Mentre un colombo camminava accanto ai piedi del bambino
sull’asfalto irregolare rugoso come un tronco del marciapiede
e il sole s’era appena spento dietro le cupole degli alberi
e sul marciapiede c’erano rametti spezzati e foglie accartocciate
e appoggiato su una panchina il bambino scortecciava con le unghie
un rametto raccolto a terra, meticolosamente, e lo osservavo
nell’attento lavoro, ho visto per un attimo i fili di spazio e di tempo
solitamente invisibili che tutto percorrono avviluppandoci:
assomigliavano ai fasci dei muscoli in certe illustrazioni anatomiche
o a lunghi capelli galleggianti su onde o a intrecci di ferro sottili
o a lunghe ragnatele fluttuanti o alle nasse in cui i pescatori
catturano per ucciderli pesci lucidi guizzanti o a tratteggi a matita
per simulare chiaroscuri in disegni su banchi di scuola, assomigliavano
a vasi capillari d’interscambio di qualcosa, non so dirlo preciso:
di certo ci tenevano e prendevano e sostenevano e imprigionavano
mentre il bambino finiva di ripulire il rametto dalle scorie
trasformandolo in un bastoncino nitido e io seduto osservavo:
poi passato l’attimo non li ho più visti perché sono invisibili
i fili di spazio e tempo, è stato un errore di un sistema o degli occhi,
il bambino era stanco, avevamo camminato molto a lungo
dalla scuola materna per il fiume verso il parco, cominciava
a ciondolare, a fare ostruzionismo e volere la mamma, perciò
ci siamo incamminati verso casa, ho sentito ancora un poco
sul viso i fili, come quelli dei ragni che volano in certe stagioni.
Scritta nel 2021.