Tag

Il sei di marzo. Un anno, il funerale:
la prima volta che rimasi ore
nel piccolo paese: con te viva
era sempre di corsa, di sfuggita:
non era bene incontrare parenti
a cui giustificare chissà che.

Avevo dovuto certificare al Governo
che andavo alle esequie di una persona cara
e non essendo congiunti non è detto che valesse:
sai, non hanno ancora smesso con quelle stronzate
anzi han fatto di peggio, ci prendono gusto
i maledetti. Al casello di Ceva
la polizia fermava a caso, la scampai.

Precedetti, sono ansioso, di almeno due ore
l’arrivo della bara da Torino. Vietato accoglierti:
tutti in chiesa da prima nei posti fissati
distanziati, mascherati. Il prete disse
parole non banali, che ci si conciliasse
e fosse rispettata la tua scelta.
Ti cercavo e ti sentivo in ogni angolo.

Ma dalla chiesa al cimitero fra i boschi
si camminò vicini, io senza mascherina
vicino a non so chi. Poi la scena, il loculo
aperto, la bara dentro, il lavoro
di muratura, mattoni e cazzuola:
che strana usanza, ma in fondo che importa?
Tu eri già parte di tutte le valli.

Fu conflitto lungo, fra te e il tuo paese
ma fu anche l’infanzia, l’erba, il sogno
la passeggiata fino al lavatoio.
Per questo l’ho adottato – ti dispiace? –
e lo conservo in cuore, fra le cose
che, benché poco, tengono di te
un suono, un odore, un battito degli occhi.

Non è un granché la cronaca. Un bisogno
di commemorazione, le date, si fa
quel che si può, lo scenario del mondo
è cupo e stretto, non ti può contenere
e infatti sei altrove, ma di questo
non so dire, solo in lampi di grazia
fulminea confondermi, sentire
per davvero l’infanzia, l’erba, il sogno
la passeggiata fino al lavatoio.


Scritta nel 2022.