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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

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La morte, la fantasia

02 lunedì Gen 2023

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amore, amore e morte, cose di dentro, riflessioni

Il biglietto non credo che lo chiedano.
Non c’è ritorno, ma ciò che dà ansia
è che nemmeno è garantita l’andata.
Non è una stazione, è un posto qualsiasi
dove altri s’accorgono, a volte non subito
che il tuo corpo è morto. Tutto qui.

Pensare a un viaggio è soltanto fantasia.
Ogni cosa, sulla morte, è fantasia
tranne la morte nel suo “così fu”.

O forse anche quello, anche tutta la vita
è fantasia, un delirio controllato
per un istinto di prolungamento.
Istinto che a te in un dato momento
non è più bastato: ti sei fermata: eccomi
hai detto in faccia alla tua inseguitrice:
non mi prendi, sono io che prendo te.

Ogni cosa, sulla morte, è fantasia.
E mica sono diverso dagli altri:
anch’io ho bisogno di fantasia, delirio
controllato ma non troppo, che possa
credersi realtà, perché in fondo è protervo
pure dire “realtà”, dire “impossibile”…

Ascolta, i ricordi sono pieni di roba:
anche sorrisi e baci e quella gioia
rara di quando lo sguardo comprende
e l’altra gioia di quando tenersi
risana errori, sgranchisce un futuro
e il dolore di quando non si può
e le distanze, le attese, sono pieni
di roba i ricordi, ed è molto, però

non ho forza per reggere il finale
il finale non può essere quando
– mentre in case accanto qualcuno si versa
un bicchiere, un bambino s’addormenta
e altri litigano, guardano la tivù
o ritirano lenzuola, qualcuno
fa l’amore o mette sul tavolo
una bolletta da pagare –
– mentre nel cielo una luna piena alta
imbianca i tetti, toglie buio ai cortili –
– mentre io penso a tante cose e a te
che presto forse torneremo a vederci –
– mentre le strade sono vuote per decreto
di un governo abietto e rotolano rade
ruote d’auto, sonore, sull’asfalto –
– mentre, mentre, mentre, mentre –
tu prendi la scala pieghevole, ricordo
che l’avevamo messa sul lato del balcone
perché non ingombrasse, la sposti
e la apri, vicino alla ringhiera,
hai già scritto un biglietto, sali il primo
gradino, il secondo, potresti
cambiare ancora tutto, sali il terzo
e non c’è più ringhiera, stacchi i piedi
(i tuoi piedi bellissimi, leggeri)
e affidi ai cinque piani del palazzo
la fine – non ho forza per reggere
che sia la fine, se lo è sia maledetto
dio e sia maledetto tutto.

Non è così. Certe notti ti ho sentita
toccarmi con la mano, c’è un mare
alla finestra in cui nuoti, il dolore
è passato, mi parli nei sogni
in una lingua che presto imparerò
e il treno c’è, non si vede ma c’è:
come quel pomeriggio a Porta Nuova
ci baceremo di nuovo in stazione.

Sarà così vero che ci sembrerà
che tutto, prima, fosse fantasia.


Scritta nel 2023.

Brusìo

29 giovedì Dic 2022

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riflessioni, scenari

Brusìo, brusìo. Il rumore di fondo
dal profondo sono moncherini di parole
amputate per mondare il discorso dal delirio:
per salvare il regno dalla piaga dei folli.

Si vendicano: catene proteiche indecifrate
si agganciano alle membrane protettive
dei lemmi buoni e belli, li scindono:
ne svelano il disordine nascosto.

Per i facili esegeti di frasi allineate
di parole lisciate in formine appropriate
è il panico, è il panico, la furia!
O civis, cave signatorum signa!

Brusìo, brusìo. Dappertutto è brusìo:
mi esce dalla bocca, dalla testa.
Il mio mondo non è di questo regno
e non ho mappe né forze per viaggi.


Scritta nel 2022.

Il battito

29 giovedì Dic 2022

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amore, cose di dentro, relazioni, riflessioni

[In restless dreams I walked alone
…
Silence like a cancer grows
…
Take my arms that I might reach you
…
mi metto di notte a sentire canzoni
che ti piacevano, ogni tanto lo faccio:
che cosa dovrei fare?]

Fra un pentimento e l’altro ti fidavi:
poggiavi l’orecchio sul mio petto nudo:
ci ascoltavamo il battito del cuore:
non ben formata la pelle, passava
la pulsazione dalla madre al feto:
eravamo indistintamente un insieme
rassicurante, ma l’acqua si rompeva:
i miracoli hanno prezzi da usurai:

il nido sicuro e la corona di spine
sono intrecci di rametti somiglianti
e fra un angelo e un demone c’è solo
uno sbalzo di luce a tradimento
che confonde le sagome e le ombre:

e più semplicemente la mia vita stava tutta
nell’addolcirsi o no del tuo respiro:
l’amore intero è un amore ammalato:
per essere vissuto va ridotto in frammenti:
ho creduto e hai creduto che intero ricucisse
i pezzettini in cui t’eri tagliata
ma è cosa per un dio, non per bambini piccoli

e grida, da dentro, il dio offeso: “chi ti ama
è usurpatore, impostore, non gli credere”:
e l’ira ti prendeva, tuttavia
fra un pentimento e l’altro ti fidavi
poggiavi l’orecchio sul mio petto nudo.

Fossimo potuti essere, dio mio
soltanto due ragazzi – ti ricordi
gennaio 2020, ai bagni pubblici
di via Vanchiglia, perché nel nuovo alloggio
non c’era ancora il gas, la doccia calda
io fuori ad aspettarti “non è male,
sono puliti” – hai detto, ti ricordi?


Scritta nel 2022.

Doppelσχιζο

18 domenica Dic 2022

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amore, cose di dentro, riflessioni

Penso a volte che la schizofrenia
– mia visione ignorante, di poesia –
sia condizione di chi non combacia
(non sa, non vuole, non si sente adeguato
non capisce, si ribella, si annulla)
alla schizofrenia del mondo.

La schizofrenia del mondo:
quasi tutti passano quasi tutta la vita
a fare cose che non desiderano fare
e si raccontano, su questo, storie eroiche.
L’epica salva dalla verità.

Inaridisce il giardino interiore
ma anche questo è un bene, è funzionale:
il vigore di piante incontrollabili
potrebbe premere, come l’erba ai marciapiedi
sconnettere le cementine
dell’impiantito esteriore, lustrato
a rispecchiare senza contrazioni
rassicuranti scene familiari.

Però accade che prema: cominciano i crolli
preceduti da crepe, incrinature
impercepite benché percepibili.

Inghiottito in macerie
lo spazio stringe, stringe dappertutto:
non c’è qui luogo nemmeno al dolore.
Dove esco? Chi sono? Dove vado?
Chi mi somiglia in questi scorci oscuri?

È angoscia il lavoro ed è angoscia il non lavoro.
È angoscia il legame ed è angoscia il non legame.
È angoscia annuire ed è angoscia negare.
È angoscia l’amore ed è angoscia il disamore.
Hai visto ciò che non si può vedere:
è colpa tua! E non ti servirà
fuggire nei boschi, in riva ai fiumi, la colpa
t’insegue nelle falde e nelle vene:
persino la bellezza, ora spogliata
del casto paralume che l’attenua
nelle paci domestiche, ti brucia.
Non ti bastò la calda fioca luce
che per fiabe e silenzi perdona il mancare…

…
Sono già stanco di questa teoresi.
Nella prassi racconto storie anch’io
per far diga al dolore, ricavare
tra l’erta e la fiumana un mio vallivo
di fiori transitori, attracco d’anime
immaginarie. Poi cede, si chiude
questo goffo teatrino schizotipico:
spero ci sia un’uscita, qualcosa, un piazzale
o un giardino, panchine, prati, tu.


Scritta nel 2022.

A una porta non chiusa

10 giovedì Nov 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, riflessioni, scenari

Le lampadine consumano poco, dicevi:
non è quello che incide sulla bolletta.
Come saresti stata più avanti negli anni
da matura, da anziana, da vecchia?

Pensavo di morire molti decenni prima di te:
magari sposarti per lasciarti a lungo
in barba all’Inps, la reversibilità.
Invece…

(Sono disegnini di bambini i nostri aldilà:
si possono guardare con benevolenza
purché non generino potere al di qua.
Nell’altro mondo, che età si ha?)

Rinuncio a ogni fantasia, mi basta
la entrañable transparencia
de tu querida presencia

che scivola in qualche modo nella stanza
o in altri luoghi, in momenti qualsiasi.

Stiamo ancora a parlare, dicevi, non importa
che ora è: in braccio, la bocca vicina
dava al mio orecchio il suon della tua voce
e un vago incerto sogno d’avvenire
brevemente appariva, vacillava.

Dammi qualcosa di buono da mangiare
dicevi in notti di pianto e di rimprovero:
nutrire bene è già amare, dicevi
ma, dicevi, amare non esiste.

E niente, niente, non è stato niente
ed è tutto: una fioca luce vieta
al buio il suo trionfo, ti richiama
a un grembo ancora, a una porta non chiusa.


Scritta nel 2022.

Bla

10 giovedì Nov 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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relazioni, riflessioni, scenari

Non sono grandi poesie, vado a capo per pudore.
Come, per pudore? Così, non so: perché
la poesia ha veli, anche per finta;
o per altri motivi. Ieri tua madre
mi ha mandato un messaggio: hai portato tu
un’orchidea e un lumino sulla tomba?
No, è da un po’ che non ci vado, in quel piccolo
cimitero. Vedi! Hai ammiratori ignoti.

Al cimitero vado poco, ma a te
(ovunque al non mondo tu sia o non sia)
penso ogni giorno, mi fai compagnia
e dal pensiero di te, di noi, si sviluppano
altri pensieri. Sarà perché domani
mi opero di cataratta, ma ho pensato
a cose mediche od ospedaliere
e da lì ho pensato agli schemi, tu dicevi
«mi schiacciano le aspettative di tutti»:
gli schemi sono un principale delitto
dell’umanità. Da bambino mi portavano
(ho sempre avuto denti pessimi) da un dentista
che riteneva che l’anestesia
danneggiasse le gengive, perciò non la faceva.

E trapanava profondo! Era un omone
zitello che nel tempo libero andava
a scalare le montagne, forse era lo yeti.
Resistevo, ma una volta m’è scappato
un lieve gemito e ho battuto piano la mano
sul bracciolo, e mia madre, che assisteva
alla scena: «Vergógnati!» mi sibila subito
e tornando a casa ha ribadito: «Meglio
morire che far vedere il dolore».
Nello schema, un poco militare
per il maschio è così, o così era.

Molti anni dopo fui ricoverato
per una polinevrite alcolica e va bene
che era colpa mia e andavo punito
in quanto sbevazzone, però
la sera del primo giorno di ricovero
telefonai a casa, col gettone, e mia moglie:
«Ma telefoni già?» come a dire: hai paura
dell’ospedale? Non è cosa virile…
Comunque poi non avevo paura
volevo solo fare due parole.

Sto alternando passato prossimo e remoto
un po’ a cazzo, non so perché, lascio così.

E dunque? E dunque niente, le aspettative
degli altri schiacciavano te e schiacciavano me
però io, trasognato, quasi non mi accorgevo
tu invece sì e soffrivi di più
forse, non so. Ti sei fermata a trent’anni
e io la vita l’ho svoltata sui quaranta
(svoltata: un poco: quello che si può)
sono problematiche diverse, lo so
ma non potevi aspettare ancora un po’?

Non puntiamo il dito, madri e mogli sono vittime
a loro volta delle aspettative, gli schemi
sono il delitto più grande che c’è.
Tu potevi essere una tranquilla parrucchiera?
La storia dice: chiaramente no.
Io non so nemmeno, nemmeno oggi che cosa
sarei voluto essere, so solo
che non ero ciò che ero, la vita
è un complesso arzigogolo. Con te
ci si capiva, però non è bastato
a rimanere insieme, né t’è stato d’aiuto
per salvarti dall’abisso, e invece stanno insieme
coppie che manco sanno l’uno l’altro chi siano
festeggiano le nozze di diamante
senza mai nemmeno una piccola confidenza:
forse hanno ragione, è la scelta vincente.

Noi non avendo un’uniforme, sul campo
di battaglia ci sparano tutti
e noi, se sparassimo, spareremmo a caso:
perciò occorre disertare, stare in margini
di fiumi o boschi o quartieri o marciapiedi
o bla, bla, bla
non lo so cosa occorre, blatero, bla.

L’avevo premesso che non sono grandi poesie,
non è una scusante, lo so, non dovevo
lasciar trapelare un dolore dal dentista
e tante cose, cose, tante cose.


Scritta nel 2022.

Discorsi al chiosco in un mattino d’ottobre

10 giovedì Nov 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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impegno civile, riflessioni, scenari

Al chiosco di corso Taranto nel tavolo accanto
dice una giovane donna: “Due e ottanta
euro all’ora mi davano, neanche il biglietto
per andarci mi pagavo. Adesso prendo cinque
ma senza un giorno di ferie né permessi
né malattia, e quello se mi vede piegata
in due dal dolore neanche mi dice
di sedermi un attimo, niente, per adesso
resisto, perché la voglio una paga per me”.

“E per un lavoro un po’ migliore
sono in alto in graduatoria
ma non mi chiamano, eppure
non ho figli e nemmeno sono incinta”.

“Al mio amico hanno respinto la domanda
del reddito di cittadinanza perché
s’era dimesso lui dal lavoro, bisogna
che ti caccino via, se vai via tu non vale”.

Io per chi scrivo? Per la cornacchia borghese
che direbbe: “cra, cra, cra, cra, cra
prende due e ottanta ma si beve il caffè
al tavolino, cra, cra, cra, e quell’altro
ha un lavoro e lo lascia e poi vuole
che gli paghiamo noi la vita, cra cra?
Adesso i poveri pretendono di scegliere?”

Non lo so per chi scrivo, ma tu muori
cornacchia borghese dei telegiornali:
che un predato cadavere ti strozzi.

Due euro e ottanta, e non avere figli
e se vai via da un lavoro di merda
poi non chiedere aiuti, fannullone
che sperperi un euro al bar per un caffè.

Discorsi seri si fanno qui al chiosco:
le donne soprattutto, gli uomini
un po’ meno, loro dedicano tempo
a un Allegri, credo uno del calcio
però poi anche alle bollette del gas.


Scritta nel 2022.

È bene che nella notte ci sia un bar

10 giovedì Nov 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, infinito, riflessioni

Le mille pagine dei messaggi salvati
sono un promemoria di errori, miei:
tu li vedevi prima che accadessero
e li lasciavi accadere, mi guardavi
come un cretino o un bambino che è così.

Severa un giorno, poi benevolente,
poi di nuovo severa, disperata.

C’è anche dell’altro, sicuro, persino
dell’amore, in momenti di luce
in cui i bambini-che-erano-così
si facevano complici, negli occhi.

Ma questa sera, in un sabato grigio
sento il peso degli errori sulle spalle.
Metto la testa sul tavolo, come
a scuola per riposo o per castigo
sulle braccia conserte. Se tu fossi
in questa stanza, a toccarmi una spalla!

Non ci sei. Non c’è nulla né prima
che si nasca né dopo che si muore,
è logico, che vuoi? Ma ti parlo.
La logica è un’invenzione contorta
che inceppa un grande mistero infinito.

Avevi antenne più sensibili di quanto
sia normalmente nella specie umana:
vedevi chiaro e dicevi o scrivevi
precisa come il filo di una spada.

Poi a te stessa soccombevi e tutto
s’offuscava, perché non è possibile
guardare così tanto oltre il confine
che recitiamo per sopravvivenza.

Io recito che credo che tu sia
in un bel posto, ad aspettarmi forse.
Guardo i messaggi con i baci e i cuori
ma stasera prevalgono gli errori
di mia colpa, grandissima colpa.

Perché non posso messaggiarti adesso?
Ci sarebbe da dire ancora tanto!
Quante volte non ho capito un cazzo…

E tu capivi così tanto che
non lo potevi con altri condividere
e nemmeno con te. Psicanalisti
dicono che capire è già guarire:
ma è vero solo se a ciò che si è capito
ci s’incastona o ci si sottomette.

Dove sta scritto che vivere è bene?
È una sceneggiatura di commedia
che ci sostiene. Fuori dal teatro
è buio, è pieno di bestie feroci.

No? Non lo so. Non voglio sapere. Non so.

Che cosa importa… Tu sei volata via
e io sto qui davanti a una tastiera
a scrivere, forse per rimandare
la nube nera. Che cosa ridicola.

Calma, calma. Adesso leggo qualche pagina
di autori buoni, mi guardo qualche foto
di donne nude, potrei farmi una tisana
ma è faticoso, magari scendo al bar
di via Cravero, aperto tutta la notte:
è bene che nella notte ci sia un bar.

Perché le cose non si aggiustano in poesie.


Scritta nel 2022.

Il deserto cresce

26 martedì Lug 2022

Posted by carlomolinaro in prosa

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riflessioni

Alterno Heidegger a video porno di gaping:
ho bisogno di trovare dello spazio che mi attragga.
Compare a tratti il sole fra le nuvole
alle sette e cinquantatré del nove novembre
duemilaventuno: ogni aurora è diversa
così come ogni fica, ma il deserto cresce
scrive Nietzsche e dedica a queste parole
lezioni Heidegger nel semestre invernale
1951-52 a Friburgo in Brisgovia, dove anche
insegnò filosofia Francesca, con cui feci l’amore
nella mansardina di via San Donato
e ne conservo foto nuda, belle, il deserto
– guai a colui che favorisce i deserti –
il deserto è l’inaridimento che impedisce
ogni crescita futura o costruzione.
Le modelle nei video porno di gaping
anche da sole, senza un partner, dilatano
quanto più possono il culo e la fica:
traendo con le dita si schiudono in voragine
rendendosi accoglienti come cortili
d’oratorî di periferia di prima delle norme
di sicurezza, come fresche umide grotte
larghe di luce che non nasconde trappole:
è una scena irreale, non è mai così
la vita, certo, ma è finzione che riposa
– fiction si dice adesso, mentre il deserto cresce
con entusiasmo e un superuomo ancora
ottuso prende il controllo della Terra.
Sia Heidegger sia le modelle di porno
sanno di creare uno spazio/essere illusorio
per il pensiero, per il desiderio:
però lo creano e se tutto è linguaggio
può darsi che un tono o un’asserzione inceppino
la marcia del deserto, benché ciò non sia credibile.

Bibliografia
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1883-1885
M. Heidegger, Che cosa significa pensare?, 1954
K. Slut, Look into my soul through the pussy, video, 2020


Scritta nel 2022.

La domanda

26 martedì Lug 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, riflessioni

Guardo i tuoi denti bianchi in un sorriso
con in braccio il bambino di un’amica
a Mondovì, anche gli occhi sorridono
nella fotina al volo del telefono.

Agosto del ’18, ci eravamo
da poco conosciuti ma già lunga
era l’intimità, la confidenza.

So quanto stupida è questa domanda
eterna, universale:
ma ogni volta che brucia si rifà:
perché vince il male?


Scritta nel 2022.

Luna piena

15 martedì Feb 2022

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, riflessioni, scenari

Ma è già piena la luna? M’ha sorpreso
mentre la sorprendevo appena sorta
verso il tramonto, sul parco Colletta:
e l’ho fotografata, vizio mio.
Allora sono già dodici lune.

È vero, il ciclo della luna dura
meno del mese, perciò m’ha sorpreso.

Dodici lune fa, verso la sera
ero tranquillo, invece avrei dovuto
correre, urlare, sfondare la tua porta
a pugni e calci, fare qualcosa
che non so, perché quella notte
non ti chiamasse a sé la luna piena
riflessa sull’abisso, bianco spettro
nel pozzo del cortile. Dove sei?

Poco in là, gli studenti dell’Artistico
scaricano da un furgone attrezzatura
musicale: la scuola oggi è occupata
e di canti e di giochi sarà viva.

Tu l’hai fatto l’Artistico, poi
l’Accademia, ottimi voti, lasciata
nell’ultimo anno, dicevi per motivi
di famiglia, ma forse era già che
ti vietavi di nascere, fiorire.

Vieni a ballare coi ragazzi! Mostra
fra le tue dita sottili la luna
così che s’accorgano e allarghino gli occhi.
Fai ciò che hai sempre fatto: regala
lievi cose preziose
senza essere vista.


Scritta nel 2022.

Foto scattata alle cinque e mezza della sera del 15 febbraio 2022 al Parco Colletta a Torino.

Confusione, pioggia, 10 novembre 2021

13 sabato Nov 2021

Posted by carlomolinaro in prosa

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riflessioni

C’è una fase in cui il bambino certamente vuole che la madre sia sempre presente, però anche assente, vuole una madre con un interruttore, da accendere in caso di bisogno, per le carezze, per le rassicurazioni, da spegnere se critica indaga condiziona pone limiti – ma, anche spenta, che non si allontani. Dunque percepire l’altro come una cosa garantita di cui usufruire e poi riporre, e non come una persona con cui interagire alla pari, è la condizione di partenza, non una degenerazione successiva.

Condizione di partenza dalla quale ci si evolve, se ci si evolve, ma in che modo avviene questa evoluzione? Qui entrano in gioco le grandi parole fumose, quelle che nessuno ha mai davvero definito (“amore”, “sentimento”) e usare parole fumose è un buono stratagemma, comprensibile, per confondere il disegno intollerabile che inciso sul fondo rimane. Il fumo bene modellato può arrivare a creare un mondo nuovo sovrapposto, così denso da poterlo chiamare (inquietamente) reale.

Mi ha sempre colpito che a evolversi nella storia della lingua fino a indicare l’essere umano nella sua completezza sia stata la parola “persona”, una parola che nasce con il significato di “maschera”, il Calonghi dice dall’etrusco “φersu” ma è forte l’accostamento al verbo latino “personare” (intensivo di “sonare”) che vuol dire suonare forte, risuonare, amplificare il suono: nell’antichità la maschera in teatro serviva a coprire il volto ma anche (mediante una bene studiata forma e apertura) ad alzare, amplificare la voce, non c’erano i microfoni con le sofisticate apparecchiature elettriche di oggi.

Persona, copre il volto alza la voce.

Persona, copre il volto alza la voce.

Persona, copre il volto alza la voce.

Come ci si evolve dalla condizione primaria in cui l’altro è soltanto bisogno e paura, perché ti dà vita (ne hai bisogno) con una carezza ma ti uccide (ne hai paura) con un divieto, un limite? Ci si evolve davvero o è tutta una finzione, teatro, diventiamo persone cioè maschere, copriamo il volto (che incessantemente rivela) e alziamo la voce (che sa mentire)?

Quella sera ti chiudesti in camera stanca e addolorata, luce spenta e silenzio assoluto, per ore, sapevo che entrando o anche solo bussando ti avrei disturbata e infuriata, “lasciami stare”, così resistetti all’ansia e all’apprensione, me lo imposi, ma dopo ore spalancasti tu la porta con violenza: “mi lasci morire qui? non mi porti cibo buono e nutriente?”

Un frivolo direbbe: bambina capricciosa; invece era una tragedia ma forse è la stessa cosa, nella delicata e incerta (finta, reale) evoluzione possono saltare dei passaggi, qualcosa non si cementa, non si adatta, serpeggia un’inconscia pretesa (“pre-tesa”) di crescere in non-bambina senza indossare la persona, la pelle brucia, la pelle nemmeno c’è, come può la carne viva nella ferita illimitata ricevere carezze senza un urlo di dolore?

Quale orecchio può raccogliere la voce fioca che nessuna maschera articola né amplifica, la voce di prima dell’artificio del linguaggio, lamento lieve d’animale, fruscìo di foglie in una brezza impercettibile?

Se non hai pelle a ricevere carezze né parole da specchiare a conforto, in cambio di che cosa dovresti accettare i limiti imposti dall’architettura della società? Non compensati, essi restano la violenza che sono.

Confusione. Non c’è più fumo da modellare, una pioggia spietata fa brillare macerie nitide, reticoli spinati, inghiottitoi, dove sei?

Un filo strecciato

04 giovedì Nov 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, bellezza, cose di dentro, relazioni, riflessioni, scenari

tenere un filo strecciato dagli altri per seguirlo
bei colori d’autunno stamattina ieri pioggia
quelli che mi dicono che la tua malattia era insanabile
lo fanno per guarire me dai miei sensi di colpa
ma non è questo, non ero il tuo psichiatra
sulla schizofrenia fiumi d’inchiostro
un altro punto di vista più interno condividevamo
certo ti ho raccontato quel sogno a quattro anni
l’incubo in cui mia nonna mi tagliava in due
all’altezza della cintola con una sega da taglialegna
(tuo fratello taglialegna, il più grande, dicevi)
e mia madre guardava e approvava poi la nonna
“non riesco, c’è l’osso” non riusciva a dividermi
in due, resisteva la colonna vertebrale
mi svegliai terrorizzato ma rimasi nel letto in silenzio
non raccontai nulla a nessuno
a te il taglio arrivò a compimento? mia madre mia nonna
tua madre tua nonna le chiare foreste
le selve oscure sono poi lo stesso bosco
in luce diversa, può darsi
tenere un filo strecciato dagli altri per seguirlo
non ti convinsero a prendere farmaci adeguati
meglio la morte che una vita sedata
meglio l’anima salvata
se tutti applicassero, ahahah, ora sono io che rido
nelle ossa dilaniate, se tutti applicassero
quel principio, meglio morti che sedati
suicidio di massa, suicidio di massa!
quanti vedo già morti per ancora non morire
nei tuoi incubi ti davano merda, cibo infetto
distruggevano ogni cosa che facevi
ti strappavano, tu l’erbaccia, era incubo o realtà?
il dolore toglie nitidezza al confine
tenere un filo strecciato dagli altri per seguirlo
è difficile o impossibile, mi confondo
eri stata tagliata in minuscoli pezzetti
e che il vento li raccolga e che il regno dei ragni
cucia la pelle e la luna tessa i capelli e il viso
è solo una canzone di De Andrè
(forse ora il polline di Dio, di Dio il sorriso)
cercavo di stare attento io a non cucirti addosso
vesti improprie, miei sogni, eri bellissima
nel cappotto grigio al fiume o nuda sul letto
o sul limite del pianto davanti alla stazione
o abbracciata nel bosco o in attesa del bus
in corso Belgio, eri bellissima sempre
anche quando t’infuriavi eri bellissima
nei miei occhi ma i miei occhi
ti vedevano intera, innamorati componevano
ciò che invece restava non composto
le tue ferite sarebbero guarite, speravo
e ne abbiamo cercati di dottori della psiche
anche costosi, ma con nessuno è partito
il percorso di salvezza – era possibile?
tenere un filo strecciato dagli altri per seguirlo
ora non riesco, due anni fa eravamo al mare
di novembre, mi chiedevi cibo buono
io non so cucinare
ti guardavo spesso con sconsolata impotenza
però anche speranza e invece adesso, adesso…
tra bambini feriti tagliati a metà
ci si capisce ma non basta, il tuo sguardo
triste mi rimproverava di non essere un padre
che con autorevole amorevolezza ti guidasse
a comporre te stessa nel tuo modo (non l’altrui)
a riordinare ciò che s’era scompigliato, pulire
ciò che mani sporche avevano sporcato
e gioire con te della tua lucentezza
io solo un poco meno spezzato di te
(“non riesco, c’è l’osso”)
stupefatto da sogni da poesie illusioni
non potevo: “i tuoi quadretti, le tue
visioni idilliache… non mi vedi?” mi sgridavi
aguzzavo la vista ma continuavo a vedere
come vedono i bambini, in un misto d’incanto
com’eri bella e preziosa e la tua lucentezza
emergeva dai gorghi, le tue rare poesie
più belle delle mie, scrivevi bene
più chiara che tanti scrittori di successo
ma diosanto questo mondo è un tritatutto
schiaccia nobili destrieri, figuriamoci una farfalla
ferita che muove piano, debole, le ali
intessute di fratture, sottili, spolverate
d’immense meraviglie indecifrabili
tenere un filo strecciato dagli altri per seguirlo
ho avuto il dono di vederti ma vorrei
che tutto esplodesse, per lo spreco e il sopruso
per lo schifo, la merda, il cibo infetto
avvelenata soffocata schiacciata
sì, c’era in te una malattia della psiche
e troppa, troppa, troppa sofferenza
che non riuscivi più a controllare
sulla schizofrenia fiumi d’inchiostro
ma in uno sguardo più ampio, dallo spazio
in cui ora mi concedo di sognarti
(intera, lieta di tutta te stessa)
forse appare che al mondo i malati
sono i sani, i compatti, è chi come niente fosse
avvelenato soffocato schiacciato
ridacchia, spettegola, fa la coda al mercato
non t’ho salvata mentre tu mi hai salvato
c’è un bel sole, stamattina, dove sei?


Scritta nel 2021.

Le disconnessure

22 giovedì Lug 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, riflessioni, scenari

«io so chi sono, tu no» mi hai detto
tre settimane prima di morire
e già altre volte avevi rimarcato
quanto fosse impossibile per me
vederti, saperti

forse era impossibile anche a te
nel mosaico divelto, tra i frammenti
le disconnessure sanguinavano
le ricostruzioni rovinavano
e tutto vacillava

scoprire chi sei, conoscere te stesso
la questione antichissima
γνῶθι σαυτόν
mi sembra a volte che il problema posto
sia inadeguato, sia psicologia
euclidea, in qualche modo superabile:
psicologia tolemaica, con un centro
da ridiscutere

la scienza ha fatto passi da gigante
ma dentro noi s’è poco camminato
nessun Riemann, nessun Galileo
ha rivoluzionato:
Eschilo e Sofocle ancora descrivono
quasi perfettamente ciò che siamo

quell’io da scoprire è forse un principio
d’autorità, è qualcosa d’imposto
dagli avi? dagli dei? da un ineffabile
potere che s’è generato in sé
per scelta di nessuno?
è indefinito indimostrato assioma?

senza un io solido è penoso vivere
sì, ma
l’impulso, l’individuo, il collettivo…
di certo non va bene un io qualsiasi,
un io di colorata fantasia:
no, è richiesta una validazione
da un noi che ci sta dentro ma che spesso
è storto in ghirigori, in sabotaggi
e non c’è spazio, non c’è libertà
tu lo sai, che per lei vita rifiuti

per lei vita rifiuti

a prescindere da questo vaneggiare
su psichiatrie non ancora pensabili
credo – per quel che vale –
che
se tu ti fossi vista veramente
– come un cuore che è messo in piena luce
nell’intervento aperto
per l’occhio e lo strumento del chirurgo –
tu ti saresti assolta e soprattutto
ti sarebbe bastata la tua assoluzione

ecco, a me ora non basta la mia
ho bisogno di te, tu dove sei?


Scritta nel 2021.

Questi poeti

20 martedì Lug 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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riflessioni, scenari

Ci sono uomini che raccolgono
nidi caduti o piccoli uccelli
per provare a salvare debolissime
vite vive, s’innamorano di donne
le cui vite non possono salvare
e scrivono, senza nessun programma scrivono
forse per dare voce a cose che non parlano
o non si vedono o che nemmeno esistono,
impresa inutile oltre che impossibile.

Non sono meglio né peggio, fra loro
spesso non si conoscono, altre volte
sono amici ma con difficoltà
perché tutto è difficile, perché
assomigliarsi non è che un lato incerto
di sensazioni variabili, vaghe.

Hanno rinunciato, questo sì, al compromesso
di chi rallenta i sensi e l’intelletto
per adattarsi a celle di sistema
in cui raggranellare quattro chicchi
di fatica e certezza. Spesso prendono
ansiolitici, sono esposti al barcollare
delle luci, dei suoni. Ma niente
di eroico né sdegnoso: è per bisogno
che sono ciò che sono, non saprebbero
questi poeti fare in altro modo.


Scritta nel 2021.

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