Però l’amore sì

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Tu avvicini il paesaggio, metti
desiderio in ogni più lontano dettaglio:
non dai la pace dell’immaginetta
che riduce a impressione l’orizzonte.

Ogni cosa che vedo, che mi vede
mi prende e si fa prendere. La perdita
non è ammansita come nel ricordo
che si muta in oblio senza dolore
in una resa docile, confusa.

Sei netta, annulli lo spazio: il distacco
è nella carne viva, nelle ossa. In te
mi sono innamorato dell’esistere
e della confessione: condivido
nella tua morte la morte: condanna
a non distogliere, a non rifugiare.

È pena buona: hai slegato le chiuse
di laghi immensi, chiarori di cieli
rispondono ai chiarori degli abissi
nelle acque che sorgono e ricadono
senza posa. Non ho intelletto
che possa reggere un tale infinito.

Però l’amore sì. Ti trovo in fiochi
riquadri di finestre, negli odori
densi del fiume a sera, nel metallico
battere di una porta, nel corteo
delle luci di un treno, nel veloce
sorriso misterioso di un bambino
o in un grido lontano: dappertutto.

Tu m’hai legato stretto a un’ampia vita
e a un’ampia morte, a qualcosa di cui
non sono capace, mi rannicchio spesso
come un feto che sente la minaccia
del nascere, e non sa – o mi distendo
come una foglia, sovrastato da gorghi
mirabili in cui sogno di trovarti.


Scritta fra il 12 e il 13 agosto 2023.

Sulla corriera per Chivasso

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«Ti bacio il cazzo e ti diventa duro»
– dice sulla corriera per Chivasso
una ragazza sedicenne forse
all’amico che esprime in confidenza
le sue ansie, i suoi blocchi – «funziona
vedrai, stai tranquillo». È amorevole
la dolce sorridente e per davvero
forse funzionerà, o quantomeno
migliorerà le cose. Avessi avuto
io così ragazze accanto, quando tutto
pareva arduo e fosco, sui vent’anni
“relazione” escludeva “erezione”:
funzionava soltanto in solitudine
il mio cazzo. L’avesse baciato
una ragazza così come quella
della corriera per Chivasso, parlandomi
di tranquillità, parlandone sul bus
ad alta voce, con naturalezza
senza badare agli altri passeggeri
in ascolto! Non ebbi per mano
la dolce sorridente, era opprimente
e buio il mondo, nonostante qualche
lampo di Sessantotto: con nessuno
né femmina né maschio né giovane né adulto
parlai mai dei problemi del mio cazzo.
E non c’è da scherzare, rischiai
la morte da alcolista, chiuso dentro
un’anima straziata e un cazzo molle:
due cose inconfessabili. Ci vollero
decenni, poi le cose migliorarono:
ma forse un bacio di una sedicenne
sul mio cazzo (funziona, stai tranquillo)
m’avrebbe regalato una diversa
giovinezza da giovane, chissà.
Chissà. Comunque lodo questi tempi
e non quelli, lodo che si parli aperto
e non vergognoso, lodo la ragazza
che sulla corriera per Chivasso
con fresca voce alta sorridendo
offre a un timido cazzo un bacio bello.


Scritta il 10 agosto 2023.

Carnevale

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Cosa mi prende, cosa ho, non so.

Sono vile ma non abbastanza
per sgusciare serpente fra le chiose:
gli asterischi, la bontà. Sono imbelle
ma non mi basta per trovare pace
chino in questo maligno grigiore.

Io la testa la chino
davanti ai fiori, ai sussulti della tosse.
Tutto è troppo ed è troppo poco.

Non è adespoto il valore
su cui sputa la morte: l’abbiamo
creato noi – non ve la caverete
con sorrisetti e sopraccigli a difendere
la cartapesta delle cause piccole
montate sui pianali, mentre sotto
le ruote della carovana schiacciano
anime, erbacce.

Io la testa la chino
a cercare sul fondo, nella merda,
ripercussioni del dio necessario:
cedo lo sfarsi delle mie pupille
a un rifratto di vuoto
che tenga lo smagliarsi dei blasoni
del vostro carnevale.

Cosa mi prende, cosa ho, non so.
Tutto è troppo ed è troppo poco.

Nella disfatta antiveduta, ineso-
rabile devo salvare qualcosa
di cui non so: perdurare in battaglia
ebete, stupefatto, sparso in fosse.


Scritta l’8 agosto 2023.

Certe volte sono stanco

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0202 2020 è un palindromo di merda
tagliasti i contatti con me
mentre per tutto gennaio ci eravamo visti ogni giorno
ed eri contenta della tua nuova casa
tagliasti i contatti all’improvviso, ti isolasti

e intanto il mondo precipitava
in un isolamento generale forsennato
con il pretesto di un’influenza
un po’ più virulenta di altre
ricordo che a metà marzo potei ancora andare
a tenere il nipotino
(ma sommerso di critiche: i bambini
asintomatici uccidono i nonni, orrore orrore)
poi stop, arresti domiciliari

una somma di cose
nel particolare nell’universale
t’iscrivesti all’università e la chiusero
e tutto buio alle sei del pomeriggio
ne fece di vittime il delirio del potere
e non smette

ora vogliono abbattere gli aceri di corso Belgio
e sostituirli con dei peri che non fanno pere
è solo un giro di soldi, è sempre
un giro di soldi

sotto quegli aceri ci siamo sorrisi per l’ultima volta
sotto quegli aceri è passata l’ambulanza
a raccoglierti morente
sotto quegli aceri hanno appeso l’avviso
che eri morta

che ci mettano dei peri, o dei banani
o radano tutto al suolo, fanno prima
tanto è quello lo scopo

poi verrà la vendetta redentrice dell’erbaccia
a sommergere i loro sepolcri imbiancati
i sorrisi osceni dei loro gusci
zincati della sapienza di nulla

sono stanco, certe volte sono stanco
these wounds won’t seem to heal
this pain is just too real


Scritta il 29 luglio 2023.

Benevola

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Cadrà nel mio settantesimo compleanno la trentesima
luna piena da quella, tu avevi trent’anni. Si gioca
con i numeri e con le fantasticherie
innocue, forse. Si poteva davvero stare insieme?

A volte scattano piccoli relè (sono andati in disuso
i relè, mi pare) che neanche li vedi e deviano
il corso di tutto. Avresti fatto contenta
in qualche modo mia madre, la razzista
che le vuole alte bionde e piemontesi.

Sciocchezze, lo so, frammenti di sciocchezze.
Perso per perso, vado a ruota libera.
Oggi nella calura ho incrociato due tizi
massicci e truzzi, uno diceva all’altro: “ecco,
ecco, proprio, è quello che dicevo
anch’io, hai ragione, io l’ho sempre detto:
se a trentacinque anni sei messa così…”
Aveva il dicente un cane tracagnotto.

Non si giudicano pezzetti di frasi isolate
colti nel tempo d’incrociarsi per strada:
chissà qual era il contesto. Eppure
mi ha dato una ferita, certo piccola, chissà
come è messa la trentacinquenne
che quei due truzzi sempre avevano detto
e che forse non ha loro dato retta…

Sul bus c’era una giovane donna
tutta velata, i capelli nascosti e una veste
fino ai piedi, ha tirato fuori una tetta
per allattare il bambino, in questo caso è concesso
perché il motivo è buono, già immagino
il borghesazzo che benché infastidito
(queste immigrate sono come conigli
e potrebbe stare a casa) avrebbe finto
tenerezza per criticarne delle altre
(sono diabolici): “queste donne hanno princìpi
e le tette le usano per la cosa giusta
mica come bla bla zinne fuori troiazze
ragazze tik tok che poi non si lamentino
se le stuprano, signora, non ci sono più valori”.

Sono un po’ malmostoso, lo so. Su un altro bus
c’era un enorme nero in carrozzina
sembrava un monumento, era gioviale
e opimo (opimo si può dire?) gli è caduto
il telefono e un ragazzo lo ha raccolto,
grazie, poi gli è caduto lo zaino e io
gliel’ho raccolto, grazie, simpatico
la carrozzina era tecnologicissima
ma non c’è un’app per raccogliere le cose
che cadono per terra, c’è darsi una mano.

Scattano piccoli relè. Se per un tragico
incidente tu fossi rimasta orfana
a due anni (povera bambina che disgrazia)
saresti ancora viva? Se nel settantasei
anziché mio padre fosse morta mia madre
che è ancora viva, sarei tutto diverso?

Cazzate. Sono piccoli relè, che neanche li vedi:
comandano scambi in fasci di binari:
ogni deviazione esclude tutte le altre
per sempre, è definitiva, si vive
solo una vita, talvolta neanche quella.

Si poteva davvero stare insieme?
Di certo io l’avrei voluto ma
non è accaduto, punto. Mi ricordo
che in quei mesi con tutti gli errori
che commettevo da stupido, tu eri
benevola con me, li ho qui davanti chiari
i tuoi sguardi benevoli, come
se fosse adesso – non era poco, sai?

Quanto a quella che a trentacinque anni è messa così
speriamo che i truzzi non le facciano del male.


Scritta il 18 luglio 2027.

Sera del Carmelo

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Una musica araba resa lieve dal mischiarsi
con altri suoni e rumori, dalla piazza
sale fino al mio piano, le belle di notte
ora hanno fiori di diversi colori
sulla medesima pianta e sull’altro
lato un raggio che s’incastra nel cucinino
colpisce d’oro una bottiglia quasi vuota
di plastica lasciata nel ciarpame del tavolo
credo sia da buttare, acqua vecchia:
il sole scende alla sua dolce morte
privilegiata, la replica ogni giorno
nuova e un filo di vento attenua la calura
traversando l’alloggio, tutto questo
è un inganno, come l’odore soave
che adesca l’insetto per rinnovare vita
senza volerlo, mi prende qualcosa
che mi fa usare parole da lontano:
un impeto, un empito, un braccio che da dentro
sostiene me e la sera, perché non s’accartocci:
persuade, contra spem, a rimanere.


Scritta il 16 luglio 2023.

Un punto

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«Se camminando hai paura di cadere, cadi»
dicevi, m’è salita questa frase
nella notte, c’è la luna calante
e silenzi abbastanza lunghi, alle tre
fra un’auto e l’altra – di giorno è un frastuono.

Ho notti che sono antologie di te:
ti riascolto tutta viva e non posso parlarti:
ogni tua intonazione colora uno spazio
illimitato, ma non posso parlarti
né toccarti, nemmeno sperare
che domani, o fra un mese, mi chiami.

«Se vado via per la mia strada non essere triste
ma felice per me che cammino» dicevi
e potevo riuscirci, saperti camminare
avere qualche notizia, l’iscrizione
a filosofia, sperarti stare meglio, ma ora…

«Mi manchi» è un pensiero egoista, anche se
viene preso, certe volte, con amore.
Ogni cosa è ambigua e oscura.
Quando suona nella notte la tua voce
dentro me, vedi, io… è come…

«Il candidato esprima in breve ciò che sente».
Professore, ho buttato nel cesso
un milione di aggettivi e di similitudini,
il dizionario è vuoto, ma mi creda
che cosa sento lo so molto bene
e in fondo, guardi, sono quasi contento
di non poterlo dire, è un filo…

Lo sapevamo insieme, con parole o senza
in fioca luce abbracciati:
forse in quel tiepido grumo di nulla
c’è – c’è adesso – un embrione inammissibile,
un punto (senza segni né quote)
di partenza.


Scritta il 7 luglio 2023.

Come nemmeno immaginavo prima

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tu dicevi che non potevi amare
e che nessuno ti poteva amare

ti credevo, perché i bambini credono
e cercavo, perché gli adulti cercano
con te uscite, risposte, spiegazioni

ora in questa distanza che nemmeno
è una distanza, è qualcosa di più
infinito ed è nulla, mi domando

perché allora è con te che mi sono
sentito amato e sentito di amare
come nemmeno immaginavo prima?


Scritta il 29 giugno 2023.

Restituirti

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eppure ci sono state occasioni
in cui i laghi dei nostri cuori
sembravano poter superare l’istmo
le nostre acque mescolarsi
distendersi, abbracciarsi
come i nostri corpi si abbracciavano

l’onda arrivava sulla ghiaia alta
e qualcosa filtrava, un sentore
di sorpresa, a bocca aperta
si ritirava

eri talvolta sconcertata
dal mio non capire “scusami
sono stupido e lento” ti dicevo
“no Carlo tu sei intelligente
tu sei molto intelligente” m’inchiodavi

ci sono i bui che nessuna parola
può illuminare né toccare, ma
appena in qua da quel confine, rasentandolo
pericolosamente
mi dicevi tutto il dicibile di te
mi mostravi tutto il mostrabile di te
con impudente/imprudente sconsideratezza

“hai potuto vedere le mie ferite aperte”
“cose, a te, che a nessun altro mai”

la cura…
è comodo dire che era impossibile
potevo fuggire, non sono fuggito
restarti accanto è stato farmi carico
senza attenuanti

– forse tu poi l’hai giudicato impossibile
ti sei allontanata, allontanata all’estremo –

ripercorro momenti fissati
nella mente come nient’altro in vita mia
vorrei tornare e cambiare
una sillaba, un gesto, anche solo
un moto degli occhi o un inciampo
di respiro, che bastava questo
a farti dubitare, scivolare
indietro in quel ripidissimo sentiero
che tentavamo

facile no, certo facile no
un oceano non un fosso
ma è da idioti anche solo pensare
che potesse essere facile

ci sono stati momenti sovrumani
in proporzione, è giusto, il dolore e la colpa
umani

conservo come posso tutto quanto
esista o non esista una stazione
dove sceso dal treno ritrovarti
davanti, nel viale, restituirti


Scritta il 25 giugno 2023.

Cosa dunque mancava?

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sì, con il fatto assurdo che sei morta
c’è che più sei presente più mi manchi
credo sia naturale in questi casi
forse è perciò che si cerca l’oblio
ma non lo cerco: il tuo essere presente
(presenza vaga, sogno trasparente)
è prezioso: ogni pena pagata
è, al paragone, niente

dunque non fuggo mai quando si affaccia
il ricordo, il pensiero, seguo il filo
che in qualche modo ancora a te mi porta
e mi lascio cercare nella mente
e fuori, nella casa, nei cassetti
e in chiavette, hard disk, memorie di telefoni
immagini, documenti, registrazioni vocali
condividevi tutto

anche referti medici
buona salute, peso 50, altezza 170
pressione 100/70 (bassina)
sospesa da due mesi pillola EP (Yaz)
sospesa?… ma, me lo avevi detto?
io facevo come se tu la prendessi
mi guardavi con molta dolcezza

quindi abbiamo avuto rapporti
in modalità “facciamo un bambino”?
però non è successo – beh, certo
non è automatico, per la mia primogenita
un anno e mezzo prima che…
ed ero molto più giovane… fattori…
ma quindi tu hai concepito concepirlo?

fosse successo! saresti viva forse
(chi può dirlo) lo porteremmo in giro
magari insieme con il nipotino
(che due bei bambini! ma tu sei il nonno?
di uno il nonno dell’altro il papà)
fantasie

però penso a volte che quella famosa
– reiterata in colpe – incapacità di amare
sia più incapacità di concederselo
un “non puoi!” pronunciato da autorità cattive
ma influenti, di potenza devastante

mi lasciavi fare e mi guardavi con dolcezza
e io guardarti addormentare tranquilla
era gioia maggiore di ogni gioia dicibile
cosa dunque mancava, signor giudice?


Scritta nel 2023.

Forse è qui

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Leggo pagine. Deleuze, Severino
persino Pessoa, che ho sempre amato, mi annoia:
mi sento oltre, o prima, in uno spazio
enorme e trascurabile, muto. È lo spazio
dove dovrei, lo sento, udire e dire
ma non odo né dico. Una pochezza
mi svergogna, proprio quando sarebbe
il momento: la luce del disegno
liberato da molti, non so se tutti, i filtri
che per misericordia gli uomini confondono
m’oscura in un attonito silenzio.

Non ho varcato come un condottiero
il nero mare, a perdita di riva
e d’orizzonte: sono andato alla deriva
goffamente, vilmente – ma non ritornerei
nemmeno se potessi nella rada
da cui amore mi condusse via.

Al ristorante cinese un giovialone
sentendo che chiedevo al cameriere
un tavolo da solo, m’ha esclamato:
“Ma no! Prendi una bambola piuttosto
e mettila lì sulla sedia, perché
niente è più triste che mangiare da soli!”
Forse aveva bevuto. Gli ho risposto
che a me non dispiace mangiare da solo:
ma a voce bassa, perché non capisse.

Racconto magari questi aneddoti, leggo
qualche pagina, guardo un video, piccole
dosi d’umile piacere passatempo:
poi mi rannicchio nel silenzio, mi adatto
a non saper rispondere al maestro
che mi chiede del viaggio, di descrivere
le acque inesplorate. Non lo so, mi perdoni:
non sono preparato, mi è successo
ma non sono all’altezza. Però sento
qui nel buio qualcosa che se fosse
sarebbe voce o sorriso o profumo
tuo accogliente, tuo buono, forse è qui
dove divento nulla, che ti trovo.


Scritta nel 2023.

Fiocchi

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Tiro e muovo, per sostenere l’anima
o la ψυχή – è lo stesso, anĭma, ἄνεμος
e ψυχή, ψύχω, √bhes, è sempre
un soffio e per un soffio tiro e muovo
fili sottili, una macchina vedova
di cotone e di balsa, con fragili pulegge
e funicelle, quando una scavalla
il solco di una ruota e s’ingarbuglia
con svogliata imperizia la ricolloco
nella sede, ma resta più sbilenco
l’apparecchio, si riduce il movimento
a poche parti non ancora inceppate
fra altre immobili che già si corrodono
come le cose ferme, ad ogni guasto
tutto vacilla, per non crollare tiro
più forte i fili, ma i fili si dislacciano:
l’usura scioglie la ritorcitura:
li fa tornare, per natura, fiocchi:
il cadere sarà di neve lieve.


Scritta nel 2023.

La morte, la fantasia

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Il biglietto non credo che lo chiedano.
Non c’è ritorno, ma ciò che dà ansia
è che nemmeno è garantita l’andata.
Non è una stazione, è un posto qualsiasi
dove altri s’accorgono, a volte non subito
che il tuo corpo è morto. Tutto qui.

Pensare a un viaggio è soltanto fantasia.
Ogni cosa, sulla morte, è fantasia
tranne la morte nel suo “così fu”.

O forse anche quello, anche tutta la vita
è fantasia, un delirio controllato
per un istinto di prolungamento.
Istinto che a te in un dato momento
non è più bastato: ti sei fermata: eccomi
hai detto in faccia alla tua inseguitrice:
non mi prendi, sono io che prendo te.

Ogni cosa, sulla morte, è fantasia.
E mica sono diverso dagli altri:
anch’io ho bisogno di fantasia, delirio
controllato ma non troppo, che possa
credersi realtà, perché in fondo è protervo
pure dire “realtà”, dire “impossibile”…

Ascolta, i ricordi sono pieni di roba:
anche sorrisi e baci e quella gioia
rara di quando lo sguardo comprende
e l’altra gioia di quando tenersi
risana errori, sgranchisce un futuro
e il dolore di quando non si può
e le distanze, le attese, sono pieni
di roba i ricordi, ed è molto, però

non ho forza per reggere il finale
il finale non può essere quando
– mentre in case accanto qualcuno si versa
un bicchiere, un bambino s’addormenta
e altri litigano, guardano la tivù
o ritirano lenzuola, qualcuno
fa l’amore o mette sul tavolo
una bolletta da pagare –
– mentre nel cielo una luna piena alta
imbianca i tetti, toglie buio ai cortili –
– mentre io penso a tante cose e a te
che presto forse torneremo a vederci –
– mentre le strade sono vuote per decreto
di un governo abietto e rotolano rade
ruote d’auto, sonore, sull’asfalto –
– mentre, mentre, mentre, mentre –
tu prendi la scala pieghevole, ricordo
che l’avevamo messa sul lato del balcone
perché non ingombrasse, la sposti
e la apri, vicino alla ringhiera,
hai già scritto un biglietto, sali il primo
gradino, il secondo, potresti
cambiare ancora tutto, sali il terzo
e non c’è più ringhiera, stacchi i piedi
(i tuoi piedi bellissimi, leggeri)
e affidi ai cinque piani del palazzo
la fine – non ho forza per reggere
che sia la fine, se lo è sia maledetto
dio e sia maledetto tutto.

Non è così. Certe notti ti ho sentita
toccarmi con la mano, c’è un mare
alla finestra in cui nuoti, il dolore
è passato, mi parli nei sogni
in una lingua che presto imparerò
e il treno c’è, non si vede ma c’è:
come quel pomeriggio a Porta Nuova
ci baceremo di nuovo in stazione.

Sarà così vero che ci sembrerà
che tutto, prima, fosse fantasia.


Scritta nel 2023.

Notte di San Silvestro

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Parafrasando Ungaretti, non ho nessuna voglia
di tuffarmi in gomitoli di strade, o feste
rumorose con cibo: me ne sto
con qualche yogurt, un sacchetto
di patatine, del succo di frutta
e con te: nel ’18 brindammo
da soli in casa e fu l’anno migliore.

Ora sei dappertutto e in nessun luogo:
mi pare di sentirti: se è illusione, pazienza.

Quelli a cui voglio bene
sono, chi più chi meno, in buone compagnie
o qualcuno da solo perché preferisce:
mentre gli altri, gli ignoti, fanno musica e botti
che spaventano i gatti.

Io sto bene qui, nella casa che guarda
sul parco e sul presepe di piccole luci
della periferia. Sono passato
poco fa al bar di via Cravero e già erano
tutti storditi, le voci troppo forti:
mentre a me serve essere attento e lucido
per cogliere le tracce rarefatte
che un poco, nell’aria, mi salvano e ci salvano.

La felicità è una cosa seria
come e più del dolore, ma capisco
che si fa come si può, e confondere tutto
è un’idea, una soluzione per campare
e va bene, se va – può tenere in sicurezza
l’anima, aprire valvole di sfogo
all’angoscia, alla consapevolezza.

Poi è come è, o è come non è:
non importa, sto bene qui al riparo
da ogni bene o male, da ogni gesto.

Ti tengo stretta – lo so, non è vero
ma per un indicibile prodigio
t’immagino senza immaginare:
in occhi a cui non servono figure
mani che sentono senza toccare
musica senza toni né misure
pienezza a cui non serve la parola…

È ovvio che non lo posso descrivere.
Me lo fai un sorriso? Mezzanotte.
Qui, dove il tempo si misura, arriva
un anno nuovo. Ti tengo stretta, amore.


Scritta nel 2022.

Brusìo

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Brusìo, brusìo. Il rumore di fondo
dal profondo sono moncherini di parole
amputate per mondare il discorso dal delirio:
per salvare il regno dalla piaga dei folli.

Si vendicano: catene proteiche indecifrate
si agganciano alle membrane protettive
dei lemmi buoni e belli, li scindono:
ne svelano il disordine nascosto.

Per i facili esegeti di frasi allineate
di parole lisciate in formine appropriate
è il panico, è il panico, la furia!
O civis, cave signatorum signa!

Brusìo, brusìo. Dappertutto è brusìo:
mi esce dalla bocca, dalla testa.
Il mio mondo non è di questo regno
e non ho mappe né forze per viaggi.


Scritta nel 2022.