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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi tag: relazioni

Nuda sulla pianta

20 mercoledì Gen 2021

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amore vissuto, eros, relazioni

nuda sulla pianta
dice una canzonetta del ’72
e tu davvero nuda sull’albero
mi sorridevi

io da sotto un po’ in ansia
(a cinque o sei metri di altezza
i tuoi piedi nudi sui rami)
ti scattavo qualche foto

altro che canzonette
eri davvero nuda
eri davvero sull’albero
soprattutto eri contenta

sorridevi davvero contenta
era la primavera del ’19
audacemente nuda
al parco della Mandria

nuda i piedi le mani
le gambe il seno la fica
nuda tutta adagiata
nei gomiti dell’albero

è quasi un anno adesso
che non ti vedo più
guardo le foto
dove nuda sorridi

magra consolazione
le foto ci uniscono
non esisterebbero
se non le avessi scattate io a te

la domanda è
perché tu non puoi vivere sugli alberi?
tu stai così bene nei boschi
così a tuo agio

è una domanda poetica
è una domanda trabocchetto
che può intralciare
tanto lo sappiamo che non puoi

e giù dagli alberi
i problemi – come stai?
ti sei incamminata
per una vivibile vita?

ardo dal desiderio
di rivederti eppure forse
hai fatto bene a troncare
io sono uno che ti può intralciare

io che una vita vivibile
la cerco con chi capita
parlo a vanvera
di tutto m’innamoro e disamoro


Scritta nel 2021.

Al dunque

19 giovedì Nov 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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relazioni, scenari

Scelgo con cura i francobolli
perché mi viene bene: per compensare
che non so cosa scrivere dentro la lettera:
compensazione scarsa.

Da ragazzino pensavo che
se non mi beccavano per un giorno
era scampata per sempre: un’idea
di prescrizione breve.

In fondo ho sempre sperato
che fra un ritmo, un colore bello
e qualche parola placebo
non s’arrivasse, mai, al dunque.


Scritta nel 2020.

La scatola di latta

25 lunedì Mag 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

La scatola di latta dei biscotti dell’In’s
comprata due settimane fa potrebbe durare
cento anni, anche di più, ma la devo
buttare, quante cianfrusaglie in casa.

Vorrei liberarmi dal ritmo
e dallo spiegare: raccontare con versi che non lo sembrano
come in lunghissime odi di Pessoa
questo passare, che non sembra, della vita.

Tutto ciò che svanisce è nel presente, non esiste il ricordo.

Tutti più grassi a stare chiusi in casa
in questa epidemia (con presunzione megalomane
immagino qui una nota a piè di pagina: «si tratta
dell’epidemia che colpì il mondo quattro secoli
fa, nel 2020, causando rivolgimenti
sociali che portarono…») – io nove chili
ho perso, bastian contrario, ma è che
s’è sovrapposta una pena d’amore, nel dilagare
del morbo dilagava l’accorgermi
giorno dopo giorno che l’abbandono
improvviso dopo un gennaio di quotidiana vicinanza
(nessun ritmo!) di una ragazza non era
uno scazzo provvisorio: permane.

Com’è sorprendente invecchiare e morire!
È tante cose, ma è anche sorprendente:
non posso crederci. È carta sbiadita
(sbiadita nel presente, non esiste il ricordo)
(questo «non esiste il ricordo»
non lo capisco io nemmeno, ma sento che è vero)
la sceneggiatura dei giorni
degli anni Settanta con i miei vent’anni
degli anni Venti con i miei settanta
– già troppo ritmo in questo chiasmo, fuorvìa.

Sì, nel tempo ho maturato consapevolezze
interessanti. Non utili, ma interessanti. Di utile
un poco di destrezza a non ferire
(a ferire di meno) le persone. Un poco
di abilità nel tenere le briglie: che gli zoccoli
dei miei sogni non calpestino
qualche cosa di tenero non visto. Questo
sì, forse sì. È qualcosa. Ma sbaglio molto ancora.

E il passaggio degli anni attenua
(il passaggio in corteo, sotto il balcone, degli anni)
alcune sensazioni, assopisce
chiarori, oscurità. Questo pertiene
al moto del ricordo, che dunque
esisterebbe? Mi posso contraddire, è contraddicendomi
che sento a volte il mio corpo aderire
a corpi altrui, nelle bocche angosciose delle camere.
Il ritmo e lo spiegare (le due cose vere)
mi scombaciano dal mondo: disgregandomi
mi ci posso insinuare. È una polvere sottile macinata
a superare il setaccio emato-encefalico
che regola le nostre solitudini:
le strutture aggregate non passano, se passano
è per squarcio, per stupro, dolore.

Una polvere sottile macinata o un liquido
distillato, non denso, può passare
fra due anime quando si accarezzano
con premura delicata.

Ma non entra una vita
in altra vita intatta: amare non è
buttare giù un tramezzo ma rifare
l’intera casa nuova, è spaventoso.

Vorrei dirlo meglio ma non sono
da ciò le mie penne e con viltà
ho temuto l’abisso, il fulgore.
Tutto ciò che svanisce è nel presente
e non è molto. È così sorprendente
invecchiare, morire. La scatola di latta
dei biscotti dell’In’s, la scatola di latta
dei biscotti al Plasmon che quand’ero bambino
conteneva piccole frastagliate fotografie
di antenati già ignoti.

Sarebbe, ancora, tutto da scoprire.


Scritta nel 2020.

Le lingue

09 sabato Mag 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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linguaggio, relazioni

L’inglese, il francese, l’arabo, il tedesco,
il greco, lo spagnolo: siamo poco portati
noi italiani, si dice, alle lingue: le studiamo
poco, ce la caviamo malamente.

Credo sia vero. E poi non sono solo
queste «estere» le lingue da studiare
che noi poco studiamo. C’è la lingua
di chi ha vissuto una diversa infanzia,
di chi ha sofferto cose a noi ignote,
di chi ha amato in un diverso modo
o ha conosciuto entusiasmi che noi
non concepiamo o s’è immerso in angosce
difformi dalle nostre o ha sviluppato
idee in percorsi da noi non seguiti:
magari è dello stesso quartiere,
forse è nostro cugino addirittura
ma la sua lingua è altra, perché
altramente è nata ed è cresciuta:
si dovrebbe studiare, impegnarsi a studiare
per potersi parlare.


Scritta nel 2020.

C’è qualcosa che non c’è

27 venerdì Mar 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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relazioni, scenari

Stanchezza. Non è l’epidemia
per drammatica che sia.
Certo gioverebbe far l’amore
con alcune mie amate
ma quelle ormai sono cose passate.

C’è qualcosa che non c’è.

Ho creduto aver preso colore
invece era soltanto colorante
per scoprire al microscopio
me stesso trasparente:
invisibile, forse inesistente.

Due chiacchiere? Magari
un amico, ci fosse, però
ho le parole a nausea: meglio
qualcosa guardare, ascoltare
canzoni, ancor meglio silenzi.

C’è qualcosa che non c’è.

Il miraggio di neve disciolto
non ha dato alla luce colline
pronte al fiore ma un vuoto
nero deserto: perché le colline
erano tutte, esse stesse, di neve.

Un giro per i bar
a viver vite altrui?
Non è ammesso, per via
di questa epidemia
– ma nemmeno ne ho voglia.

C’è qualcosa che non c’è.

Mi scagliassi con furia o passione
sul tuo corpo animale, nell’urto
sentirei sulla pelle la sistole
d’un condiviso cuore? Lo saprei
distinguere dal battito del sogno?


Scritta nel 2020.

Rio

22 domenica Mar 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, relazioni

Scorsero pensieri, scorsero
abbracci, baci, scorsero
lacrime, sorrisi, sensazioni,
scorse sperma dal mio pene
alla tua vulva, alla bocca,
scorsero notti e mattinate
sul nostro vivere insieme,
scorse rabbia, scorsero tremiti
e illuminazioni, scorsero
le mani sui corpi, sui capelli,
scorse la speranza e scorse
– così mi parve – amore
fra ombre e sguardi, ma io
non scorsi in te qualcosa
che avrei dovuto scorgere
per nascosto che fosse: così
fra noi più nulla scorre
tranne il tempo che separa.


Scritta nel 2020.

Alla larga

17 martedì Mar 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, relazioni

Quando mi fanno ragionamenti che
dovevo stare alla larga da te
penso ai lunghi dialoghi d’amore
seduta in braccio o quando
m’insegnavi come fare il bucato
perché fosse fragrante, penso
quando piangevi e in lunghe passeggiate
per la campagna poi risorridevi
bellissima, più bella del sole
che imbiondiva i campi, più bella
dei campi biondi al sole. Se ora
t’è rimasto, di noi, solo del male
hanno ragione, ho sbagliato
qualcosa o tutto, ed era meglio se
abbracci e baci non fossero stati:
fossi rimasto alla larga, lontano.

Mi sforzo di ammetterlo, la testa
sembra arrivarci, benché a stento, confusa
da un’opaca tristezza e dall’ansia:
come stai, cosa fai? Del cuore
non parliamo: lui ti rimane accanto
senza logica o dubbi. Mi sento
(per fare una metafora moderna)
come una memory card a cui manca
almeno uno dei piedini d’oro
coi quali si connette con l’esterno:
così s’inceppa lo scambio dei dati,
non riceve né manda. Così
mi sento io, ma tu, come ti senti?


Scritta nel 2020.

Lainghiana

12 giovedì Mar 2020

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amore, relazioni

(poesiuola schizoide)

Allora poi forse
quando facevamo l’amore
c’era il tuo corpo sul letto e al soffitto
era volata via la tua persona
a guardare in scissione sofferente
il tuo corpo annuire, baciare.

E io a non accorgermi! – è che
ho un io incorporeo, è da fuori
che mi vedo vivere, anch’io
ero là sul soffitto a guardare
i nostri corpi, però con piacere:
è da sempre il mio modo naturale.

Insomma sul letto non c’era nessuno
di noi, c’erano corpi in una scena
per me gloriosa, da guardare in estasi
con gioia – per te no, una scena
deplorevole in cui non conoscevi
te vera, tutta intera.

Peccato non poterci innamorare
là sul soffitto, dove (non sapendo)
stavamo insieme, più che i corpi sul letto.
No: siamo scissi, ma in modo diverso,
ciascuno ha i suoi frammenti, ricomporli
– se mai riesce – è un fatto personale.


Scritta nel 2020.

Alla fine del compito

07 sabato Mar 2020

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amore, relazioni

Se tu fossi stata felice con me
saremmo stati felici in due:
la massima umana perfezione
– e invece quasi certamente
non lo sei stata mai, nemmeno
nei momenti in cui sembrava.

È durissima ammetterlo, è come
quando alla fine del compito in classe
di matematica – ardua materia –
mi pareva di averci azzeccato
stavolta e invece all’ultimo calcolo
non quadra, ed è finito il tempo.


Scritta nel 2020.

La spazzola

24 lunedì Feb 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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Tag

amore, relazioni

Le persone non sono quadretti
m’hai detto un giorno strappando una foto
e Pasolini: «Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto».

Ora che tu mi consideri morto
come potrò conservare i momenti
meravigliosi che abbiamo vissuto?
Se li rinneghi, non sono esistiti:
pur se in me vivi germogliano ancora.

Parlarne è uno sberleffo.
Resta un dolore muto, irrilevante
al modo che irrilevante è la tragedia
dell’insetto schiacciato
che la spazzola toglie dal vetro.


Scritta nel 2020.

La voce

28 martedì Gen 2020

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Tag

cose di dentro, relazioni, scenari

Ascolto la mia voce che ti parla.
Mi è fastidiosa. Vorrei essere altro
nel tuo campo visivo, una pianta
sul tavolo in un vaso o arditamente
un asciugamano sul tuo viso.

Invece c’è quest’uomo che nemmeno
a me piace, buffone petulante,
fastidioso anche a te sicuramente.
Sono io, dice il dato di fatto:
eppure non lo credo veramente.


Scritta nel 2020.

Non c’è via d’entrata

19 domenica Gen 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

…spesso non c’è d’uscita, lo so
ed è disperante. Ma
non c’è via d’entrata
altrettanto spesso, in situazioni
in rapporti, relazioni
in Paesi verso cui fuggi
in donne, in uomini
in case d’inverno
in lavori, giornate
e persino in sé stessi

«non c’è via d’entrata»
(frase che forse non ho mai udita)
frase che andrebbe
rivalutata


Scritta nel 2020.

Capodanno 2020

31 martedì Dic 2019

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amore, cose di dentro, relazioni

Cominciano i botti. Un anno fa
eri con me, in questa casa, qua.
Io nutrivo sogni impropri, tu
a volte sorridevi, poi cambiavi
fra il bacio e l’ira, fra il dolce
dialogare e il silenzio più duro.

Sono qua ora da solo. Sto bene
da solo, non vorrei nessun’altra:
per sbagliata che fosse la storia
m’ha pervaso, m’ha intriso.
Archivierò questo pieno di vuoti
che sento in petto, andrò oltre, vorrei

solo che tu fossi felice, tu.


Scritta nel 2019.

Statuto-Statuto

19 giovedì Dic 2019

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relazioni, riflessioni, scenari

FOTOPONOT

 

Esco di casa perché sì. Decido
di non prendere nemmeno la borsa.
Metto in tasca portafoglio e telefono.
Così mi riposo la spalla:
pesa, talvolta, la tracolla.
Vado in piazza Statuto.
Penso: magari un dolce da McDonald.
Non è male quella specie di gelato.
Ma decido di no. Vedo un dieci
al capolinea. Sono le dieci e mezza
della sera del diciotto dicembre.
Il dieci ha un percorso che a me pare triste:
vialoni corsoni questura Crocetta.
Ma mi dico: per cambiare!
Lo prendo, poi decido dove scendo.
Passo in piazza Diciotto Dicembre.
Mi stupisco che non sia piena di danze
per il suo onomastico. Viaggio oltre.
Decido all’improvviso di scendere
in corso Stati Uniti. Lo percorro.
Decido di passare al Polski Kot.
Magari è aperto. Infatti è aperto.
Alessandro mi saluta, altri stanno
in disparte. Alessandro mi dice
che mi trova un po’ giù, non so, poi
mi chiede come stanno i figli, i nipoti.
E che potrebbe fare? È gentile.
Mi piace, mi offre un caffè, sto un po’
da solo a un tavolino a leggere
un libro preso da un cesto: un poeta
russo parla di entropia e biciclette
e naturalmente di ragazze. Bevo
il caffè, poi che fare? Andare.
C’è, vicino, il capolinea dell’undici:
altro bus che poco frequento.
Lo prendo con l’idea di scendere
alla stazione Dora, piazza Baldissera.
È deserto. Vado. A Porta Nuova vedo
un taxi che è stato investito da un quattro.
Ci sono i vigili e il carro attrezzi, che botto.
Poi l’undici passa per il centro:
via Venti Settembre, Porta Palazzo.
Non è che uno esce di casa e trova amici.
Queste cose si costruiscono lentamente:
in genere prima è come stanno i nipoti,
è roba formale. O forse è mia colpa
mia grandissima colpa
che il mio problema non sia di nipoti
ma ragazze, malintesi d’amore
e altre cose di questo tenore. I
n centro
l‘undici si riempie. Potrei scendere in centro:
dalla stazione Dora a casa come torno?
Non ho voglia del centro. Ho voglia
di periferia. Un amico mi consigliava
oggi con messaggi su Whatsapp

di cercare delle donne più plausibili.
Se ho capito. Mah. Dove vanno
tutti questi passeggeri dell’undici?
Lo sanno? Io lo so dove vado: da nessuna parte.
Lo so di preciso. Donne plausibili. Ma
forse non ho più stimoli a storie reali.
I malevoli dicono che mai io ne ho avuti:
ma questo è falso. Io agogno la realtà,
adoro la realtà sopra ogni cosa.
Potrei scendere a Porta Palazzo.
No, vado fino alla stazione Dora.
Di lì poi prendo un quarantasei o quarantanove
o vado a piedi o con una Mobike: ci sono
nella vita così tante possibilità!
Ma storie reali forse non ne voglio più:
sono un vecchio stanco, sono
il deserto in cui grida la mia voce.
Certo sull’undici una ragazza c’è:
con gambe velate sotto un paltoncino.
Però non alzo nemmeno lo sguardo,
resto così con soltanto le gambe,
tanto non credo vorrebbe sposarmi.
Non è che esci e trovi lì le cose.
Ma costruire, arzigogolare
m‘ha sempre dato noia. La sera di pioggia
è bella ed esiste senza tanti complimenti.
E io non mi lamento. Mi godo
il viaggio sull’undici dopo il caffè
offerto da Alessandro, che mi piace:
e qualche volta qualcosa si è detto
di più diretto, ma chissà se vogliamo
davvero dire del profondo, dove
nessuna soluzione esiste mai.
Arrivo a mezzanotte in piazza Baldissera.
Dovrebbe passare ancora un quarantasei
o quarantanove. Due o tre volte mi sono
spaventato stasera d’aver perso la borsa.
Non sono abituato a stare senza, mi devo
abituare a questa e ad altre cose.
Ma di solito la prendo per avere
l‘acqua, la macchina fotografica, i guanti
da bici che mi ha regalato una ragazza.
E che altro? La batteria di riserva
del telefono, l’En, della carta, delle biro.
Ma stasera va bene così senza.
Mi riposo la spalla e il nuovo montgomery
verde comprato usato ha grandi tasche
ed è come se me l’avesse regalato
un’amata donna, perché me l’ha indicato
su una gruccia, al mercato.
Chi mette i soldi non fa differenza.
Guardo scorrere automobili
in corso Principe Oddone, un’insegna Max Home
verde bianca rossa, chi sarà questo Max?
Non m’incuriosisce. Sia chi vuole. Non tutto
m’incuriosisce. Un lontano palazzo
altissimo svetta dal quartiere parco Dora.
Ha una, due, tre, quattro finestre illuminate:
su forse cento o più, che bassa percentuale.
In una lampeggia un albero di Natale.
Son qui che giro nella notte. Non è male.
Passa un nero ciclista del Glovo.
Bisogna essere disabili forte
per farsi portare il cibo in casa a pagamento
mentre è così bello stare fuori.
Il quarantasei, l’ultimo, arriva.
M
i riporta in piazza Statuto, chiudo il cerchio.
A che ora chiude McDonald?

Quasi quasi quella specie di gelato
me lo prendo, se è aperto. Ci vuole
qualcosa di dolce. È mezzanotte e mezza.
Vediamo. C’è! Mi faccio un McFlurry

al bacioperugina.


Scritta nel 2019.

I mondi ovattati

09 venerdì Ago 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

Magari è da lì, da quelli
che lei, la complessa ragazza,
chiama i mondi ovattati
che si potrebbe partire
per condividere il profondo,
per asperger dell’altrui emozioni
le proprie: spruzzar l’altro dentro sé.

Da quei mondi ovattati di sogno
dove poco filtra la realtà, attenuata
come un virus da usare per vaccino:
mondi che sono salvezza e riposo
per ciascuno – ma in ciascuno
così diversi, così mal conosciuti!

È difficile, forse impossibile:
forse contraddittorio. In presenza
di relazione, irrompe forte la realtà.

Eppure, se si potesse
trovare una misura di contatto,
un’osmosi fra quelle intimità
sotto vuoto, fragilissime
di pudore e vergogna e timore, se
unirle si potesse, come cellule
che, adiacendo, fondono una parte
della membrana aprendola: l’inverso
della riproduzione per scissione, non so
se mi riesco a spiegare, io credo
ne nascerebbe un’energia suprema
capace di sprigionarsi nel mondo
fuori, di cambiare la realtà.

Ma nemmeno lo so bene spiegare,
figuriamoci accadere.


Scritta nel 2019.

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