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Mattino piovoso. Che cos’è la tristezza?
Le parole si sfuocano, e confuse
possono inerti giacere, o ferire
inutilmente, senza nulla dire.

Un esproprio di figure s’è aggiunto
all’antico indicibile profondo:
ha fatto confusione in superficie:
l’aruspice divina dei tatuaggi.

[“Aruspice” sostantivo maschile,
“divina” terza persona singolare
del verbo “divinare”, “dei” articolo
indeterminativo plurale. Spiegare.]

O come in certi costumi, le viscere
sono dipinte su un rivestimento:
non è scheletro, è stampa su tessuto;
non intestino, elastan misto cotone.

La tristezza non riesco più a dipingerla:
non ricordo se un tempo ci riuscivo.
Acqua dal legno marcio di una nave
che affonda? Era già marcia la sentina?

M’invade o la secerno? Forse come
(pieghiamo alla metafora i novissimi)
questi vaccini, penetra e istruisce
il mio corpo, o l’anima a secernerla.

Non ho figure, le hanno rubate:
non ho parole un minimo decenti.
Il vasto gorgo torbido zittisce
le cose umane, e il deserto cresce.


Scritta nel 2021.