(in un viaggio a Mallare)
La modella che fa da salvaschermo
al calcolatore e l’altra modella
del calendario sul muro vicino
nella stanza di Cesare ricordano
(a me ricordano) la fidanzata
degli anni prima: le sembianze di Erica.
Mentre la foto di Erica vestita
e un poco sussiegosa sul ripiano
dello scaffale me la fa pensare
nuda, ma nuda molto, spalancata.
La casa diroccata di Giovanna
o Maddalena dove sono nati
o cinque o sei o sette o chissà quanti
figli di gente di passaggio siamo
riusciti a ritrovarla sopra Bormida.
Mac gioca bene a scacchi e la chitarra
passa di mano in mano. Le canzoni
sono di questi e d’altri tempi. C’è
una sola ragazza, come spesso accade
in certe sere adesso come allora.
C’è un viaggiatore che scende dal treno
ad Altare, un solo viaggiatore
dal solo treno che ferma, e sono io.
Il giorno dopo sullo stesso treno
risalgo solo io. Io proseguo.
Non so per dove, ma proseguo sempre.
Vado da solo nella notte e a casa
non c’è Antonella né Rosa né Giulia
né Federica né un’altra ragazza
ad aspettarmi. Non sono un uomo facile
da aspettare – e questo nonostante
io sia sempre puntuale. Della casa
di Maddalena o Giovanna sul monte
restano poche pietre. Il cacciatore
ci chiede con sospetto se per caso
siamo di quella gente. «No», risponde
Cesare, e nego anch’io, ma è una bugia.
È una bugia: io sono della gente
che non ha gente, io sono della casa
che non ha casa. Anche un mucchio di pietre
tra faggeta e castagni non è che una soglia
da oltrepassare. Io proseguo sempre.
Il viaggiatore non apre le porte
per entrare ma per passare oltre.
È buono il desco della casa a Mallare
con gli agnolotti e l’uva e il gorgonzola.
È buono il braccio di Antonella il sabato
stringendoci nei portici a Torino.
È buono il gioco di Cristina al parco
fra l’altalena e il castello di legno.
A me ha rubato il cuore quell’immensa
vita che c’è là fuori. Io proseguo
il viaggio. A ogni partenza c’è un rimorso
o un desiderio vago di tepore.
Devo partire perché il mio mestiere
è proseguire. Ma con tutto ciò
in ogni amore io arrivo puntuale.
Porto con me ripartendo da Mallare
due sacchi di castagne che abbiamo raccolto
in tre valli diverse – ma non si distinguono.
Porto parole e musica d’amici
e i discorsi di Cesare e la voce
anche della barista che versa una spuma
d’arancia ad Altare, e tante cose, troppe
per disegnare una vita. Ma vivo
lasciando che il disegno si disegni
da solo e – come si usa nelle fiabe –
ci entro dentro e passo oltre. Tu
puoi seguirmi se vuoi. La solitudine
non è un vezzo d’artista – è soltanto
una cosa che accade. Non è che
io la voglia o ci tenga.
Io sono puntuale.
Da La parola rinvenuta, Genesi Editrice, 2006.