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Carlo Molinaro

~ poesie e altre cose

Carlo Molinaro

Archivi tag: cose di dentro

Un limite

08 lunedì Mar 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, cose di dentro, dolore

c’è un limite

oltre il quale nulla
si può dire né dipingere
solo a volte qualcosa
in parte ricordare
ma confusi, in angoscia

i poeti finti
a distanza di sicurezza
se lo inventano, sono ridicoli
buffoni

quelli veri lo rasentano
con cautela, bisogna
salvare la pellaccia
e pubblicare i versi

c’è, al di là, un infinito oscuro
inutile ai nostri bei costrutti
una luce per cui le parole
sbiadiscono davvero

una luce o un buio, non si distingue
le parole si dileguano
davvero
non ne avrai nessuna gloria

se ti sporgi, in quello spazio
senza parole qualcosa ti chiama
qualcosa di molto importante
tu

ti chiama con un grido d’amore
muto, incessante
ma senza le parole ti sgretoli
in frammenti che non possono rispondere

se mai c’è stata una bussola
per una rotta su mari di non lingua
l’abbiamo persa: è spago di parole
a imbastirci, ci sfilacciamo senza

c’è un limite

e lo spazio al di qua
è quello della vita: non si può
tracimare: ci devi stare dentro

crescere è rimpicciolire
e diventare grandi
è diventare piccoli
abbastanza per non soffocare

ogni madre lo sa: per istinto
educa a muoverti meglio che puoi
nello spazio al di qua
così una leonessa insegna ai cuccioli
una donna ai bambini

ma qualcuno si affaccia
o è spinto a guardare, forse gli pare o sa
di venire da là
dall’infinito privo di parole

può essere un poeta ardimentoso
o un bimbo a cui il castello dei sensi
non viene bene: le carte
gli cadono, vede e rivede quel prima
che non si può né dire né dipingere

o può essere altro, non conosco le vie
ma qualunque sia il motivo c’è chi
sta male qua, è monco: da oltre
il limite sente sé stesso chiamare

forse un trauma, una ferita, d’altronde
le ferite sono porte, passaggi
labbra aperte su un vuoto che chiede
in silenzio di non essere vuoto

tu sei qui, qui dove non puoi essere
sussurra forse (ma è solo un’illazione
per il mistero che resta mistero)

qualcuno si sporge, riporta
(se si è tenuto saldo)
di qua un suono, un bagliore
che prova a evocare, trasportare
in parole, con esito modesto

ad altri non basta, è tutto più in là
più in là
chiama

c’è un limite, non lo posso descrivere
se non con grossolana
approssimazione

un filo d’acciaio a traverso degli occhi
un muro in fondo all’orto
la ringhiera d’un balcone


Scritta nel 2021.

La videocamera bene orientata

03 domenica Gen 2021

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

Calcolo col goniometro e la mappa
il punto dove sorgerà la luna.
Ma pioviggina, è nuvolo, è impossibile
(quasi) che la si veda. Eppure piazzo
la videocamera bene orientata
sul balcone. Tutto è sempre possibile.
Due ore dopo, non s’è visto nulla
com’era prevedibile. Riporto
in casa il cavalletto, stacco il filo.
Ma non sono pentito, io vivo così.


Scritta nel 2021.

Guardo un po’

31 giovedì Dic 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, tempo

guardo un po’ il sole che sbuca
con forza e con fatica
dalle nuvole che s’aprono

guardo un po’ sullo schermo una modella
che s’apre con le dita una grotta
larga e scura fra i labbri della fica

guardo un po’ il fico che ha perso le foglie
nell’inverno sul nuovo balcone
e l’edera non si decide a crescere

guardo un po’ una matita e due forbici
infilate in un mattone forato
rosolato dal mare che ho reso portapenne

guardo un po’ le mie gambe
aperte sulla sedia
e il pavimento sotto

guardo un po’ il fumo che esce da un comignolo
di metallo lucente su un tetto di fronte
e si disperde dentro il paesaggio

avrei voluto disperdermi anch’io
in tutti questi varchi
m’è mancato il coraggio

solo ho guardato un po’


Scritta nel 2020.

Oggi due anni fa

10 lunedì Ago 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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amore, cose di dentro, scenari

memoria di rete, facebook mi rimanda
in forma di ricordi poesie scritte per te
due estati fa, poesie che sono storie
forse nemmeno poesie, ma diario

oggi due anni fa eravamo in campi
della pianura del Monregalese
picchiava un sole implacabile come oggi
e noi a parlare a camminare a non cercare
ombra: parlavamo delle qualità di mais
e sparlavamo delle nostre madri
e puzzavamo di sudore, grondavamo
perdendoci su cigli di fossi seccati
fino a un gruppo di case, ricordo, da cui gente
ci guardò senza interloquire, siamo
in Piemonte, poco sotto le Langhe, Pavese
la bella estate? non so, era tutto
incredibilmente vero accanto a te

quante cose abbiamo fatto di quelle che in genere
solamente si leggono e scrivono! e quante
vissute più di come si possa
scrivere o dire! era tutto così vero
che forse era sogno
e non lo sapevamo: era quel sogno
così abissale che come la morte
nessun vivente lo può raccontare

eravamo scesi dall’altura
di Villanova, per dirti creatura
di bosco è necessario lavar via
la letteratura, lavare
i miei panni in te
creatura di bosco
semplice, increata
futura, primitiva
no, inutile, non ho
parole a dirti, forse nemmeno
tu le hai, e nessuno

[…e questo è un problema, nel mondo
che è tutto lingua e psiche
disturbo post traumatico da stress
personalità borderline
schizoide
creatura di bosco
io isterico istrionico poeta
noi… l’amore? parlavamo delle qualità di mais
e sparlavamo delle nostre madri
e puzzavamo di sudore
credevo che ce la potessimo fare]

avevi pianto fra gli alberi, poi
rasserenata, che cielo i tuoi occhi
scavati fra le nuvole, nei campi
roventi, persi, senza direzione

[ci volevano diagnosi, distacco, ma
ero tutto, di te tutta, innamorato:
avevi catturato
lo sciame sparso di tutti i miei frammenti
nella rete frangibile dei tuoi]

cercammo case e psicoterapie
non eravamo sventati
restavamo a parlarci e ad ascoltarci
per decine di ore
che cos’è la saggezza in amore?
forse noi… ho creduto
di potercela fare

oggi due anni fa eravamo in campi
della pianura del Monregalese
ed eravamo belli come il sole

è, come altri nostri, un ricordo
felice sub judice, dipende
da ora come stai, non ti vedo da mesi
e forse è bene, la massa ingombrante
che non posso non essere (potessi!)
ti zavorrava – mi condanna
il vizioso sillogismo: ogni uomo
è tuo persecutore, io sono un uomo
ergo… – non ho la forza di redimere
tutto un intero genere

ti troverai, amore, ti dirai
creatura di bosco e d’ogni luogo?
buona fortuna, buona
fortuna

oggi due anni fa eravamo in campi
della pianura del Monregalese
picchiava un sole implacabile, noi
eravamo più belli e più forti di lui


Scritta nel 2020.

Hai fatto bene

20 lunedì Lug 2020

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amore, cose di dentro

Per il mio compleanno, fra poco, saranno
sei mesi senza te. Vaghissime notizie:
come tu stia, non lo posso sapere.

Io cambio casa. Non so se è perché
qui rimangono, dei quadri colorati
che tu riempivi, le sagome di polvere
alle pareti e il tuo odore, diluito
in frazioni omeopatiche, non perde
efficacia. Ho perso, io sì, i miei poteri
fantasticanti, non trovo più immagini
per metafore né similitudini.

Specchi, pensavo poco fa, specchi
eravamo, di fronte: non le cose
specchiate: gli specchi, all’infinito
moltiplicando un disegno
non sappiamo da dove partito.

Ma non così funziona: nessuno
specchio crea, solamente riflette.

Esistono fantasmi che si svelano
solo specchiati? Era uno di questi
a danzare fra noi, prendendo vita
dal nostro disperato inarrestabile
mandarci la sua ombra, in teorie
profonde come abissi? Il parassita
ci illudeva che noi ci somigliassimo
e a lui somigliavamo.

                                 Hai fatto bene
a fuggire lontano – che dolore
ho nel dirlo… In qualche sconnessura
o crepa, dietro la facciata opaca
io t’ho vista nel buio, io t’ho amata.


Scritta nel 2020.

Paralipomeni alla fisioterapeuta

10 venerdì Lug 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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adolescenza, cose di dentro

Ricordo il discorso che non le feci
trentotto anni fa, signora, la fisioterapia
dopo la polinevrite alcolica, a zero
l’elettromiogramma, lei diceva
stare su un piede solo, esercitare
la forza perduta della singola gamba
concentrandomi, risposi: «non sono
mai stato capace di stare in equilibrio
su un solo piede» e lei sorrise
non credendomi, disse: «ma come!
faccia come quando saltellava
da ragazzino giocando, come tutti».

Lei non mi credeva e io non le feci
questo discorso, signora
fisioterapeuta delle Molinette
nell’autunno dell’82, non spiegai
che negli anni Sessanta, quando erano
più giovani le nostre madri umili e fiere
e aveva la frutta un diverso sapore
e si lavorava sodo e i ragazzini
saltellavano e si picchiavano ed era
un mondo vero, ecco: non è vero.

Mia madre non così umile né fiera
non s’accorse mai che a qualsiasi età
barcollavo infilando i pantaloni
cercando un appoggio, al primo tentativo
spesso ricadevo col piede, riprovavo:
io, signora, su una gamba sola, mai
e non si sa il perché: non era un disturbo
diagnosticato, ero semplicemente
un pirla e un imbranato: saltellare?
no, non ho mai saltellato né picchiato
e mio padre lavorava duro per fondare
il consumismo, comprava le radio
e i mangianastri che non usava, qualsiasi
giocattolo, più bambino di me
giocava a essere diventato
stimato dottore da padri contadini
e anche lui, signora, non ammetteva
che io non saltellassi e non picchiassi:
non ammettendolo, non lo vedeva.

Quanto alla frutta, di tutto quel sapore
non mi ricordo e i compagni di scuola
come oggi l’i-phone compravano cose
quanto potevano: saltellare e picchiare
chi sì e chi no, non è che li spiassi
in questo, l’epopea raccontava
che gonfi di testosterone scopassero
non si sa chi, le ragazze dovendo
restare caste. Era una merda, signora
il mondo vero degli anni Sessanta:
mia madre ancora adesso a novant’anni
non lo sa e non sa che quanto a me
non saltellavo né picchiavo
e giunsi vergine e ansioso alla donna
che sposai e non è romantico, signora
era soltanto una disperazione
(mi rifeci poi dopo) era proprio
una disperazione tutte quelle cose
che andavano fatte, così tanto
che si credono fatte, da tutti:
e lei nel 1982
non ci credeva che io non avessi
mai saltellato e se qualcuno vedeva
mettermi i pantaloni, morivo di vergogna
cadendo e ricadendo. Ero un ragazzo
normale, nessun problema, bene a scuola
mai salito su un albero.

Ho i miei motivi, signora, per odiare
nel secolo ventunesimo, adesso
che sono vecchio ormai, le frasi fatte
nei bar, sulle quarte di copertina
dei libri, su Facebook, quando il mondo
era più vero, o che l’amore si redime
con l’abbandono e signor caporale
quante puttane e quante brave ragazze
e fiere e umili madri e il bollito
e l’occhiolino e il bosco e la frutta
ma cosa cazzo dite? cosa cazzo?

Già nell’ottantadue, sul lettino
paralizzato dall’alcol solitario
inerte lo sciatico popliteo interno
non meno che l’esterno
lei sorridendo signora negava
il mio non avere mai saltellato
su un piede solo, non avere picchiato
né scopato né virilmente ammiccato:
lei signora come un fiera madre
negava che io
fossi mai esistito.

Non ha colpa, signora, però
io quel sapore di frutta di una volta
io francamente no.

(Cammino bene, adesso, lo sa?)


Scritta nel 2020.

[De]scrivere

04 sabato Lug 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

Sì, il troppo [de]scrivere
m’ha privato di vivere
non sempre, ma spesso.

Ma adesso
che ormai vecchio
ci penso, fu parecchio
una fuga in [de]scrivere
dal terrore di vivere.

Vivere: dove le storie
non sono mai canzoni
«con una fine mia
tu non andresti via»
come canta Vecchioni.

Qualcuno ha goduto
forse del mio [de]scrivere.
Qualcuno ha ringraziato.

Qualche donna gentile
presa in rete di versi
mi s’è data: in un gioco
di bambini (facciamo
che ero…) s’è prestata
a incarnare l’amore
in cui dentro i suoi occhi
io l’avevo inventata.

Ma è roba da poco:
non c’intessi una vita.

Viene ora di cena.
Ti chiamano, non hai
mai guardato in cucina.


Scritta nel 2020.

Poesie non scritte

23 martedì Giu 2020

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cose di dentro, scenari

In questi giorni
non ho scritto alcune poesie.
L’ansia che avevo decenni fa
«affèrrala, affèrrala, prima che svanisca»
s’è rovesciata: svuoto gli occhi, lascio
evaporare immagini, parole.

La vicinanza d’un nucleo
di verità incandescente, la chiara
intuizione. Il calore. Ma presbite
l’intelletto avvicinandosi
confonde, sfoca, ed ecco
percepisco i mezzucci
della mia fantasia, le pezze
dell’immaginazione.

Giro le lenti del linguaggio come
l’oculista alla visita: meglio
così? o così? o così?
No, le righe piccole
rimangono illeggibili.

Ieri a Vercelli in giardino le rose
e le ortensie, la brezza
tiepida, sotto la magnolia
l’ombra e intorno, abbacinante, il sole.
Buona scenografia, potrei cavarne
anche similitudini, metafore.
Cazzo, che noia.

Una finestra oltre la via muovendosi
incrina una porzione
di spazio, inghiotte
il suo tempo, il mio tempo.

Si possono scrivere versi scherzosi
uscendo da un macello:
non è che non si possa – non è
una cattiva azione. Si può
indossare il naso rosso, giocare
con i bambini al reparto oncologico:
è un’azione lodevole.

Ma tutto ciò che riesco a dire è finto:
lo è per me. Sono stato bravissimo
nell’inventare mondi
liberi dal reale: proprio questa
bravura (ho talento) mi condanna:
puoi convincere il semplice
che sotto il riflettore non c’è trucco:
ma convincere il mago!

Scriverò ancora poesie d’amore,
il vizio non si perde. C’è un margine
intontito, dove a tratti impreviste
voci d’infanzia rivelano
soltanto per un attimo il luogo
del contatto, il luogo
dove in silenzio, felici, cadere.


Scritta nel 2020.

Dentro e fuori la testa

28 giovedì Mag 2020

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cose di dentro, scenari

Che poi starsene dentro la testa
non è nemmeno un sicuro rifugio:
mangiavo poco fa insalatina e pomodoro,
per dessert qualche biscotto imburrato:
sera dolce, chiara e tiepida: è passato
per la testa, giustappunto, un pensiero
antico, senza alcuna pertinenza:
m’ha turbato, tutto quanto ha disturbato.

A distorcere il corso d’una sera
pacata e dolce può essere a volte
un fatto esterno, sì, ma spesso è anche
un fatto nella testa, un nessun fatto.

Mai si ferma la corrente marina
di colpe o gioie o tenerezze andate
tanti anni fa o ieri, o domani sperate
o temute, o in nessun tempo immaginate:
scorre variando le scie in superficie:
cambia la luce, poi cambia di nuovo.

L’oceano al cui mutare si è indifesi
si muove dentro e fuori:
non esiste riparo.


Scritta nel 2020.

La scatola di latta

25 lunedì Mag 2020

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cose di dentro, relazioni

La scatola di latta dei biscotti dell’In’s
comprata due settimane fa potrebbe durare
cento anni, anche di più, ma la devo
buttare, quante cianfrusaglie in casa.

Vorrei liberarmi dal ritmo
e dallo spiegare: raccontare con versi che non lo sembrano
come in lunghissime odi di Pessoa
questo passare, che non sembra, della vita.

Tutto ciò che svanisce è nel presente, non esiste il ricordo.

Tutti più grassi a stare chiusi in casa
in questa epidemia (con presunzione megalomane
immagino qui una nota a piè di pagina: «si tratta
dell’epidemia che colpì il mondo quattro secoli
fa, nel 2020, causando rivolgimenti
sociali che portarono…») – io nove chili
ho perso, bastian contrario, ma è che
s’è sovrapposta una pena d’amore, nel dilagare
del morbo dilagava l’accorgermi
giorno dopo giorno che l’abbandono
improvviso dopo un gennaio di quotidiana vicinanza
(nessun ritmo!) di una ragazza non era
uno scazzo provvisorio: permane.

Com’è sorprendente invecchiare e morire!
È tante cose, ma è anche sorprendente:
non posso crederci. È carta sbiadita
(sbiadita nel presente, non esiste il ricordo)
(questo «non esiste il ricordo»
non lo capisco io nemmeno, ma sento che è vero)
la sceneggiatura dei giorni
degli anni Settanta con i miei vent’anni
degli anni Venti con i miei settanta
– già troppo ritmo in questo chiasmo, fuorvìa.

Sì, nel tempo ho maturato consapevolezze
interessanti. Non utili, ma interessanti. Di utile
un poco di destrezza a non ferire
(a ferire di meno) le persone. Un poco
di abilità nel tenere le briglie: che gli zoccoli
dei miei sogni non calpestino
qualche cosa di tenero non visto. Questo
sì, forse sì. È qualcosa. Ma sbaglio molto ancora.

E il passaggio degli anni attenua
(il passaggio in corteo, sotto il balcone, degli anni)
alcune sensazioni, assopisce
chiarori, oscurità. Questo pertiene
al moto del ricordo, che dunque
esisterebbe? Mi posso contraddire, è contraddicendomi
che sento a volte il mio corpo aderire
a corpi altrui, nelle bocche angosciose delle camere.
Il ritmo e lo spiegare (le due cose vere)
mi scombaciano dal mondo: disgregandomi
mi ci posso insinuare. È una polvere sottile macinata
a superare il setaccio emato-encefalico
che regola le nostre solitudini:
le strutture aggregate non passano, se passano
è per squarcio, per stupro, dolore.

Una polvere sottile macinata o un liquido
distillato, non denso, può passare
fra due anime quando si accarezzano
con premura delicata.

Ma non entra una vita
in altra vita intatta: amare non è
buttare giù un tramezzo ma rifare
l’intera casa nuova, è spaventoso.

Vorrei dirlo meglio ma non sono
da ciò le mie penne e con viltà
ho temuto l’abisso, il fulgore.
Tutto ciò che svanisce è nel presente
e non è molto. È così sorprendente
invecchiare, morire. La scatola di latta
dei biscotti dell’In’s, la scatola di latta
dei biscotti al Plasmon che quand’ero bambino
conteneva piccole frastagliate fotografie
di antenati già ignoti.

Sarebbe, ancora, tutto da scoprire.


Scritta nel 2020.

Chomsky e Saussure

29 mercoledì Apr 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

Non essere immortali è il peccato originale:
lo formulammo quando ci rendemmo conto
della cosa: occorreva una colpa inevitabile
all’abisso inevitabile, che irreversibilmente
ci si era conosciuto, percepito. Peraltro
come né il significato né il significante
sono la cosa (si veda in Saussure) così
né il peccato né il peccante sono la cosa:
che intatta e indetta sguizza fra gli asintoti
dei nostri veli macabri o eleganti.

Però appunto: sono caduto in tentazione
di scrivere questo, che non vuol dire nulla.
L’odore del mio ventre alle mie nari
richiama l’estro animale, primario
degli odori mancanti, la grammatica
generativa (si veda in Chomsky) non genera
coiti a corpi dove un rewind violento
strappi la stringa, la vita trionfi
in schiuma sperma bava secrezione:
lo spàppolo d’un seme non descritto.


Scritta nel 2020.

Marmellata di fichi

26 domenica Apr 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

Seduto in cucina a mangiare
marmellata di fichi su un biscotto
noto la luce accesa in camera, qui
dalla cucina si vede la camera
di sbieco, una parte della porta
e c’è la luce là, come in certi film
c’è un buio prima e poi la luce là
in questa inquadratura. Chissà
poi perché certi film, succede
nella realtà, eppure… Ricordo
nella casa natale, spesso, dei tagli
così di luce, oltre un lungo buio
e restavo al di qua. C’è la morte
in questi scorci e c’è anche la vita
di riflesso, e le azioni, e le precisazioni:
così insensato è tutto. Confettura
si dice, di fichi, marmellata
è solo di agrumi, no, io dico
marmellata di fichi, sono libero
in queste cose minime, intanto
osservo inerte sdrucciolare il tempo
e non desidero roba da fare
per riempirlo, non ha bisogno il tempo
di riempimenti, il silenzio fortissimo
è già pieno da sé, come una bolla:
non so se mi contiene o se cammino
come una mosca su un vetro, da fuori.
Accade una miriade di cose
mentre mangio un biscotto e di là in camera
noto la luce accesa: si rovesciano
mondi, non so se mi trascinano
con loro, con qualcuno di loro
o se indenne rimango in altre attese
d’altri rovesci. Si potrebbe dipingere
su tela a olio il riquadro di luce
e immaginarci dentro l’infinito
attenuato dall’arte, immaginarlo
direttamente è pericoloso, ma
che importa l’infinito? Sono i tratti
di buio fra le luci, fra le stanze
il campo che sta a cuore. O nemmeno
è questo. Non lo so. Non so mai niente.
Potrei andare a spegnere la luce
in camera, da non so dove arriva
una voce metallica, ora un’auto
è passata, il rullo delle gomme
si perde in lontananza, dove andrà?
Non me ne importa nulla.


Scritta nel 2020.

Il sogno non è sogno

17 venerdì Apr 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

mezzo assopito sul letto dopo pranzo
(dopo pane e formaggio e un pomodoro)
in uno stato a cui mi abbandono
volentieri, io mi sentivo fiamma
mi sentivo fiamma sulla stoppa del corpo
dentro, fuori, su tutta la pelle
era piacevole, mi sentivo organismo
vivente, una volta tanto in pratica
mi sentivo ciò che sono, è rarissimo

mi sentivo piano bruciare, mi sentivo
consumare l’ossigeno benevolo, pensavo
che in pochi minuti senza lui
mi sarei spento, e così mi spegnerò
quando in presenza di danni al sistema
non più superabili né recuperabili
il capo farà un cenno: «è sufficiente,
la chiudiamo cosi» e lui, cioè io, svanirà
nel nulla o in qualcosa di cui non ho idea
mentre gli altri cominceranno a scomporsi
in armonia, tutto sommato: gli enzimi
e i batteri, fino a un attimo prima
coordinati, collaborativi, «liberi tutti»
grideranno, mangeranno, si mangeranno
i tessuti, le cellule, faranno qualcosa
di nuovo in cui io non avrò più parte:
l’insieme generato da un incontro
fra due cellule seminali seminerà
sfacendosi altre vite microscopiche

mezzo assopito sul letto dopo pranzo
ero in pace con il prima, con il dopo
e con l’adesso, poi mi sono riscosso
tornando alle consuete gioie e angosce
e le vaghe risposte a cui dare domande:
entra il sole dalla finestra aperta
faccio il caffè, sto un poco sul terrazzo


Scritta nel 2020.

Il fiore non è sogno

04 sabato Apr 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro

Né sa né sogna di essere fiore
il fiore, né gli importa d’esser frutto
domani, o nulla. Mi sono sognato
io senza sonno in un sogno di sogno
senza sapermi, toccandomi come
si tocca un altro sogno e un altro ancora
e ancora, incastonati, combaciati:
ha istanze ora la cosa che non so
di essere ma sono – non è fiore
né frutto né potrei mai disegnarla
eppure è e perché è svanisce.


Scritta nel 2020.

Realismo

03 venerdì Apr 2020

Posted by carlomolinaro in poesie

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cose di dentro, scenari

Forse nulla è accaduto davvero
tranne ciò di cui c’è scalfittura
su un oggetto, o c’è parola che
per bocca di qualcuno mi ritorna,
o cicatrice che sotto le dita
sul mio corpo la sento, però
in questo caso non è proprio certo
che io sappia cos’è. Forse nulla
è accaduto davvero tranne ciò
che mi racconti tu quando ti credo.


Scritta nel 2020.

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