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L’altra sera alla Luna Storta
Valeria m’ha accarezzato una tempia,
Lara m’ha chiesto d’un pettegolezzo
che non sapevo, poi Alessandro
m’ha parlato di Sarajevo, i treni
da Belgrado, da Salonicco, Federico
ha chiuso il concerto con la мартеница
che conobbi in Romania mărțișor
nel Novecento, Daria criticava
Tosca d’Aquino, si diceva di Gepi,
tu sei più bella un poco dimagrita
con gli occhi chiari pieni di pensieri,
ho spiegato in francese che oui, j’aime les femmes
alla Trebisonda, ma senza capire
che cosa c’entrasse, perché mi si chiedesse,
Max ha cantato che l’amore non lo passa
la mutua, Eva ha di nuovo i capelli più lunghi
e due bambini, Andrea raccontava
d’amori che non riesce a possedere,
ho accompagnato Laura col metrò
e poi a piedi fino in piazza Benefica
e avverto l’inquietudine che spando
perché si percepisce che vorrei
invadere maldestro intercapedini
di cui m’è ignota la natura, toccare
ciò che non va toccato o invece sì:
con le mie improprie urgenze contrapposte
al mio mancare le coincidenze
per viltà o distrazione. Lara m’è parsa
già irrigidirsi al mio voler protrarre
il discorso oltre il primo argomento,
ma forse non è vero, è solamente
che un altro l’ha chiamata, Valeria
è uscita salutando brevemente,
vorrei prendere un treno in Macedonia,
saper giocare, tutto preso, in fondo
al cortile, verso sera, pur sapendo
che chiameranno le madri per cena:
saper cadere in provvisori abissi
con la fiducia che dà la rinuncia,
tagliarmi a pezzi per poi ritrovarmi
steso, ubriaco, miracolosamente
rifatto intero d’un’altra interezza
tutta da riconoscere daccapo,
oltrepassati con naturalezza
pazzesca i varchi invalicabili, forse
non quelli che vedevo, ma bisogna
pure disperdersi, forse adattarsi:
anche ora non scrivo ciò che scrivo,
anche da questi versi mi separa
l’interstizio che inghiotte i frammenti
del mio specchio come acqua in fessure
di terra arida, dura, insaziabile:
mi perdo, mi confondo, non so dire
nulla a nessuno: è distante il contadino
macedone che aspetta alla stazione
l’unico treno, è distante Lara
alta e fiera, distante Valeria
più morbida, Alessandro è distante
come gli amici invecchiati in frazioni
piovose di pianura, Eva è distante
sogno vivente dietro una parete
– e tu, tu che m’abbracci con un tuo
serenamente disperato amore, tu
salda nel vacillare, sicura e imprevedibile,
onnipotente come una bambina
punti gli occhi negli occhi, rimproveri
a me la mia distanza.


Scritta nel 2016.