterapeuta delle Molinette
nell’autunno dell’82, non spiegai
che negli anni Sessanta, quando erano
più giovani le nostre madri umili e fiere
e aveva la frutta un diverso sapore
e si lavorava sodo e i ragazzini
saltellavano e si picchiavano ed era
un mondo vero, ecco: non è vero.

Mia madre non così umile né fiera
non s’accorse mai che a qualsiasi età
barcollavo infilando i pantaloni
cercando un appoggio, al primo tentativo
spesso ricadevo col piede, riprovavo:
io, signora, su una gamba sola, mai
e non si sa il perché: non era un disturbo
diagnosticato, ero semplicemente
un pirla e un imbranato: saltellare?
no, non ho mai saltellato né picchiato
e mio padre lavorava duro per fondare
il consumismo, comprava le radio
e i mangianastri che non usava, qualsiasi
giocattolo, più bambino di me
giocava a essere diventato
stimato dottore da padri contadini
e anche lui, signora, non ammetteva
che io non saltellassi e non picchiassi:
non ammettendolo, non lo vedeva.

Quanto alla frutta, di tutto quel sapore
non mi ricordo e i compagni di scuola
come oggi l’i-phone compravano cose
quanto potevano: saltellare e picchiare
chi sì e chi no, non è che li spiassi
in questo, l’epopea raccontava
che gonfi di testosterone scopassero
non si sa chi, le ragazze dovendo
restare caste. Era una merda, signora
il mondo vero degli anni Sessanta:
mia madre ancora adesso a novant’anni
non lo sa e non sa che quanto a me
non saltellavo né picchiavo
e giunsi vergine e ansioso alla donna
che sposai e non è romantico, signora
era soltanto una disperazione
(mi rifeci poi dopo) era proprio
una disperazione tutte quelle cose
che andavano fatte, così tanto
che si credono fatte, da tutti:
e lei nel 1982
non ci credeva che io non avessi
mai saltellato e se qualcuno vedeva
mettermi i pantaloni, morivo di vergogna
cadendo e ricadendo. Ero un ragazzo
normale, nessun problema, bene a scuola
mai salito su un albero.

Ho i miei motivi, signora, per odiare
nel secolo ventunesimo, adesso
che sono vecchio ormai, le frasi fatte
nei bar, sulle quarte di copertina
dei libri, su Facebook, quando il mondo
era più vero, o che l’amore si redime
con l’abbandono e signor caporale
quante puttane e quante brave ragazze
e fiere e umili madri e il bollito
e l’occhiolino e il bosco e la frutta
ma cosa cazzo dite? cosa cazzo?

Già nell’ottantadue, sul lettino
paralizzato dall’alcol solitario
inerte lo sciatico popliteo interno
non meno che l’esterno
lei sorridendo signora negava
il mio non avere mai saltellato
su un piede solo, non avere picchiato
né scopato né virilmente ammiccato:
lei signora come un fiera madre
negava che io
fossi mai esistito.

Non ha colpa, signora, però
io quel sapore di frutta di una volta
io francamente no.

(Cammino bene, adesso, lo sa?)


Scritta nel 2020.

Un odore dorato

28 sabato Mar 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, scenari

C’è un odore dorato che si spande
quando c’è il sole e una finestra è aperta:
lo prende anche la mia pelle, io
benché in un’altra stanza: è come uscisse
da sotto la camicia, da un abbraccio
che di certo ci fu, senza ricordo:
sigarette di adulti dietro un muro,
sugo d’erba schiacciata fra le dita
nella furtiva infanzia, già colpevole
di cose imprecisate, ma beate.


Scritta nel 2020.

La bellezza trasversale

09 sabato Feb 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, cose di dentro, scenari

LA BELLEZZA TRASVERSALE

a S. de S.

Non tornerà la bellezza trasversale
delle vetrate della biblioteca
di Lettere, polverose.
Dalla tradotta, scorrono le cose:
oggi qui ti trovi in faccia
una bellezza grossa, gonfia, frontale.

Si può fuggire, forse. Di mio, ti porterei
intanto a Genova in un albergo
a ore di via Prè (ne conosco due buoni).
Non sarebbe necessario scopare:
basterebbe, sfiorandoci, inspirare
un certo odore di porto, di mare.


Scritta nel 2019.

Quarantunesimo anniversario

24 domenica Set 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, cose di dentro, riflessioni, scenari

Mio padre non rispettava i limiti di velocità
né certe altre cose, sembrava
impacciato nelle sue sicurezze, forse
non si domandò mai cosa fosse la vita:
con gli oggetti era bambino, travolto
dall’esplosione economica, imbruttì
la vecchia casa con aggeggi di lusso
e lavorò, lavorò per fare soldi
moltissimo, morì con cinquantuno
anni forse d’infarto. Non ricordo da lui
insegnamenti profondi, parlava
del più e del meno, non ricordo
nemmeno esempi profondi di vita,
anzi alcune cose che direi deplorevoli.
Si penserà che sto mancando
di filiale rispetto, ma così non è:
penso con tenerezza a mio padre
che credo mai si concesse tenerezze
perché non erano cose da uomini.
Sono oggi quarantun anni che è morto.
Io non so se i miei genitori si amassero,
non lo sapevo da bambino
e non lo so ora: certe cose
si davano per scontate e nessuno
controllava che fossero vere.
Spesso gli adulti mi mostravano
altisonanti realtà, io guardavo
e vedevo noia, miseria, falsità:
ma tacevo e provavo a inventare
mondi miei dove meglio abitare.
Se esistesse un aldilà
potrei poi parlare con mio padre
di queste faccende, ma non credo.
Nella vita parlare non s’è fatto:
si era tutti fragilissimi e chiusi
in corazze apparenti. Ma patii
quando fece cambiare le porte
delle stanze, vecchie porte alla buona
con i vetri e mise porte più lussuose
di legno duro, senza vetri, mi mancò
percepire almeno nello sfocato
smeriglio dei riquadri qualcosa
che fosse un poco più ampio di me.


Scritta nel 2017.

Disse

12 mercoledì Lug 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, cose di dentro, scenari

tutto mi spaventa quindi sono tranquillo, disse
l’abisso della libertà
m’angoscia meno dell’abbraccio
del determinismo: se tutto va in nulla
è a modo mio che mi voglio divertire

toccare con la lingua la volontà d’un dio
toccare con la psiche la vulva d’una donna
sono modi di cessare il viaggio, disse
ma il viaggio cessa anche senza che si faccia
nulla di tutto questo

diamo un poco di ritmo, diamo
un poco di ritmo a questi sobbalzi, disse
è a modo mio che mi voglio divertire
mentre siamo sul carro diretti al cimitero
creo mondi fantastici

signorina, lo vuole un mondo fresco
intanto che aspettiamo qui in quest’afa
che il nostro numero appaia sul pannello?
ci so fare, vedrà, glielo modello
su misura, le calzerà a pennello

tutto mi spaventa quindi sono tranquillo, disse
non ho cortili di cui avere nostalgia
né radici rassicuranti: mia madre pianse
nel vedermi innamorare
dell’abisso, io non la consolai

viaggio talmente scombinato, disse
che se pure decidessi di voltarmi
non saprei verso dove; scenderò
a una fermata imprevista qualsiasi
senza idea di che strada ho percorso

ma contento, abbastanza contento
d’aver fatto donne con odori di donne
e città con ombre di città e sentieri
con suoni di sentieri e me stesso
con strisce luminose di me stesso

e amori distillati come essenze
da vite di bellissime ragazze
da restituire: ne mettano due gocce
sul collo, si respirino, diventino
l’infinità che sono


Scritta nel 2017.

Calicanti e cartolerie

01 mercoledì Feb 2017

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, scenari

m’ha di nuovo sorpreso il profumo
del calicanto, mi sorprende ogni anno
nel giardino di Vercelli, è lì
da prima che nascessi e mi sorprende
nell’inverno, quest’anno forse
ha ritardato un po’, ma non sono sicuro,
poi in corso Libertà sono entrato
nell’antica cartoleria Larizzate
che è antica perché lo è ma
non recita la parte dell’antica,
è riscaldata con una stufa a gas,
non l’ho vista, la stufa, ma ho sentito
l’odore del bruciato di gas, misto
all’odore dei quaderni, ho comprato
due notes piccoli, per gli appunti piccoli,
mi sono dimenticato di comprare
(ci avevo pensato in treno)
una matita, per scrivere sulle pagine
dei libri, segnare certi punti
nelle pagine dei libri, che a biro
è brutto, anche se poi non è
che si cancelleranno mai, chi vuoi
che cancelli annotazioni da un libro,
però lo stesso a biro è brutto,
è più bello a matita, queste cose
sarebbero tranquille, placide,
il calicanto, l’odore della stufa,
l’inverno, Vercelli, la matita,
e allora perché sto scrivendo con affanno,
picchiando sulla tastiera come servisse
a muovere tasti di vecchie macchine,
questi tasti di computer invece
basta sfiorarli, io li picchio, il calicanto
è una scia dolce in mezzo alla solitudine
oscura
ma io non so se le perdono, le scie
dolci, la signora della cartoleria
non ricordo la faccia, non avevo
voglia di guardare, poi al supermercato
un’ora con l’ansia e la noia
a cercare un surgelato
che mia madre voleva proprio quello,
un hamburger Findus, non lo trovavo,
poi l’ho visto, era uguale a tutti gli altri,
schifosissimo, le pesche sciroppate
no, mi sono arreso, ho chiesto al banconista
del reparto macello, lui ha detto non so
ma forse, non sono sicuro, ha detto,
in fondo all’ortofrutta, l’ultima parete,
le pesche sciroppate in effetti
sono un conflitto di caratteristiche,
sono frutta e sono scatolame,
tutto dipende dai canoni adottati
dal supermercato, è stressante, non basta
un calicanto a salvare una città
o una gioventù, se non altro cercando
pesche e surgelati è passata l’ora
della coda alla cassa
delle massaie pensionate gracchianti,
io le odio, cioè sì, me ne sbatto
della correttezza, io le odio,
si fottano, povere vecchine, crepino,
m’ha rotto il cazzo anche il calicanto
e la vecchia cartoleria, cioè no,
il calicanto lui è bello e anche
la vecchia cartoleria, la signora
non l’ho guardata perché temevo non fosse
abbastanza bella per la cartoleria,
non è che devo sempre guardare tutto,
certo Laborit disapprova
prendere pezzi di sottostruttura
e costruirci su un mondo e imporlo,
ma io mica lo impongo e non so
che altro potrei fare, il calicanto
ha buon odore, Laborit ha contraddizioni,
postula che esista una realtà
e che esistano relazioni fra le cose,
però non lo dimostra e
manco si accorge secondo me di postularlo,
d’altronde io se relativizzo tutto
non ho più voglia di fare un cazzo,
filosofia come scusa per non lavare i piatti,
inoltre me ne fotto
se poteva venire una bella poesia
sul buon profumo di calicanti e cartolerie,
ne ho già parlato di calicanti e cartolerie,
mio zio era cartolaio e aggiustava
le penne stilografiche, ma si fotta anche lui,
qui con nessuno ho mai scambiato
una parola che volesse dir qualcosa,
comunque allo zio cartolaio
gli hanno sbagliato l’anno di morte sulla tomba,
l’hanno fatto vivere sei anni in più,
mi sono accorto e l’ho mormorato
a un paio di parenti, le imprecisioni storiche
m’infastidiscono, ma a nessuno
importava, è rimasto così, sappiatelo,
non fidatevi degli anni di morte
sulle tombe dei paesi della pianura,
anzi fate così: non fidatevi di niente,
o fidatevi di tutto, chi volesse
poesie su calicanti e cartolerie
credo di averne già scritte, ora non è
che stasera sono incazzato, tutt’altro,
sono tranquillo, è solo
che mi sono rotto il cazzo, non so
se si capisce, calicanti e cartolerie
ma più che altro sbronze e nessuna ragazza
a Vercelli, e non è romantico, neanche epico,
è merda, oggettivamente, dovrebbe
essere chiaro, no? ho crediti con l’amore
ormai inesigibili, sofferenze direbbero le banche,
le banche sono più poetiche degli innamorati,
dicono sofferenze, noi siamo più smagati
forse, più probabilmente coglioni, ho crediti
con l’amore ma anche debiti
mai pagati, non so se si possono
detrarre quelli da questi, come
sui moduli delle tasse, non credo,
avrei voglia di scriverle a cazzo
le vostre e le mie sofferenze,
buttarle in mezzo, senza veli di metafore,
senza fare poesia, dal calicanto
strappare un ramo odorosissimo, avvolgerlo
nel foglietto del notes
della vecchia cartoleria, spremere
i fiori con le dita, profumarmi
le mani, agitarle per le strade, gridare
oui, je suis calicantò
oui, je suis papeteria
che non capiate un cazzo stavolta
è scelta mia

ma no, dai

m’ha di nuovo sorpreso il profumo
del calicanto, mi sorprende ogni anno
nel giardino di Vercelli,
ha piccoli fiori gialli


Scritta nel 2017.

Bildungsgedicht

19 sabato Nov 2016

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, cose di dentro

furono nel principio furibonde
giaculatorie d’eiaculazioni
troiette introiettando immaginarie
divine in vero vino veramente
anagrammando in merda grame madri
schizoidi schizzi in vizi di servizio

il dissenso a un consenso per compenso
fu assenso a un senso senza sensazione
con ree reazioni a realizzazioni
di flautati falsetti e falpalà
sfocati in prefissati fuochi fissi
stonati in toni di finti perdoni

bramassi bassi ammassi di successi
non sfiorassi furenti fiori fuori
alibi d’albe scialbe scioglieranno
gli indecorosi morsi dei rimorsi

non tarderà un sereno troppo tardi
dissolverà l’assalto del tumulto
guarirà i guasti d’impudichi sguardi
nello scuro sicuro del mio muro
nel sommesso riflusso di me stesso
dove fantasmi medicano spasmi
dove nulla nessuno può ferire

d’un tratto finalmente fissai forte
la porta del timore, il ritmo scese,
venne un urlo, misi un punto. Mi chiesi
a quale agguato fossi inadeguato.

A nessuno, risposi, e fuoriuscii
così com’ero, acqua sangue sperma
sogno da spargere, quasi più nulla
da dimostrare.


Scritta nel 2016.

L’armistizio

08 domenica Nov 2015

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, la parola rinvenuta, la parola vacante, sonetto

Lattiginosa quiete del piazzale
che sgombrano di gente ottobre e l’ora
tarda di cena e del telegiornale.
Oh, non fa bene stare fuori ancora!

S’affretta il vecchio in bici ed il fanale
gli umidi mucchi delle foglie indora.
Corre un ragazzo, apre una porta e sale
al desco e al motteggiare che ristora.

Traversa nella nebbia un alitare
di mosto, di marciume e di motori.
L’ultimo bus s’affaccia e riscompare.

Notte d’autunno, amabili sapori.
Marietta già comincia a sparecchiare.
No, non fa bene stare ancora fuori.


Da La parola vacante, Genesi Editrice, 1981; poi ristampata in La parola rinvenuta, Genesi Editrice, 2006.

Giovani alcolici

08 domenica Nov 2015

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, amicizia, entro incerti limiti, la parola rinvenuta

                                         a Giovanni dalla Zonca, detto il Vispo

Le sere di nebbia e inverno con l’amico
al Dopolavoro Ferroviario in corso Italia
a bere vino di scarsa qualità
per dimenticare ciò che neppure
s’era ancora vissuto: due ragazzi
in fuga tra quei vecchi ubriaconi lordi,
già vinti senza sapere neppure per che cosa
si sarebbe potuto combattere.
Era una tappa d’altre cinque o sei
osterie per cui ci avvelenavamo:
disposte a stella in un’ignobile Vercelli
dove il passato marciva col futuro
in una putrefazione calma, dove piccoli muri
sembravano invalicabili montagne,
e non sapevamo dove prendere il coraggio
per andare non sapevamo dove
a fare non sapevamo che cosa.
No, non sembrava vita buona, ma
altra fuga non c’era che il bicchiere.
Sento una tenerezza indispettita
– orfana persino del rimpianto –
per quella vecchiaia vissuta a sedici anni;
sono contento d’un po’ di precaria gioventù
trovato adesso in ben più tarda età.


Da Entro incerti limiti, Edizioni Joker, 2002; poi ristampata in La parola rinvenuta, Genesi Editrice, 2006.

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