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Benché il pretesto fosse fare foto
non eri una modella quel giorno nel bosco:
eri una driade, così come nei campi
eri un bambino inventato a matita
e nei baci sull’uscio eri la sposa
lieve per il non essere esistita.

Eri una driade, come un’Euridice
sopravvissuta a morsi di serpenti
ma con veleno rimasto nel sangue
– e dubitosa di canti d’Orfei
sposati in brevi nozze, inadeguati.

Ti ho vista felice soltanto nel tempo
che non ha calendari, soltanto nello spazio
che non ha mappe né punti cardinali.

Qui tutto questo è vietato: il registro
non contempla driade né bambino inventato
né sposa inesistita, e il calendario
è rigoroso ed è bene orientato.

Ho sperato che potessimo resistere
più tempo, come certe ruote storte
che pur carpiandosi reggono carri
in viaggi inutili, solo per un monito
a cocchieri, o nei raggi piegati
per un alito a lucide pozze segrete.

Non valeva la pena, vero? Un Pan
feroce e ottuso insegue le driadi
che per salvarsi si mutano in anime
– ogni altra figura è posseduta.

Che Pan si secchi nell’irto dei boschi
pietrificati, lo soffochi il puzzo
delle carni timbrate dai macelli.

Tu con le ninfe non viste sei volata
dove non so e non sapere è salvezza.


Scritta l’8 aprile 2024.