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Giovane madre coi capelli rossi
(quel rosso dolce che inclina al dorato)
sulle ginocchia ha il bimbo
di forse un anno che si gira intorno
ride sorride si rabbuia ride.

Giovane madre vestita normale
(un pellicciotto forse démodé)
sul treno per Novara
seduta al corridoio, col marito
in piedi, un giovanotto ricciolino.

Un bel bambino sano. La sua mamma
ha la fede nuziale all’anulare
e il suo papà lo guarda
con orgoglio impacciato, muove un dito
davanti a lui, quasi benedicendo.

Giovane madre che va tutto bene
– così parrebbe. Ma dentro i suoi occhi
(di cui non ho percepito il colore)
trovo un dolore chiuso:
non è soltanto una malinconia,
è un corrodere stretto, una nascosta
ansia mortale che la tenerezza
delle mani sul bimbo non può sciogliere.

Ha un opaco che segna sulla pelle
la perdita d’un sogno,
una stanchezza fra la guancia e il collo:
e per un colpo di tosse si piega
come a celarsi al mondo.

I passeggeri in vena di ciarlare
sono larghi d’assensi e complimenti
per tutto quel quadretto familiare:
se ne ristorano il cuore e la mente.

Allora io solo vedo?
Forse vaneggio, forse è mia follia
ammalata di male.
No, m’incrocia
lo sguardo della donna sola, un breve
inutile bagliore d’impaurita
intesa, nello scendere dal treno.


Da Ordinari splendori, Edizioni Joker, 1998; poi ristampata in La parola rinvenuta, Genesi Editrice, 2006.