Il biglietto non credo che lo chiedano.
Non c’è ritorno, ma ciò che dà ansia
è che nemmeno è garantita l’andata.
Non è una stazione, è un posto qualsiasi
dove altri s’accorgono, a volte non subito
che il tuo corpo è morto. Tutto qui.
Pensare a un viaggio è soltanto fantasia.
Ogni cosa, sulla morte, è fantasia
tranne la morte nel suo “così fu”.
O forse anche quello, anche tutta la vita
è fantasia, un delirio controllato
per un istinto di prolungamento.
Istinto che a te in un dato momento
non è più bastato: ti sei fermata: eccomi
hai detto in faccia alla tua inseguitrice:
non mi prendi, sono io che prendo te.
Ogni cosa, sulla morte, è fantasia.
E mica sono diverso dagli altri:
anch’io ho bisogno di fantasia, delirio
controllato ma non troppo, che possa
credersi realtà, perché in fondo è protervo
pure dire “realtà”, dire “impossibile”…
Ascolta, i ricordi sono pieni di roba:
anche sorrisi e baci e quella gioia
rara di quando lo sguardo comprende
e l’altra gioia di quando tenersi
risana errori, sgranchisce un futuro
e il dolore di quando non si può
e le distanze, le attese, sono pieni
di roba i ricordi, ed è molto, però
non ho forza per reggere il finale
il finale non può essere quando
– mentre in case accanto qualcuno si versa
un bicchiere, un bambino s’addormenta
e altri litigano, guardano la tivù
o ritirano lenzuola, qualcuno
fa l’amore o mette sul tavolo
una bolletta da pagare –
– mentre nel cielo una luna piena alta
imbianca i tetti, toglie buio ai cortili –
– mentre io penso a tante cose e a te
che presto forse torneremo a vederci –
– mentre le strade sono vuote per decreto
di un governo abietto e rotolano rade
ruote d’auto, sonore, sull’asfalto –
– mentre, mentre, mentre, mentre –
tu prendi la scala pieghevole, ricordo
che l’avevamo messa sul lato del balcone
perché non ingombrasse, la sposti
e la apri, vicino alla ringhiera,
hai già scritto un biglietto, sali il primo
gradino, il secondo, potresti
cambiare ancora tutto, sali il terzo
e non c’è più ringhiera, stacchi i piedi
(i tuoi piedi bellissimi, leggeri)
e affidi ai cinque piani del palazzo
la fine – non ho forza per reggere
che sia la fine, se lo è sia maledetto
dio e sia maledetto tutto.
Non è così. Certe notti ti ho sentita
toccarmi con la mano, c’è un mare
alla finestra in cui nuoti, il dolore
è passato, mi parli nei sogni
in una lingua che presto imparerò
e il treno c’è, non si vede ma c’è:
come quel pomeriggio a Porta Nuova
ci baceremo di nuovo in stazione.
Sarà così vero che ci sembrerà
che tutto, prima, fosse fantasia.
Scritta nel 2023.
Credo di stare commentando Carlo Molinaro ovvero la sfiga e lo strazio fatti persona…fatti poeta no, non direi perché questa sorta di automatismo verbale mica è poesia…sembra prodotta dall’intell….no! ma che scrivo? dalla Demenza artificiale!
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