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«io so chi sono, tu no» mi hai detto
tre settimane prima di morire
e già altre volte avevi rimarcato
quanto fosse impossibile per me
vederti, saperti
forse era impossibile anche a te
nel mosaico divelto, tra i frammenti
le disconnessure sanguinavano
le ricostruzioni rovinavano
e tutto vacillava
scoprire chi sei, conoscere te stesso
la questione antichissima
γνῶθι σαυτόν
mi sembra a volte che il problema posto
sia inadeguato, sia psicologia
euclidea, in qualche modo superabile:
psicologia tolemaica, con un centro
da ridiscutere
la scienza ha fatto passi da gigante
ma dentro noi s’è poco camminato
nessun Riemann, nessun Galileo
ha rivoluzionato:
Eschilo e Sofocle ancora descrivono
quasi perfettamente ciò che siamo
quell’io da scoprire è forse un principio
d’autorità, è qualcosa d’imposto
dagli avi? dagli dei? da un ineffabile
potere che s’è generato in sé
per scelta di nessuno?
è indefinito indimostrato assioma?
senza un io solido è penoso vivere
sì, ma
l’impulso, l’individuo, il collettivo…
di certo non va bene un io qualsiasi,
un io di colorata fantasia:
no, è richiesta una validazione
da un noi che ci sta dentro ma che spesso
è storto in ghirigori, in sabotaggi
e non c’è spazio, non c’è libertà
tu lo sai, che per lei vita rifiuti
per lei vita rifiuti
a prescindere da questo vaneggiare
su psichiatrie non ancora pensabili
credo – per quel che vale –
che
se tu ti fossi vista veramente
– come un cuore che è messo in piena luce
nell’intervento aperto
per l’occhio e lo strumento del chirurgo –
tu ti saresti assolta e soprattutto
ti sarebbe bastata la tua assoluzione
ecco, a me ora non basta la mia
ho bisogno di te, tu dove sei?
Scritta nel 2021.