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Schiudendo le gambe, rilascia
un profumo che non è di fiore schiuso,
sciocca similitudine, ma
di sé, dell’utero, del macero
dolce che ha principio in primavera
rovesciandosi in brecce di cortili.
«Rilascia» in questa accezione
è neologismo d’un lessico scientifico
inglese, non avrei potuto scriverlo
quarant’anni fa. Ma è sciocco arroccarsi,
è meglio schiudersi a contaminazioni
fertili, come le gambe accoglienti.
Rilascia o emana, dunque, un odore
che nel mio olfatto si mescola al mio
e m’eccita e m’attrae – ma
non è detto che avvenga il medesimo
in lei: ogni cosa è diversa
secondo le diverse ricezioni.
«Ricezione» in questa accezione
l’ho imparato lavorando all’Atlante
del Cristianesimo della Utet.
Lo usano per le encicliche: un conto
è come scrive il papa, un altro conto
come chi di dovere lo riceve.
Ho imparato parole lentamente.
Alla laurea ero quasi analfabeta.
Parole. Buoni attrezzi. Ma non servono
a far sì che l’odore di noi
ecciti lei come eccita me.
Dunque servono a poco, quasi niente.