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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi tag: relazioni

Alla fine del compito

07 sabato Mar 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, relazioni

Se tu fossi stata felice con me
saremmo stati felici in due:
la massima umana perfezione
– e invece quasi certamente
non lo sei stata mai, nemmeno
nei momenti in cui sembrava.

È durissima ammetterlo, è come
quando alla fine del compito in classe
di matematica – ardua materia –
mi pareva di averci azzeccato
stavolta e invece all’ultimo calcolo
non quadra, ed è finito il tempo.


Scritta nel 2020.

La spazzola

24 lunedì Feb 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, relazioni

Le persone non sono quadretti
m’hai detto un giorno strappando una foto
e Pasolini: «Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto».

Ora che tu mi consideri morto
come potrò conservare i momenti
meravigliosi che abbiamo vissuto?
Se li rinneghi, non sono esistiti:
pur se in me vivi germogliano ancora.

Parlarne è uno sberleffo.
Resta un dolore muto, irrilevante
al modo che irrilevante è la tragedia
dell’insetto schiacciato
che la spazzola toglie dal vetro.


Scritta nel 2020.

La voce

28 martedì Gen 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni, scenari

Ascolto la mia voce che ti parla.
Mi è fastidiosa. Vorrei essere altro
nel tuo campo visivo, una pianta
sul tavolo in un vaso o arditamente
un asciugamano sul tuo viso.

Invece c’è quest’uomo che nemmeno
a me piace, buffone petulante,
fastidioso anche a te sicuramente.
Sono io, dice il dato di fatto:
eppure non lo credo veramente.


Scritta nel 2020.

Non c’è via d’entrata

19 domenica Gen 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

…spesso non c’è d’uscita, lo so
ed è disperante. Ma
non c’è via d’entrata
altrettanto spesso, in situazioni
in rapporti, relazioni
in Paesi verso cui fuggi
in donne, in uomini
in case d’inverno
in lavori, giornate
e persino in sé stessi

«non c’è via d’entrata»
(frase che forse non ho mai udita)
frase che andrebbe
rivalutata


Scritta nel 2020.

Capodanno 2020

31 martedì Dic 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, cose di dentro, relazioni

Cominciano i botti. Un anno fa
eri con me, in questa casa, qua.
Io nutrivo sogni impropri, tu
a volte sorridevi, poi cambiavi
fra il bacio e l’ira, fra il dolce
dialogare e il silenzio più duro.

Sono qua ora da solo. Sto bene
da solo, non vorrei nessun’altra:
per sbagliata che fosse la storia
m’ha pervaso, m’ha intriso.
Archivierò questo pieno di vuoti
che sento in petto, andrò oltre, vorrei

solo che tu fossi felice, tu.


Scritta nel 2019.

Statuto-Statuto

19 giovedì Dic 2019

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relazioni, riflessioni, scenari

FOTOPONOT

 

Esco di casa perché sì. Decido
di non prendere nemmeno la borsa.
Metto in tasca portafoglio e telefono.
Così mi riposo la spalla:
pesa, talvolta, la tracolla.
Vado in piazza Statuto.
Penso: magari un dolce da McDonald.
Non è male quella specie di gelato.
Ma decido di no. Vedo un dieci
al capolinea. Sono le dieci e mezza
della sera del diciotto dicembre.
Il dieci ha un percorso che a me pare triste:
vialoni corsoni questura Crocetta.
Ma mi dico: per cambiare!
Lo prendo, poi decido dove scendo.
Passo in piazza Diciotto Dicembre.
Mi stupisco che non sia piena di danze
per il suo onomastico. Viaggio oltre.
Decido all’improvviso di scendere
in corso Stati Uniti. Lo percorro.
Decido di passare al Polski Kot.
Magari è aperto. Infatti è aperto.
Alessandro mi saluta, altri stanno
in disparte. Alessandro mi dice
che mi trova un po’ giù, non so, poi
mi chiede come stanno i figli, i nipoti.
E che potrebbe fare? È gentile.
Mi piace, mi offre un caffè, sto un po’
da solo a un tavolino a leggere
un libro preso da un cesto: un poeta
russo parla di entropia e biciclette
e naturalmente di ragazze. Bevo
il caffè, poi che fare? Andare.
C’è, vicino, il capolinea dell’undici:
altro bus che poco frequento.
Lo prendo con l’idea di scendere
alla stazione Dora, piazza Baldissera.
È deserto. Vado. A Porta Nuova vedo
un taxi che è stato investito da un quattro.
Ci sono i vigili e il carro attrezzi, che botto.
Poi l’undici passa per il centro:
via Venti Settembre, Porta Palazzo.
Non è che uno esce di casa e trova amici.
Queste cose si costruiscono lentamente:
in genere prima è come stanno i nipoti,
è roba formale. O forse è mia colpa
mia grandissima colpa
che il mio problema non sia di nipoti
ma ragazze, malintesi d’amore
e altre cose di questo tenore. I
n centro
l‘undici si riempie. Potrei scendere in centro:
dalla stazione Dora a casa come torno?
Non ho voglia del centro. Ho voglia
di periferia. Un amico mi consigliava
oggi con messaggi su Whatsapp

di cercare delle donne più plausibili.
Se ho capito. Mah. Dove vanno
tutti questi passeggeri dell’undici?
Lo sanno? Io lo so dove vado: da nessuna parte.
Lo so di preciso. Donne plausibili. Ma
forse non ho più stimoli a storie reali.
I malevoli dicono che mai io ne ho avuti:
ma questo è falso. Io agogno la realtà,
adoro la realtà sopra ogni cosa.
Potrei scendere a Porta Palazzo.
No, vado fino alla stazione Dora.
Di lì poi prendo un quarantasei o quarantanove
o vado a piedi o con una Mobike: ci sono
nella vita così tante possibilità!
Ma storie reali forse non ne voglio più:
sono un vecchio stanco, sono
il deserto in cui grida la mia voce.
Certo sull’undici una ragazza c’è:
con gambe velate sotto un paltoncino.
Però non alzo nemmeno lo sguardo,
resto così con soltanto le gambe,
tanto non credo vorrebbe sposarmi.
Non è che esci e trovi lì le cose.
Ma costruire, arzigogolare
m‘ha sempre dato noia. La sera di pioggia
è bella ed esiste senza tanti complimenti.
E io non mi lamento. Mi godo
il viaggio sull’undici dopo il caffè
offerto da Alessandro, che mi piace:
e qualche volta qualcosa si è detto
di più diretto, ma chissà se vogliamo
davvero dire del profondo, dove
nessuna soluzione esiste mai.
Arrivo a mezzanotte in piazza Baldissera.
Dovrebbe passare ancora un quarantasei
o quarantanove. Due o tre volte mi sono
spaventato stasera d’aver perso la borsa.
Non sono abituato a stare senza, mi devo
abituare a questa e ad altre cose.
Ma di solito la prendo per avere
l‘acqua, la macchina fotografica, i guanti
da bici che mi ha regalato una ragazza.
E che altro? La batteria di riserva
del telefono, l’En, della carta, delle biro.
Ma stasera va bene così senza.
Mi riposo la spalla e il nuovo montgomery
verde comprato usato ha grandi tasche
ed è come se me l’avesse regalato
un’amata donna, perché me l’ha indicato
su una gruccia, al mercato.
Chi mette i soldi non fa differenza.
Guardo scorrere automobili
in corso Principe Oddone, un’insegna Max Home
verde bianca rossa, chi sarà questo Max?
Non m’incuriosisce. Sia chi vuole. Non tutto
m’incuriosisce. Un lontano palazzo
altissimo svetta dal quartiere parco Dora.
Ha una, due, tre, quattro finestre illuminate:
su forse cento o più, che bassa percentuale.
In una lampeggia un albero di Natale.
Son qui che giro nella notte. Non è male.
Passa un nero ciclista del Glovo.
Bisogna essere disabili forte
per farsi portare il cibo in casa a pagamento
mentre è così bello stare fuori.
Il quarantasei, l’ultimo, arriva.
M
i riporta in piazza Statuto, chiudo il cerchio.
A che ora chiude McDonald?

Quasi quasi quella specie di gelato
me lo prendo, se è aperto. Ci vuole
qualcosa di dolce. È mezzanotte e mezza.
Vediamo. C’è! Mi faccio un McFlurry

al bacioperugina.


Scritta nel 2019.

I mondi ovattati

09 venerdì Ago 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

Magari è da lì, da quelli
che lei, la complessa ragazza,
chiama i mondi ovattati
che si potrebbe partire
per condividere il profondo,
per asperger dell’altrui emozioni
le proprie: spruzzar l’altro dentro sé.

Da quei mondi ovattati di sogno
dove poco filtra la realtà, attenuata
come un virus da usare per vaccino:
mondi che sono salvezza e riposo
per ciascuno – ma in ciascuno
così diversi, così mal conosciuti!

È difficile, forse impossibile:
forse contraddittorio. In presenza
di relazione, irrompe forte la realtà.

Eppure, se si potesse
trovare una misura di contatto,
un’osmosi fra quelle intimità
sotto vuoto, fragilissime
di pudore e vergogna e timore, se
unirle si potesse, come cellule
che, adiacendo, fondono una parte
della membrana aprendola: l’inverso
della riproduzione per scissione, non so
se mi riesco a spiegare, io credo
ne nascerebbe un’energia suprema
capace di sprigionarsi nel mondo
fuori, di cambiare la realtà.

Ma nemmeno lo so bene spiegare,
figuriamoci accadere.


Scritta nel 2019.

Harem

10 mercoledì Lug 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

Non voglio far parte
del tuo harem – dice pacatamente.

Nessuna mai ne ha fatto parte, perché
sono l’uomo meno incline al possesso
che io abbia conosciuto:
è inconcepibile un harem per me,
foss’anche un harem per una sola donna.

Però capisco: nel profondo
dell’ovattato squillante mio mondo
un harem c’è. Vi si entra
dopo anni d’amore condiviso
o uno sguardo improvviso
e non si esce più, è un ergastolo, lo ammetto:
scade al finire della vita – la mia.

Non ha nessuna implicazione concreta:
non obblighi, non limiti, niente.
C’è chi lo abita senza saperlo
e morirà senza averlo saputo.
È tutto quanto dentro la mia testa,
dove l’amore non ha dimensione:
non esiste davvero, perciò esiste tutto intero
e può essere eterno
come eterno è il pensiero.

Non ha nessuna implicazione:
ma lei è sensibile, lo percepisce
il mio harem innocuo segreto
e vagamente se ne infastidisce
e con un sorriso rimprovera: – Sai,
il problema non sono sempre gli altri,
tante volte il problema sei tu.


Scritta nel 2019.

Poesiuola sbilenca

18 martedì Giu 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, relazioni

Nel periodo che ne prendevo assai, la benzodiazepina
la prendevo non di sera ma di mattina:
non per dormire, ma
per affrontare la giornata, le persone.

Non sono mai riuscito a lubrificare
l’ingranaggio relazionale.
Stride, si arroventa, s’inceppa, a volte grippa
e bisogna rifare il motore.

Quanto all’amore
è stato sbilenco, come questi versi senza ritmo
né misura: qualche esaltazione, qualche avventura
felice, e molte ferite.


Scritta nel 2019.

Crepa, poesia

21 domenica Apr 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni, scenari

Crepa, poesia. Dare ritmo e armonia
al mondo e a sé stessi è una mistificazione.
Felicità? Non bisogna mirare
alla felicità, viene a volte di sbieco
brevissima, un’allucinazione.
Nella seconda metà del duemiladiciotto
ho creduto sentire la più grande
di tutta la vita, e anche la più vera:
invece era la solita finzione
della mia alacre immaginazione:
ritmo d’armonia. Crepa, crepa, poesia.
Giorno di Pasqua. Sul tram un ragazzo
nero gioca con il campanello
della biciclettina del bambino che è con lui:
dlin, dlin, dlin, dlin, dlin. Prima stava chinato,
incappucciato, e m’è parso tristissimo.
Poi ha alzato la faccia e ha sorriso.
Non so nulla di lui né di nessuno.
Accanto a me un vecchio legge
un libro di chiesa, credo, di quelli
di carta sottile coi titolini rossi.
Molta gente è aggregata. Non tutti
ma molti lo sono – in che modo non so.
Non facciamo riassuntini. Crepa, poesia.
Ho aggregato solamente sillabe
e ho dato loro titolo di mondo: se quanto
piace al mondo è breve sogno
che nel nulla precipita, perché
svegliarsi? Eppure vivere la vita
ha un suo valore intrinseco, è
in quanto è. Esistere, quel poco.
Aiutare ad esistere qualcuno
che cerca la sua vita. Brancolare
nello spazio. Sciogliersi in una
parola dolce, o carezza, le rare
volte che c’è, senza cercare un senso
né un prima o un dopo né un ritmo:
cercare nient’altro che quello che c’è.
Liberamente piangere, indifendersi.
Non so se la pioggia
desìderi
irrigare la terra, dare vita, credo
che no, non lo sappia, ma scende
così, quando succede, perché sì:
e l’erba si fa verde e non lo sa
nemmeno lei perché cresce: cresce
senza un pensiero, senza una finzione.

Finzione è invece ogni ritmo che genera
la mia voglia, ogni mia intima armonia:
crepa, crepa, crepa poesia.

O forse no, non so.


Scritta nel 2019.

La scatola del pazzo

11 giovedì Apr 2019

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, relazioni

«Sì» disse il pazzo all’amica «hai ragione:
dovrei starci di più, fare esperienza
maggiore nel mondo di fuori, dove vivi
tu, dove vivete voi persone
con le quali in maniera maldestra
mi metto in relazione: stare di più,
dopo finite le buone interazioni
e i discorsi e i contatti, a contemplarli
come sono, a sedimentarli
come sono davvero, per fissarli
bene dentro il ricordo: non fuggire
subito dentro la mia scatola dove
mi distraggo e all’uscita successiva
perdo il filo, dimentico, ripeto
gli stessi errori, tornando a ferire
e ferirmi in recidivi dolori».

«Certo è dura» continuò il pazzo «perché
nel mondo che sta dentro la mia scatola
i prati, gli angoli, la merda, la benzina,
gli androni, i fiori, le brezze, i vagoni
hanno l’odore che eccita i miei
nervi olfattivi, sui muri i rampicanti
e le grondaie e sul cielo i lampioni
fanno un disegno che conforta gli occhi,
le donne sono giovani, stanno
quasi sempre a cosce aperte, sorridono,
spesso pisciano in mezzo alla strada
e un sole radente fa brillare il fiotto,
non esiste frontiera né conflitto,
dalle finestre le musiche e le voci
mi addolciscono ininterrottamente,
giocano bambini senza piangere mai
in cortili di riverberi, di echi
che combaciano, turgidi di senso».

«Fuori no: è solo occasionalmente
(e di solito così velocemente
da non darmi certezza che sia vero)
che un androne ha l’odore che mi eccita
o che è confortevole il disegno
d’un rampicante sotto un cornicione,
piangono bambini disperati
molto spesso, se piscia una ragazza
in un vicolo e la guardo non è detto
che lei ne sia felice, dalle case
promanano litigi, c’è conflitto
e frontiera, e i riverberi e gli echi
discordi stridono, vuoti di senso».

«Ma» disse il pazzo all’amica «hai ragione:
è la realtà e tu ci vivi e per amarti
devo restarci a lungo, limitando
le fughe di riposo nella scatola,
limitandole molto, concentrandomi
con te a creare sensi condivisi
benché arbitrari, dove tu e io
ci doniamo conforto e qualche dose
di comprensione, il poco che è possibile
fra persone diverse, ed è già molto:
ha dentro un qualchecosa di salvezza
e ora mi sembra di desiderarlo».

Così disse il pazzo. L’amica rimase
perplessa, un poco diffidente, aspettando
qualche prova concreta.


Scritta nel 2019.

Novum Testamentum

24 domenica Mar 2019

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cose di dentro, relazioni

NOVUM TESTAMENTUM

a Franco Trinchero

Fidarsi, non credere patogeni
– come germi – gli altri:
recuperare l’innata attitudine
alla comunanza fiduciosa:
poter dunque tollerare che qualcuno
ti sposti le cose, ti scompigli
senza farti del male.

Ma è presto spezzato il patto implicito
stipulato nascendo, il patto che
permette di affidarsi senza angoscia
al capezzolo esterno, a tutto il mondo esterno.

Spezzato il patto, si traversa il mondo
più o meno recitando: ma di vero
c’è solamente un’incontaminata
nubile intimità – quadro dipinto
in un’era uterina, quadro innato
intoccabile, inetto a chi è nato.

Sì, ma coraggio: produciamo fili
noi stessi, come ragni, li annodiamo
con trepida cautela e se si staccano
ci riproviamo, incrociamo disegni:
in un modo diverso, originale
tesseremo le nostre relazioni
sia pure con lentezza, con fatica:
stipuleremo il nostro nuovo patto,
avremo occhi al buono della vita.


Scritta nel 2019.

Pier

18 lunedì Mar 2019

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cose di dentro, relazioni

In una piazzetta dove non passo quasi mai
e non so oggi come ci sono arrivato
vedo nella vetrina di un bar
uno che sembra Pier. È Pier. Entro.
Prendo un cappuccino. Lui è seduto
da solo a un tavolino. Lo saluto
e parliamo. Per dieci minuti gli parlo
da in piedi, perché non è scontato
sedersi al tavolino di qualcuno. Poi
scaldata la conversazione, mi siedo.
Dice che è in giro perché in casa
tante volte gli pesa stare. Gli rispondo
che oggi pomeriggio sono in giro
anch’io per un motivo simile.
Parliamo un momento del concertino
dal balconcino, poi di cose
più importanti. Lui racconta l’armonia
trovata con la compagna e interrotta da quella
che non guarda in faccia a nessuno.
Io racconto la relazione, la
in qualche modo relazione
con una ragazza giovane, problematica:
di come vorrei che fosse felice
con me o senza me, e come è difficile.
Parliamo, in sostanza, entrambi d’amore,
ma non è che si capisce subito.
E poi delle case, del lavoro, dei soldi.
Un suo amico cieco sta per essere sfrattato
e nessuno gli affitta, non dà garanzie.
E i servizi sociali? Eh, i servizi sociali…
Un’amica pittrice a reddito zero
anche lei niente casa, dorme una notte
da uno, una notte dall’altro. E i ragazzi
hanno problemi con le madri, coi padri
quasi tutti, è anormale trovare
una famiglia che va bene, ne conveniamo.
E il lavoro non c’è o è precario
e sì che il personale è politico:
l’ansia del mondo si somma all’ansia
del singolo e se il singolo è fragile è peggio.
Un altro uomo solo vestito di rosso
sta in piedi appoggiato alla stufa a gas
(non è un giorno caldo oggi)
e ci ascolta, mi pare, però non ci importa.
Pier mi fa vedere sul telefonino un pezzo
di video di un’amica che dipinge dal vivo
al suono di una chitarra in un locale:
e poi ci vedremo, se non prima, domenica
al concertino dal balconcino
e forse io che adesso ho una pensione
posso aiutare la mia ragazza a trovare
una casa sua, e spero che riprenda
gli studi, e lui dice che le farebbe bene
non tanto per trovare lavoro
ma per trovare sé stessa, è vero,
tutto è molto difficile ma non disperiamo.
Pago il cappuccino, chiedo del cesso,
è in cortile, ci vado, saluto, riprendo
il mio vagare, non si sta bene in casa
ma una casa ci vuole, anche solo
per uscirne, incontrarsi per caso, tornare.


Scritta nel 2019.

Parodia

16 sabato Feb 2019

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cose di dentro, relazioni

Le vostre madri vi stanno ancora facendo
quello che hanno sempre fatto:

così voi non riuscite a volare,
a staccare il cuore dai fili
che senza amore si sono intrecciati
come rovi a difesa di un sonno non voluto,
di un sogno non sognato.

Le vostre madri non so se hanno colpe,
certo hanno commesso delitti:
il più grave, scagliare le pietre
per credere sé stesse immuni dal peccato:
credere di esserlo, forse, per diritto.

Ma ora alzatevi, donne bambine:
sarà inteso ciò che avete da dire.
Matura il tempo contro ogni presagio,
non c’è inverno tanto freddo da fermare
la forza delle gemme, delle spighe.

Viene l’ora del perdono che condanna
il male a farsi chiamare per nome:
svestito dell’inganno, sgretolato
da una voce che ormai non ha paura
il male non potrà più farvi male.


Scritta nel 2019.

Casa

06 sabato Ott 2018

Posted by carlomolinaro in poesie

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relazioni

Prendiamo casa insieme,
anch’io lascio la mia, ci sto
da quasi vent’anni, è troppo,
a me piace cambiare.

Due grandi camere luminose,
possibilmente un terrazzino
e una cucina abitabile.

Due bagni non so se ci sta
dentro un affitto accettabile
ma m’impegno a tenere pulito,
ne sono capace se voglio
e con te voglio.

In ogni camera mettiamo
un letto grande
sia per eventuali ospiti,
(tuoi amanti, mie amanti,
la seconda che ho detto
è poco probabile ma
non si sa mai)
sia
se ci viene l’idea
di starci accanto, assopirci,
dormirci nel respiro, altro non dico.

In quartieri gradevoli di Torino
con cinquecento euro
la troviamo una casa così,
dividiamo l’affitto a metà
o come si può
e va,
non pensi che va?


Scritta nel 2018.

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